Speranza: ho la coscienza pulita, da ministro ho dato tutto

Politica e Primo piano

Colloquio con La Stampa

di Niccolò Carratelli

«Che amarezza», ripete due volte Roberto Speranza, con un’espressione smarrita. Sembra ancora incredulo di essere stato indagato dalla procura di Bergamo, accusato di epidemia colposa e omicidio colposo plurimo. «Tra l’altro, a me ancora non è arrivato nulla, so solo quello che leggo sulle agenzie e sui giornali». E quello che legge, racconta a chi gli ha parlato in queste ore, «fa male, sono accuse pesanti, ancora di più perché io ho la coscienza a posto e da ministro della Salute ho dato davvero tutto». Ora sta cercando di capire come muoversi per «organizzare la mia difesa» e assicura di avere «piena fiducia nella magistratura». Come afferma Giuseppe Conte, con il quale ha avuto un breve scambio di opinioni l’altra sera alla Camera, durante il voto di fiducia sul decreto ex IIva. Le loro posizioni non seguiranno lo stesso percorso degli altri 17 indagati, dovranno essere prima valutate dal Tribunale dei ministri di Brescia. Entro 90 giorni i giudici dovranno decidere l’archiviazione o la trasmissione degli atti alla procura, perché chieda l’autorizzazione a procedere alla Camera dei deputati.

C’è tempo per metabolizzare la situazione, quindi, anche se Speranza ribadisce di aver «sempre pensato che chiunque abbia avuto responsabilità nella gestione della pandemia debba essere pronto a renderne conto». E lui è uno di quelli che ne ha avute di più in oltre due anni di emergenza Covid, muovendosi «al buio», soprattutto all’inizio. L’inchiesta di Bergamo, infatti, riporta la memoria ai primi giorni di marzo del 2020, quando le autorità politiche e sanitarie stavano discutendo della necessità di estendere la zona rossa già istituita a Codogno (comune del «paziente 1») a Nembro e Alzano Lombardo. «Come ho spiegato anche ai magistrati, io avevo firmato il decreto per disporre la chiusura – ricostruisce Speranza – ma poi non è stato controfirmato da Conte, perché nella riunione del Cts si è deciso di aspettare, visto che stavamo andando verso il lockdown generale, scattato pochi giorni dopo». Quella bozza di Dpcm rimasta tale e quei pochi giorni di esitazione, secondo i magistrati, sono stati fatali per decine di persone poi colpite dal virus. L’altro punto contestato all’ex ministro (e non solo a lui) riguarda la mancata tempestiva attuazione del piano pandemico: seppur datato 2006 e pensato per una pandemia influenzale, poteva fare la differenza, a cominciare dalla verifica immediata delle dotazioni dei dispositivi di protezione individuale per il personale sanitario. Quanto all’aggiornamento mai effettuato, Speranza si limita a sottolineare quello che ha ripetuto più volte, anche in Parlamento, ovvero che è stato lui a colmare il ritardo: «Il piano non è stato aggiornato per 180 mesi, in cui si sono alternati sette governi. Quello che non è stato fatto in anni, è stato fatto in pochi mesi nel corso del mio mandato».

Giura di non avere sensi di colpa, l’uomo che si è trovato per caso ad affrontare l’emergenza sanitaria più grave della nostra storia recente. Quando è stato piazzato al ministero della Salute nel governo Conte 2, senza una ragione apparente né una competenza specifica, nessuno poteva immaginare che quella si sarebbe rivelata la poltrona più scomoda e difficile di tutte. «Io ho fatto davvero il massimo, senza pause, giorno e notte – precisa – ho sempre agito nell’interesse del Paese». E, soprattutto, rivendica di aver sempre «seguito le indicazioni degli esperti e rispettato di volta in volta le valutazioni scientifiche». Ora, però, si ritrova indagato, accusato di aver fatto morire decine di persone, o addirittura migliaia, e gli sembra davvero troppo. «La cosa curiosa è che sono già indagato in altre inchieste, ma per il motivo opposto, per aver chiuso troppo – spiega -. No Vax e No Pass mi hanno denunciato per aver limitato la loro libertà, c’è chi mi chiede 100 euro di risarcimento per ogni giorno di lockdown». Non c’è più niente da dire, «aspetto di leggere le carte». Poi un moto di stizza: «Ma vi sembra normale che i giornalisti sappiano le cose prima di me che sono l’indagato?». Del resto, di normale, in quello che ci è successo negli ultimi tre anni, non c’è quasi nulla.