Intervista a La Stampa
di Alessandro Di Matteo
«Giorgia Meloni deve evitare il «patetico tentativo di mescolare le carte in tavola», ciò che è accaduto in aula la scorsa settimana è grave e dovrebbe capire che ora lei è il capo del governo e non sta più all’opposizione. Roberto Speranza, segretario di Articolo Uno, parla di «squadrismo di governo» e chiarisce: «È una menzogna dire che vogliamo cambiare il 41 bis».
La premier alla fine ha parlato della vicenda Donzelli, come chiedevate, ma per dire che non c’è niente di cui scusarsi. Anzi, denuncia «trappole e colpi bassi» contro il governo e dice: il 41 bis non si cambia. Ce l’ha con voi?
«L’unico colpo basso da cui deve difendersi è quello dei suoi dirigenti in Parlamento. Il suo è un tentativo patetico di mescolare le carte in tavola. Nessuno ha chiesto di riconsiderare il 41 bis: è uno strumento fondamentale nella lotta alle organizzazioni criminali e al terrorismo, è stato molto utile. È una menzogna dire che vogliamo toglierlo. Gli esponenti del Pd che sono andati a trovare Cospito non hanno questa linea. Abbiamo solo chiesto di prendere atto di un attacco irricevibile. Se la Meloni vuole davvero abbassare la tensione faccia chiedere scusa e faccia dimettere Donzelli e Delmastro. Se continuano ad attaccare l’opposizione mi pare difficile abbassare i toni».
Insomma, dite no al fronte comune contro la criminalità che chiede la premier?
«Avrebbe potuto fare quell’appello se avesse chiesto ai suoi di dimettersi o almeno di scusarsi. Non può chiedere ad altri di abbassare i toni quando i suoi deputati continuano a dire che i deputati dell’opposizione sono conniventi con la criminalità. Predica unità mentre i suoi bastonano! Non ha alcun senso questa cosa qui. Per predicare unità devi avere atteggiamento conseguente. Il caso è molto grave. Inutile provare a nascondere la realtà. C’è un fatto che parla abbastanza chiaro: usano documenti riservati per attaccare e criminalizzare l’avversario politico. Un sottosegretario rivela documenti riservati a un suo coinquilino importante dirigente e parlamentare di Fdi che usa queste informazioni in Parlamento, violando la riservatezza dei documenti, per colpire deputati di opposizione. Tutto questo rievoca i tempi più bui del nostro Paese, inutile girarci attorno. È un atteggiamento che profuma di squadrismo di governo».
Sta dicendo che Meloni non è all’altezza del ruolo di presidente del Consiglio?
«Alla prima curva difficile la Meloni sceglie di fare il capo di partito e non il presidente del Consiglio. Questo è molto grave. Quando sei chiamato a una funzione istituzionale viene prima il Paese. E in tutto ciò fa rumore anche l’imbarazzo di Nordio, dovrebbe anche lui dire una parola chiara e netta, rischia di perdere credibilità. La priorità della Meloni sembra quella di difendere la sua botteghina, le sue relazioni amicali e di partito che sembrano sempre di più essere un peso, persone che si stanno dimostrando non adeguate a quell’incarico. Non hanno capito che non sono più all’opposizione, sono loro al governo».
Ma perché dite no anche sulle riforme? Il Titolo V lo approvaste voi e il semipresidenzialismo era anche nel progetto della Bicamerale D ‘Alema…
«Attenzione a confondere l’autonomia differenziata con la riforma del Titolo V. Qui stiamo arrivando oltre ogni limite. Rischiamo di fare 20 staterelli, siamo ben oltre lo spirito di quella riforma, che pure per me è discutibile. Lo stesso vale per il presidenzialismo. È una scorciatoia pericolosa nel momento in cui la democrazia è in crisi. Temo uno scambio incestuoso tra autonomia differenziata – un contentino elettorale alla Lega – e il presidenzialismo. Uno scambio che fa molto male all’Italia. L’autonomia rischia di spaccare il Paese, ci opporremo con forza».
Intanto il congresso Pd entra nel vivo. All’assemblea di Articolo Uno non avete ufficializzato il sostegno a uno dei candidati.
«Il messaggio più forte della nostra assemblea è continuare il percorso costituente. Abbiamo approvato un importante manifesto per il nuovo Pd ma la costituente non può dirsi assolutamente conclusa. Chiediamo a tutti i candidati di impegnarsi perché il percorso continui dopo il 26 febbraio».
Però ora il Pd ha di fatto due manifesti, quello del 2007 e quello nuovo. È ancora da sciogliere il nodo dell’identità?
«Il manifesto del nuovo Pd è stato approvato ufficialmente dall’assemblea costituente nazionale e da tutti i candidati alla segreteria. È il programma fondamentale con cui ci rivolgeremo al Paese nei prossimi anni. Questo manifesto è ovviamente più attuale e mette con maggiore forza al centro la lotta alle diseguaglianze, il lavoro, la scuola e la sanità, l’ambiente. È un importante passo avanti e segna l’identità della principale forza progressista del Paese. Per me però è solo la base di partenza. Non basta certo un manifesto per ricucire la frattura con una parte larga del nostro elettorato. Continuare vuol dire discutere anche di forma partito, di organizzazione, del ruolo delle primarie. Noi abbiamo deciso di stare con determinazione dentro questo processo».
Bersani dice che sosterrete il candidato più distante dal renzismo. E se vincesse quello che per voi è più vicino al renzismo? Riuscireste a stare insieme?
«Io sono dentro al processo di costruzione del nuovo Pd e mai come oggi credo serva unità. Saniamo una frattura che certo il renzismo ha favorito. Ma quella stagione è passata e ora è tempo di unire. Non vedo rischi per il futuro. Di fronte a questa destra di cui abbiamo parlato l’unità è un obbligo morale, non solo una scelta politica».
A proposito di Renzi: il leader Iv cita Shakira, dice che il Pd ha scambiato una Ferrari – lui – per con una Twingo, voi di Articolo Uno.
«Era una Ferrari di cartone, tirava così tanto a destra che ci ha portato a sbattere… A parte gli scherzi, è un fatto rilevante che oggi tutti e quattro i candidati alla guida del Pd dicono che il Jobs Act è da superare. È un passo avanti importante».