di Michele Bocci
Roberto Speranza ha guidato il ministero della Salute durante i governi Conte 2 e Draghi, cioè negli anni drammatici della pandemia. E oggi osserva scendere il finanziamento alla sanità italiana. «Invece bisogna continuare a investire, come avevamo iniziato a fare noi», dice. La lezione della pandemia, secondo lui, non è stata ascoltata. Dal 2020 al 2022 la sanità pubblica si è rivelata fondamentale per reggere l’impatto del virus, «ma per il governo Meloni adesso evidentemente non è più una priorità». Anche per questo Speranza, già segretario di Articolo Uno (che si è sciolto il 10 giugno per entrare nel Pd), ieri era in piazza a Roma.
Cosa sta succedendo alla sanità italiana?
«Il punto di fondo, che poi è il tema di questa e di altre manifestazioni, sono le risorse. Certo, è necessario anche discutere quale modello di sanità vogliamo, sulle riforme da intraprendere per migliorare l’assistenza. Ma senza i soldi non si va lontano».
Il sottofinanziamento della sanità italiana non è iniziato adesso. Durante la manifestazione della Cgil sono stati chiamati in causa i governi degli ultimi vent’anni. Anche quelli di cui ha fatto parte lei.
«Stiamo ai fatti: io, con enorme fatica, ho portato per la prima volta il valore della spesa sanitaria sul Pil sopra al 7 per cento. Non era mai accaduto prima. La legge di bilancio del governo Meloni ci fa intanto andare sotto già adesso, cioè al 6,7 per cento. E in prospettiva, come recita il Documento di economia e finanza, si arriverà al 6,2-6,3 già nel 2024».
Cosa succederà?
«Sotto il 7 per cento si mette a rischio l’universalità del servizio sanitario nazionale e del diritto alla salute. Non c’è tanto da girarci attorno. Oltre ad aver portato il fondo sopra il 7 per cento, ho fatto ora una proposta di legge che prevede che ogni qualvolta le risorse del fondo scendono sotto quella soglia deve esserci un meccanismo automatico di rifinanziamento della sanità. Dobbiamo approvare una norma primaria per imporci che non si vada mai più sotto al 7».
Perché il governo dice di aver aumentato il fondo sanitario nazionale?
«Sul fondo, che in tutto è di circa 128 miliardi, per quest’anno hanno messo 2 miliardi in più, che aggiunti ai 2 che avevo lasciato io portano il totale a 4. Si tratta però di un aumento che viene mangiato in larga parte dall’inflazione. E poi, comunque, non bisogna vedere solo il valore assoluto del fondo che viene poi suddiviso tra le Regioni per capire quanto è finanziata la sanità, bensì il rapporto tra la spesa per questo settore e il Pil. E quello, come ho detto, parla chiaro».
La pandemia non è servita a far comprendere l’importanza della sanità?
«Il nostro Paese è stato salvato durante gli anni del Covid dal servizio sanitario. Mi ricordo bene le parole di Papa Francesco, durante la preghiera solitaria a San Pietro all’inizio della pandemia: “Peggio di questa crisi c’è solo il rischio di sprecarla”. Ecco, qui si rischia di tornare a un investimento sulla sanità pure inferiore agli anni che hanno preceduto il Covid e si mina così l’universalità del servizio nazionale. Stiamo sprecando la lezione della pandemia, siamo uno dei Paesi che investe di meno in sanità».
Secondo lei perché il governo agisce in questo modo?
«Semplicemente, la sanità ha smesso di essere una priorità. Io ero riuscito ad ottenere maggiori finanziamenti perché la voce del ministro e di tutti coloro che lavoravano in sanità era più forte durante la fase dell’emergenza. Oggi che si è chiusa sono cambiate le priorità ed è un errore gravissimo, sottolineato dalla bella manifestazione di oggi (ieri, ndr)».
Le Regioni, però, si lamentavano di aver ricevuto pochi fondi, soprattutto per le spese Covid 2021 e 2022 anche quando c’eravate voi al governo.
«Noi abbiamo aumentato i fondi notevolmente, ma certo c’era ancora bisogno di continuare a crescere. E infatti chiedevo ancora più denaro per il sistema sanitario nazionale, una mattonella fondamentale per la ripartenza di tutto il nostro Paese. Noi in quegli anni, oltre ad aumentare la spesa ordinaria, abbiamo portato a casa 20 miliardi legati a fondi europei “Next generation Eu” e “React Eu”. In più, per la prima volta nella storia abbiamo finalizzato il Pon salute per 625 milioni. La tendenza era a investire, ora si torna purtroppo indietro».
Dopo il Tribunale dei ministri di Brescia anche quello di Roma ha disposto la sua archiviazione dall’inchiesta Covid. Se lo aspettava?
«Ho sempre avuto la coscienza a posto per aver servito il Paese con disciplina e onore, come dice la Costituzione. E ho sempre avuto fiducia nella giustizia. Sono soddisfatto di come si è chiusa la vicenda, con le due archiviazioni è emersa la verità. Ho sempre detto che chiunque ha avuto ruoli di responsabilità a ogni livello in una fase così tragica deve essere pronto a rendere conto di ogni azione. Io l’ho fatto con trasparenza e oggi sono soddisfatto».
Cosa risponde a chi l’ha attaccata in questi mesi?
«Niente, parlano le archiviazioni. Ma fa riflettere che io sia stato attaccato politicamente per essere stato troppo duro in fatto di restrizioni e poi sia finito sotto inchiesta con l’accusa di non aver fatto abbastanza».