Intervista a La Stampa
di Paolo Russo
«Sulla sanità serve un grande patto-Paese che tenga tutti a remare dalla stessa parte». Roberto Speranza tende la mano a Orazio Schillaci, che gli è succeduto al ministero della Salute. Ma lo invita a non mollare sulla riforma della sanità territoriale e si dice «pronto a battersi con chiunque lotti per chiedere più risorse per l’Ssn».
Con la missione 6 salute del Pnrr siamo in ritardo. Da cosa dipende?
«La missione 6 è un’occasione unica per il nostro Ssn. Mi sembra che il ritardo non riguardi solo la sanità ma sia purtroppo generalizzato. Pare che queste risorse da spendere siano un problema da risolvere a cui si guarda con un certo fastidio e non come una chance per l’Italia. Il cuore della missione 6 è l’idea di prossimità. Una sanità più vicina alle persone, a partire dalla casa come primo luogo di cura e dalle nuove strutture di prossimità. In passato la destra mi è sempre sembrata piuttosto scettica rispetto a questa idea di fondo. Temo questo oggi stia emergendo».
Le case di comunità sarebbero veramente una svolta? Perché?
«Credo sia una vera svolta avere vicino a casa un luogo di sanità pubblica dove team multiprofessionali possono offrire una prima efficace presa in carico dei problemi delle persone. Una rete capillare di case di comunità, come quella prevista dal Pnrr, svolgerà un lavoro di filtro straordinario anche rispetto ai pronto soccorso. E poi, le case di comunità sono state pensate anche come luoghi di integrazione sociosanitaria che oggi ancora non c’è».
Anche gli ospedali di comunità sono in ritardo…
«Gli ospedali di comunità sono luoghi pensati per le cure intermedie. Se non hai posti letto di questo tipo, la conseguenza è che ti arriva o ti resta in ospedale anche chi non avrebbe bisogno di arrivarci o di restarci».
Dove lo troviamo il personale per case e ospedali di comunità?
«Negli ultimi due anni da ministro ho finanziato oltre 30 mila borse di specializzazione in medicina. Nell’ultimo anno 17.400. Il doppio di due anni prima e il triplo di tre anni prima. Per qualche anno saremo ancora in difficoltà e credo servirà valorizzare meglio gli specializzandi. Poi sarà in discesa. Però va superata la logica dei tetti di spesa sul personale. Io sono riuscito a ritoccarlo. Credo sia il tempo di superarlo definitivamente».
C’è veramente il rischio di una fuga dei camici bianchi dall’Ssn?
«Sì, è un problema vero. Ho visto gli ultimi dati Anaao sulle richieste di informazione per le uscite anticipate. Sono impressionanti. Dobbiamo prenderci più cura di chi si prende cura di noi».
Il governo rivendica di aver messo 4 miliardi in più quest’anno nella sanità. Avevate fatto voi troppo poco?
«Non scherziamo. Da ministro, sudando sette camicie, ho portato la spesa sanitaria sopra al 7% sul Pil. Non era mai accaduto prima. Ora siamo tornati a meno del 7% e il Def prevede che l’anno prossimo si scenda sotto i livelli pre-pandemia. E poi 2 dei 4 miliardi di cui parla il governo li avevamo lasciati noi. Ma con questa inflazione non bastano. Dai banchi dell’opposizione sarò al fianco di chiunque si batta per chiedere più risorse per il nostro Ssn».
Cosa suggerirebbe a Schilaci, che lei ha nominato all’Iss, per superare questi ritardi nella missione 6?
«Spero sinceramente che Schillaci faccia bene nell’interesse del Paese. Da ministro ho sempre detto che sulla sanità serve un grande patto-Paese che tenga tutti dentro a remare dalla stessa parte. Perché stiamo davvero parlando della cosa più preziosa che abbiamo. Credo che il Pnrr salute sia un treno in corsa. Ogni regione ha sottoscritto con il governo un contratto istituzionale di sviluppo in cui sono indicati tutti gli obiettivi da conseguire, a partire proprio dalla sanità territoriale. Il mio timore è che più si stravolgono gli obiettivi più si rischia di allungare i tempi e allontanarci dal traguardo».