Speranza: lavoriamo tutti per migliorare la riforma del referendum

Politica e Primo piano

Intervento su Huffington Post

di Roberto Speranza

Approda in aula alla Camera il testo di riforma dell’articolo 71 della Costituzione. Si tratta di uno degli aspetti che più agitano il dibattito politico e culturale intorno al futuro della democrazia, cioè il rapporto tra democrazia rappresentativa e partecipazione popolare. Dico “partecipazione popolare” perché parlare di “democrazia diretta” è del tutto improprio, trattandosi di un sistema impossibile da realizzare nelle società complesse e articolate come le nostre. Lo stesso Rousseau, filosofo molto caro a una parte politica di questa maggioranza, teorico moderno della democrazia diretta in opposizione a quella rappresentativa, ammetteva l’impossibilità di realizzarla nelle società complesse che non fossero le antiche Città-Stato.

Proprio riguardo al modello della Città-Stato dell’antica Grecia, tanto vagheggiato dai cultori della democrazia diretta, lo stesso filosofo, in una pagina del Contratto sociale, affermava: “Presso i Greci tutto ciò che il popolo doveva fare lo faceva direttamente: sedeva continuamente in pubblica assemblea nella piazza. Ma quel popolo viveva in un clima mite, non era avido, e i suoi lavori erano fatti dagli schiavi”. L’idea, inoltre, che la piazza dell’antichità possa essere oggi sostituita dall’agorà telematica dove tutti, davanti a uno schermo, possano decidere del governo della Nazione, è del tutto insostenibile. Il web come oggi è strutturato è controllato da pochi e forti soggetti privati che avrebbero modo di condizionare pesantemente la vita politica. Oltre a ciò, bisogna considerare che la comunicazione attraverso il web, ridotta al meccanismo dei “pro” e “contro”, contraddice l’essenza stessa della partecipazione democratica, fondata invece sulla discussione, il compromesso, il riconoscimento delle complessità e la necessità di armonizzare interessi diversi. Pensare al superamento della democrazia rappresentativa attraverso il ricorso continuo alla piazza telematica, come qualcuno vagheggia, porterebbe al superamento della democrazia tout court e aprirebbe la strada a sistemi di tipo totalitario.

Certamente, elementi nuovi e adeguati di partecipazione e iniziativa popolare devono essere introdotti, ma con attenzione e in modo che espandano la democrazia e la partecipazione e non, invece, ne snaturino l’identità e ne mettano in crisi le fondamenta.

Quanto agli esempi di democrazie contemporanee che fanno ampio ricorso all’uso del referendum propositivo, va ricordato che ciò accade in Paesi dove il frequente ricorso al referendum si colloca in un sistema costituzionale armonico, stabile, con una lunga tradizione democratica e, soprattutto, nei quali il ricorso all’istituto referendario viene ampiamente temperato dall’iniziativa degli organi istituzionali. In particolare, se prendiamo l’esempio della Svizzera, spesso usata come modello, va rilevato che in quel Paese il ricorso al referendum propositivo vale per le riforme costituzionali, sulla sua ammissibilità si esprime il Parlamento e per l’approvazione è necessaria non solo la maggioranza dei voti degli elettori ma anche quella dei Cantoni che compongono la Federazione.

Il nostro Paese è retto da una democrazia parlamentare, dove le Camere sono il luogo della rappresentanza politica dei cittadini, dove si svolge la dialettica tra le diverse istanze politiche, economiche, sociali e territoriali. Il suo ruolo centrale è a fondamento della nostra democrazia e in esso si ricompongono i diversi interessi e orientamenti della società. Certo, viviamo in una fase storica dove è pressante la questione della sempre maggiore distanza tra la società e le istituzioni, e ricucire tale frattura è la condizione fondamentale per il progresso e il mantenimento delle libertà. Spesso, però, tale frattura non è generata dall’inadeguatezza del nostro sistema istituzionale o dalla presunta vecchiaia della Carta costituzionale, essa è il prodotto delle mancate risposte ai gravi problemi sociali ed economici che attanagliano parti sempre più rilevanti della nostra società. Sono l’estendersi delle vecchie e nuove povertà, le sempre crescenti differenze sociali e la marginalizzazione di pezzi interi della nostra società a generare il distacco tra i cittadini e le istituzioni. Non basterà, così, una ridefinizione dell’iniziativa popolare nel nostro processo legislativo a sanare questa situazione, mentre è sempre più stringente la necessità di percorrere la strada della giustizia sociale.

In ogni caso, questa proposta di legge merita una particolare attenzione e se, dopo una profonda e attenta discussione dentro e fuori le aule parlamentari, essa saprà aprire spazi più ampi di partecipazione popolare allora avrà fatto fare un passo avanti alla nostra democrazia. Altrimenti, se per volontà di alcune parti politiche che vivono con fatica le regole della democrazia parlamentare e sognano improbabili scorciatoie plebiscitarie, si dovesse arrivare a un testo squilibrato e inadeguato, rischieremmo di introdurre nel nostro impianto costituzionale un elemento distruttivo i cui effetti non potranno che essere pesantemente negativi.

Il testo di riforma dell’articolo 71 della Costituzione, così come uscito dalla commissione, non è sufficiente a trovare quell’indispensabile punto di equilibrio tra la giusta volontà di allargare gli spazi di partecipazione democratica al processo legislativo e la necessità di preservare la democrazia rappresentativa come cardine del nostro impianto costituzionale. Per raggiungere questo obiettivo è necessario intervenire su alcuni punti dirimenti tra cui i limiti di materia, il giudizio preventivo di costituzionalità, la limitazione dei poteri dei proponenti e la revisione del meccanismo di ballottaggio che così come è configura un pericoloso scontro tra “Piazza e Palazzo”. Eppure durante la discussione in commissione sono stati fatti importanti passi avanti, primo fra tutti quello relativo al quorum approvativo del 25%. L’auspicio è che il lavoro d’aula possa migliorare il testo ed evitare che la discussione intorno a un tema così delicato diventi l’ennesimo scontro all’arma bianca tra maggioranza e opposizione. Per queste ragioni non ho partecipato alla votazione sul mandato al relatore evitando così di votare “no” sin da questo primo passaggio parlamentare. È un segnale di apertura che non va fatto cadere.