Intervista a Il Mattino
di Federica Fantozzi
Roberto Speranza, ex capogruppo del Pd alla Camera, dopo la scissione è diventato coordinatore di Mdp.
Quella di Fassino esploratore è una missione impossibile o dopo la vostra assemblea il 2 dicembre potrebbero esserci sorprese?
«Nei confronti di Piero provo amicizia e stima personale, era segretario dei Ds quando io guidavo la Sinistra Giovanile. La prossima settimana troveremo modo di incrociarci, con me o con altri delegati. Siamo certo disponibili al colloquio».
Suona come la premessa di un “ma” grosso come una casa.
«Ma non serve una trattativa segreta in una stanza o un incontro a quattr’occhi: abbiamo posto delle questioni di fondo di fronte al Paese. Il nostro giudizio riguarda una stagione di politiche sbagliate, che ha inanellato clamorose sconfitte una dopo l’altra, distrutto e profondamente diviso il centrosinistra, provocato una rottura anche nel Pd».
Detta in questo modo è una pietra tombale sulla coalizione. E se guarda avanti? Nella direzione del Pd non ha visto impegni verso un programma comune?
«Veramente, prima delle elezioni in Sicilia, sembrava che quella direzione sarebbe stata occasione di un terremoto politico e di un cambio di equilibri. Doveva essere un redde rationem con inversione dei rapporti di forza interni. Invece, nonostante la clamorosa sconfitta, Renzi è stato rilegittimato e ha allargato la maggioranza alla corrente di Michele Emiliano. Il segretario è ormai dominus assoluto di un partito che coincide con se stesso e rivendica, legittimamente, ciò che ha fatto da premier».
L’appello all’unità, il tavolo del programma… Tutta “ammuina” da parte di Renzi?
«Adesso gli si pone il problema di come gestire una legge elettorale pasticciata che offre un vantaggio alla destra. Ma non parliamo di coalizione: il Pd cerca qualche lista civetta per poter competere nei collegi uninominali».
Se ci fosse Mdp sarebbe una coalizione.
«Per esserci Mdp servirebbe un cambiamento vero a partire dalla comprensione degli errori e da una radicale inversione di rotta. Sinceramente, non mi pare che Renzi sia in grado di fare una svolta del genere».
In concreto che cosa chiedete?
«Serve incidere sulla realtà. Basta teatro o illusioni. Ci sono due fatti con cui ci confronteremo nei prossimi giorni. Il primo è la trattativa tra governo e sindacati sulle pensioni. Ci sarà domani un incontro sull’età pensionabile, tema delicato che tocca la vita delle persone. Bisogna smontare il meccanismo diabolico per cui i giovani non entrano nel mercato del lavoro e gli anziani ne escono sempre più tardi».
Vi basterebbe un rinvio della norma che innalza a 67 anni l’età pensionabile?
«No, sarebbe un escamotage tattico per scavallare le elezioni. Penso piuttosto a un allargamento consistente della platea di lavori da esentare da quell’innalzamento».
E sul Jobs Act? Si può trovare un’intesa con il Renzi che ha detto sì ai miglioramenti e no all’abiura?
«Ecco il secondo banco di prova. Lunedì alla Camera approda la nostra proposta di legge, insieme a Si e Possibile, che reinserisce le tutele fondamentali previste dall’articolo 18. Si tratta di non applicare il Jobs Act ai licenziamenti collettivi: una richiesta limpida e lineare. E poi di inserire in caso di licenziamenti disciplinari la possibilità per il giudice di decidere tra indennizzo o reintegra secondo la gravità del fatto: oggi se un lavoratore ritarda di pochi minuti o ruba 5mila euro, ricade nella stessa fattispecie. E difatti, i licenziamenti disciplinari sono molto aumentati».
A Napoli voi avete fatto l’assemblea, il Pd la conferenza programmatica. In questi anni cosa è stato fatto per il Sud?
«Quasi nulla, purtroppo. La grandi scelte del governo, per paradosso, hanno trasferito risorse da Sud a Nord anziché viceversa. I 10 miliardi degli 80 euro sono andati dove c’è più lavoro dipendente, i 6 miliardi della quota lavoro Irap dove ci sono più imprese, i 23 miliardi di sgravi fiscali dove c’è più sviluppo. Le scelte di governo hanno sfavorito le aree deboli».
Al di là di chi siano le colpe, però, gli elettori non vi chiedono l’unità del centrosinistra?
«In questi anni il centrosinistra ha perso non perché era diviso ma perché ha fatto politiche sbagliate. A Genova, La Spezia, Sesto, eravamo uniti ma abbiamo perso comunque. L’unità senza cambiamento è un’alchimia elettorale che non serve a nulla. Il punto non è il collage dei gruppi dirigenti bensì riportare un popolo a votare per noi. Tra gli astenuti ci sono molti che hanno visto i loro valori calpestati con arroganza: penso, per esempio, al “ciaone” dopo il referendum sulle trivelle».
Se alla fine l’Italia si trovasse con un governo Berlusconi oppure Grillo-Salvini, lei si pentirebbe della mancata coalizione?
«È una domanda da fare al Pd. La destra è così forte non perché la sinistra sia divisa ma perché le politiche del Pd di questi anni le hanno tirato la volata».
Ieri Papa Francesco si è espresso in modo molto potente contro l’accanimento terapeutico. Crede che ci sia ancora spazio per approvare il biotestamento in questa legislatura? E voi ci sareste?
«Sono impressionato dalla forza e dall’umanità dimostrate ancora una volta da Papa Francesco. Ora tocca al Parlamento fare la sua parte e approvare la legge sul testamento biologico. Noi ci siamo».