Speranza: possibili altre zone rosse, sulle province decidano i presidenti

Politica e Primo piano

Colloquio con Il Fatto quotidiano

di Alessandro Mantovani

Con il nuovo Dpcm la gestione è cambiata. Se non c’è un vero commissario all’emergenza Covid-19, salvo Domenico Arcuri per gli approvvigionamenti, ora c’è un commissario alle chiusure. È il ministro della Salute, Roberto Speranza, che agisce in base ai dati elaborati dalla cabina di regia formata dai dirigenti del ministero e dell’Istituto superiore di Sanità e da tre rappresentanti delle Regioni. “I criteri sono quelli, approvati da tutti – spiega Speranza -. Nelle prossime 48 ore vedremo i nuovi dati e se necessario ci saranno altre ordinanze”, cioè altre zone rosse o arancioni. Le Regioni sotto la lente della cabina di regia sono tante: la Liguria e l’Umbria soprattutto per la situazione difficile negli ospedali, la Toscana perché i contagi corrono anche se il servizio sanitario territoriale regge più altrove, il Veneto perché non sempre sono arrivati tutti i dati, la Campania perché Napoli e Caserta sono messe male.

IL MONITORAGGIO settimanale potrebbe tardare ancora fino a domani, il ministro ha detto ai tecnici di prendersi il tempo che serve. Non è questione di chiudere l’area metropolitana di Napoli, come invece ha suggerito anche ieri Walter Ricciardi, che del ministro è consulente, facendo arrabbiare il sindaco Luigi de Magistris che chiede coerenza. “Il Dpcm – spiega il ministro al Fatto – prevede che il ministro possa intervenire su una Regione, non su una Provincia. Ma sull’area metropolitana può intervenire ii presidente De Luca, come ha fatto Zingaretti a Latina”. Vincenzo De Luca invece insiste che Napoli dev’essere chiusa, basta che non tocchi a lui, tanto che ieri ha detto “comportatevi come se ci fosse il lockdown”.

“Dev’essere chiaro – avverte Speranza – che noi stiamo svolgendo una funzione di supplenza nei confronti delle Regioni, che non si possono lamentare anche perché i dati vengono da loro. Nessuna trattativa, ma i tecnici del ministero si confronteranno con quelli delle Regioni. C’è un modello standardizzato, i criteri sono lì da 24 settimane e se per tre settimane una Regione non dà i dati diventa zona rossa”. Sono i i 21 parametri elencati puntigliosamente dal ministro ieri alla Camera, introdotti a fine aprile per il monitoraggio settimanale quando l’Italia ha cominciato a uscire dal lockdown. Sempre allora furono discussi con le Regioni: “Nessuna ha eccepito”, ricorda il ministro. Quei parametri ora devono essere combinati con il documento dell’Iss, approvato a ottobre e condiviso anche con le Regioni, che definisce i quattro scenari in base al livello di Rt, il tasso di riproduzione del virus: scenario 3 quando è fra 1,25 e 1,15; scenario 4 se supera stabilmente 1,5 come è successo in Lombardia e in Piemonte dove era oltre2. In quel caso possono essere chiusi interi territori regionali.

Lo scontro, peraltro, si va attenuando, almeno secondo Speranza. Dopo l’incontro di ieri con i cosiddetti governatori il ministro ha osservato che “c’è un clima più confortevole, maggiore collaborazione, anche loro capiscono che la situazione è grave”. La preoccupazione è alta. L’aumento dei decessi fa pensare che l’apparente relativa flessione della curva dei contagi sia legata a fluttuazioni, se non a carenze della diagnostica. Molti ospedali danno segni di cedimento. “Non ci preoccupano tanto le terapie intensive quanto i reparti dell’area medica”. Del resto, se fosse dipeso solo da lui, le chiusure sarebbero iniziate prima e sarebbero state ben più estese.