Speranza: green pass? Fase nuova. Ecco come rivoluzioneremo la sanità

Politica e Primo piano

Colloquio con La Stampa

di Paolo Russo

«La pandemia ha reso evidenti almeno tre limiti della nostra sanità: il ritardo nel sapersi adeguare ai bisogni di una popolazione che invecchiando ha fatto esplodere le malattie croniche, il deficit digitale e una crescita delle diseguaglianze nell’accesso ai Lea, i livelli essenziali di assistenza, che sono su valori non adeguati al Sud. Ma ora abbiamo l’opportunità di trasformare la più dura emergenza sanitaria del dopoguerra in una grande opportunità di ammodernamento e rafforzamento della nostra sanità pubblica». Per spiegare come, il ministro Roberto Speranza si presenta con decine e decine di pagine fitte di numeri, che alla fine portano a qualcosa come 30 miliardi di risorse aggiuntive tra Pnrr, rifinanziamento del fondo sanitario e fondi Ue per la povertà sanitaria nel Mezzogiorno. Soldi che serviranno a ricucire le piaghe aperte dalla pandemia nella sanità, documentate dalla nostra inchiesta a puntate della scorsa settimana.

«Anche se le difficoltà del nostro sistema sanitario nazionale non nascono con il Covid, ma da una troppo lunga stagione di tagli che lo ha preceduto», ci tiene a precisare prima di posare un attimo lo sguardo sul presente. Perché ancora ieri l’altro Salvini e Meloni hanno tentato lo strappo, cercando di far passare un emendamento che avrebbe mandato ovunque in soffitta il Green Pass a partire dal 31 marzo. «Ma il Covid non scompare premendo il tasto off come se stessimo spegnendo la luce. Nei prossimi giorni continueremo a monitorare il quadro epidemiologico, ma i dati su contagi e ricoveri sono tutti in via di miglioramento. È chiaro che ci troviamo in una fase nuova, ma serve gradualità, non possiamo far saltare in un solo momento tutte le precauzioni che ci hanno consentito di lasciare aperto mentre altri in Europa entravano in lockdown».

E sullo stato di emergenza lascia capire che, salvo improvvise inversioni di rotta della pandemia, potrà essere superato alla scadenza del 31 marzo. «Valuteremo nelle prossime settimane e poi decideremo, ma è chiaro che l’obiettivo è quello di una progressiva uscita dall’emergenza».

Intanto ci si muove per proteggere i più fragili. «Le autorità scientifiche e sanitarie hanno per ora ritenuto di dover avviare dal primo marzo la somministrazione della quarta dose per le persone immuno-compromesse. Per il resto della popolazione non sono ancora disponibili i dati necessari per prendere una decisione. Quando li avremo le autorità scientifiche, che sempre ci hanno guidato in queste scelte, diranno se e quando sarà eventualmente necessario estenderla anche ad altre fasce della popolazione».

«Ma, mentre continuiamo a combattere il virus, ora è il momento di alzare lo sguardo oltre l’emergenza». Ed è una sanità da sogno quella che disegna con passione Speranza. «Il filo che unisce tutti i nostri interventi ruota intorno a tre parole chiave: prossimità, innovazione e uguaglianza».

La prima è vicina a essere tradotta in realtà con un nuovo provvedimento che rivoluziona la trincea della medicina del territorio, caduta ai primi assalti del Covid. «Con la cronicizzazione delle malattie c’è sempre più bisogno di una sanità di prossimità, che sia più vicina alle persone. E il cuore della nuova rete territoriale saranno le Case di comunità. Luoghi fisici dove 24 ore su 24 e sette giorni su sette équipe multiprofessionali composte da medici di famiglia, pediatri di libera scelta, specialisti, infermieri di famiglia e di comunità potranno rispondere a tutti i bisogni di assistenza che non siano quelli legati all’emergenza e alla fase acuta della malattia, compresa la possibilità di eseguire esami diagnostici di primo livello». Di quelle principali, gli hub, ne sorgeranno da qui al 2026 una ogni 40-50mila abitanti, «per un totale di 1.350 strutture, alle quali si affiancheranno le altre Case della salute spoke, quelle dove medici di famiglia e infermieri garantiranno assistenza e prenotazioni ad altri servizi tramite il Cup regionale, 12 ore al giorno e sei giorni su sette».

Una rivoluzione copernicana rispetto agli studi dei medici di base aperti oggi in media 15 ore la settimana. Ma con i 7 miliardi destinati al territorio dei 20 complessivi del Pnrr «faremo anche della casa il primo luogo di cura, portando entro il 2026 l’assistenza domiciliare al 10% per gli over 65. E guardi che partiamo dal 4% che è inferiore di due punti alla media Ocse. E un effetto fondamentale l’avrà la Telemedicina, sulla quale investiamo un miliardo».

A completare la rete c’è poi il tassello degli ospedali di comunità. «Ne realizzeremo 400 entro il primo semestre del 2026 e saranno fondamentali per assistere quei pazienti che non hanno più bisogno dell’ospedale ma che necessitano comunque di brevi degenze per stabilizzare la propria condizione clinica». Una riforma «che dovremo approvare entro il 30 giugno e che rappresenta la scadenza più importante dei prossimi mesi».

Ma Speranza ci tiene anche a ricordare che «circa 7,6 miliardi andranno all’innovazione dei presidi sanitari, dei quali 4 per l’ammodernamento del parco tecnologico degli ospedali». Dove oltre il 60% di macchinari, come tac e risonanze, sono obsoleti e si rompono, allungando così le liste d’attesa, che già il Covid ha contribuito a rendere ancora più esasperanti. E che il governo punta ad accorciare anche «con l’investimento di altro mezzo miliardo rispetto a quello già stanziato».

Anche se è chiaro che senza medici e infermieri si va poco lontano e in questo momento in Asl e ospedali scarseggiano e se ne trovano pochi sul mercato. «Colpa di una cattiva programmazione della formazione in passato, alla quale abbiamo cercato di porre rimedio rendendo permanenti 12 mila borse di studio per la specializzazione in medicina dopo le circa 32 mila finanziate negli ultimi due anni. E con due leggi di bilancio abbiamo messo sul piatto delle Regioni un miliardo per assumere il personale sanitario, superando i vecchi vincoli di spesa».

Gli impegni di governo lo chiamano, ma Speranza si trattiene ancora un attimo per parlare di un’ultima cosa che gli sta a cuore: la povertà sanitaria, «diffusa soprattutto al Sud. Una condizione nella quale si trovano 4 milioni e 300 mila italiani e che consiste nell’impossibilità di accedere a prestazioni sanitarie anche essenziali, a farmaci e dispositivi medici a pagamento. E nel mio Meridione le persone che non trovano risposte al loro bisogno di cure sono tre volte tanto che al Nord, mentre di screening oncologici se ne fanno quasi la metà. Per questo il 41% delle risorse del Pnrr sono state assegnate al Sud, al quale andranno anche 625 milioni che siamo riusciti a ottenere dalla Commissione Ue. Una pioggia di denaro che si spera non finisca nelle man dei soliti noti, che della sanità meridionale hanno fatto una mangiatoia. Per la politica e non solo.