Speranza: Letta guidi il nuovo Ulivo per battere la destra

Politica e Primo piano

Intervista a La Stampa

di Annalisa Cuzzocrea

«Il nuovo Ulivo può funzionare solo se è trainato da un soggetto centrale, che metta al centro la questione sociale e la difesa dei beni pubblici fondamentali». Roberto Speranza, ministro della Salute, leader di Articolo Uno, reduce da un congresso in cui la sua mozione ha avuto il 90 per cento dei voti, evita titubanze e tatticismi e prova a dire le cose come stanno: «È tempo di una proposta unica col Pd che si candidi a essere la prima forza politica del Paese e sia il perno fondamentale dell’alternativa alla destra».

Da cosa bisogna cominciare, per costruire questa nuova forza in vista delle prossime politiche?

«C’è uno iato sempre più grande tra gli enormi problemi del Paese e la fragilità del sistema politico. Abbiamo partiti debolissimi, molti personalismi, derive narcisistiche e trasformiste. È come se 30 anni di antipolitica stessero presentando il conto a un Paese che invece avrebbe bisogno di soggetti politici forti, capaci di esprimere una visione autonoma della società».

E invece la frammentazione continua, come dimostra la scissione nel Movimento 5 stelle.

«Per il nostro campo la rottura che si è consumata pone un ulteriore problema, perché il Movimento, con i suoi limiti e le sue contraddizioni, ha rappresentato una risposta a una domanda radicale di cambiamento, a una tensione sociale presente nel Paese. La sua crisi non fa scomparire le ragioni che lo hanno portato sopra il 30 per cento nel 2018. Il tema è come riorganizzare un’offerta politica che non faccia finire quella spinta in un maggiore distacco tra politica e società».

Un distacco che è alla base dell’astensionismo record alle ultime amministrative?

«L’astensionismo è esattamente un sintomo di questa fragilità».

Cosa bisogna fare?

«Dobbiamo prima di tutto costruire una forza trainante del campo progressista, che prenda di petto la questione sociale, e poi continuare a lavorare sull’alleanza col Movimento e gli altri interlocutori. Non è un fatto banale che Landini proprio ieri, all’apertura della stagione congressuale della più grande forza sociale del Paese, inviti tutti i soggetti di questo campo».

Il campo largo?

«Sì, ma questo campo largo deve essere guidato da una forza che abbia i piedi dentro la famiglia del socialismo europeo. Un asse che non può non partire dal Pd, ma che deve avere il coraggio di andare oltre ciò che già c’è. Articolo Uno sarà dentro questa sfida. Serve un tratto di innovazione e la volontà di mettere al centro le questioni reali della vita delle persone».

Ad esempio?

«La questione sociale, le diseguaglianze territoriali e di genere, i salari, i beni e i servizi pubblici fondamentali come la sanità e la scuola».

L’idea di una federazione di “sinistra sinistra” alla Mélenchon con Conte alla guida è tramontata?

«L’orizzonte che abbiamo scelto al congresso è chiaro ed è quello di unire e rinnovare le forze che fanno parte della famiglia del socialismo europeo. Fermo restando che per noi i 5 Stelle rimangono un interlocutore importante per la costruzione del più ampio campo progressista».

E Di Maio?

«Servirà un confronto di merito sul progetto politico e ciascuno sarà chiamato a dire dove si colloca, mi auguro senza veti e personalismi. Da un lato ci sarà il centrodestra guidato da Salvini e Meloni, che alle politiche si ricompatteranno soprattutto se resta il rosatellum: una camicia di forza che spinge ad alleanze prive di coesione programmatica. Dall’altro lato ci sarà chi vuole lavorare a costruire un’alternativa alla destra. Sulle politiche fiscali: loro vogliono la fiat tax, noi la progressività. Loro si oppongono in maniera radicale perfino allo Ius scholae, noi pensiamo sia indispensabile tenere insieme diritti civili e diritti sociali».

Bisognerà scegliere, o di qua o di là?

«Io sono per cambiare la legge elettorale, in questo momento sarebbe più utile al Paese un proporzionale che non forzi su alleanze disomogenee, ma è chiaro che se resta questa bisognerà capire come contrastare nei collegi i candidati di destra provando a superare i veti reciproci. Del resto, con questa pessima legge non è richiesto neanche un programma comune, ma solo il nome del capo politico della singola lista».

Il capo politico è naturalmente il candidato premier. Secondo lei chi dovrà essere?

«Se ci sarà, come spero, una proposta capace di rappresentare il cuore dell’area progressista, anche oltre i confini del Pd, la guida naturale sarà quella del partito più grande. Ma è chiaro che ora tocca al Pd e a Enrico Letta metterci tutto il coraggio e la forza che serve. Dando seguito al lavoro avviato con le Agorà. Io ho molta fiducia nell’impegno di Enrico e nel suo progetto per l’Italia 2028».

Domani ci sarà l’incontro atteso tra il presidente del Consiglio e il leader dei 5 stelle. La tensione non è mai stata così alta. Il governo può cadere?

«L’interesse del Paese è che arrivi alla fine della legislatura. Con il lavoro del Pnrr, un’epidemia in corso, la guerra, le ragioni per cui andare avanti sono tutte in piedi».

Ma se Conte sceglie l’appoggio esterno o comunque ritira i suoi ministri, l’alleanza del nuovo Ulivo con lui sarà ancora possibile?

«Draghi ha usato parole molto forti: la presenza dei 5 stelle è fondamentale. Senza, il governo non va avanti. Io e Letta la pensiamo come lui».

Se si staccassero per seguire il ribellismo di Alessandro Di Battista, che guarda alle ragioni della Russia più che a quelle dell’Ucraina, vuole mettere in discussione la Nato e accusa di ogni nefandezza Mario Draghi?

«È uno scenario che non voglio considerare: sarebbe un arretramento rispetto ai passi avanti che hanno fatto in questi anni e di cui lo stesso Conte è un simbolo».

Crede all’ipotesi di un Draghi dopo Draghi, di un governo di larghe intese anche dopo le prossime elezioni, come sembrano volere alcune forze centriste?

«Lavoro al successo del fronte progressista. Non andiamo alle elezioni con l’obiettivo di fare un altro governo di unità nazionale».

Rientrando nei panni del ministro della Salute, abbiamo mollato troppo sul Covid? Siamo nel pieno di un picco, ma tutte le restrizioni sembrano svanite.

«Ho sempre predicato attenzione, prudenza e utilizzo delle mascherine ovunque ci siano condizioni di rischio. Non siamo però in una situazione paragonabile a due anni fa per due ordini di motivi: oltre il 90 per cento della popolazione sopra i 12 anni si è vaccinata e c’è una variante che ha una straordinaria capacità di contagiare, ma provoca in proporzione, anche grazie ai vaccini, meno casi gravi di prima».

Misure meno confuse non aiuterebbero? Ad esempio le mascherine: sui treni sì, sugli aerei no.

«Io ho proposto si tenessero anche sull’aereo. Poi è stata fatta una scelta diversa. Questo non toglie che dove non arrivano le regole possa arrivare il senso di responsabilità e prudenza dei cittadini».

Anche sui vaccini, gli anziani non sanno se devono fare la quarta dose, tutti gli altri se servirà un richiamo in autunno.

«Stiamo preparando una campagna di vaccinazione larga con il vaccino adattato ad Omicron per l’autunno. Le fasce d’età verranno decise a luglio. Nel frattempo però i più fragili – quelli che hanno più di 80 anni, o vivono in Rsa, o quelli tra i 60 e i 79 anni che hanno particolari fragilità – possono fare subito la quarta dose. Per loro il mio appello è a non aspettare l’autunno».

Preoccupato per l’autunno?

«Bisogna sempre essere vigili, ma non possiamo pensare di affrontare il Covid come nel 2020. Allora non avevamo vaccini, antivirali, monoclonali. Oggi abbiamo molte più armi e ne avremo di ancora migliori con i vaccini adattati. Bisogna essere prudenti, proteggersi, vaccinarsi, ma i numeri delle ospedalizzazioni sia da noi che in Paesi dove si sono superati i 100 mila casi al giorno, come Francia e Germania, dimostrano che la situazione è meno preoccupante».