Sostenibili, leggere, connettive: infrastrutture e trasporti dopo la pandemia

Politica e Primo piano

Per un contributo al PNRR

NOTA METODOLOGICA – Il presente documento intende essere una rassegna dei principali nodi da affrontare, nella messa a punto del PNRR e della sua discussione in Parlamento, nonché nell’emanazione delle relative norme di esecuzione, relativamente all’ambito dei trasporti e delle infrastrutture.

Come per altri ambiti, la pandemia ha messo a dura prova ed evidenziato i limiti del sistema dei trasporti e delle infrastrutture nel nostro paese, facendo emergere una serie di criticità storiche, che gravano di conseguenza tanto sul sistema economico, tanto sulla qualità di vita delle persone.

Sono sotto gli occhi di tutti, ad esempio, gli sforzi che il trasporto pubblico locale ha dovuto affrontate, in termini di riadeguamento delle proprie reti nonché di sostenibilità economica delle aziende, per fare fronte alla necessità di assicurare, in sicurezza, l’accessibilità alle aree metropolitane, ai luoghi di lavoro, di studio, di cura.

Del resto, il sistema della logistica ha assicurato durante la pandemia la continuità degli approvvigionamenti lungo le principali catene delle filiere alimentari, dei medicinali e dei DPI, delle merci per le imprese, se è vero che la nostra capacità di immagazzinamento garantisce stock per la durata massima di 5 giorni[1] .

Ancora, dalla parte dei limiti strutturali evidenziati nei lunghi mesi della pandemia sono senza dubbio ascrivibili l’insufficiente sviluppo del trasporto su rotaia, la scarsa integrazione delle modalità di trasporto del TPL, la vetustà tanto dei materiali rotabili quanto delle flotte aziendali, investimenti ancora insufficienti nel campo dell’ICT applicato ai trasporti e alla mobilità.

Non è un caso, pertanto, che la bozza del PNRR approvata dal Consiglio dei Ministri in data 12 gennaio 2021 consideri il settore dei trasporti come uno degli ambiti che maggiormente possono concorrere agli obiettivi strategici declamati dal NGEU: transizione ecologica, trasformazione digitale, coesione sociale, nonché alla realizzazione degli obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 (SDG 9 in primis).

Ai settori dei trasporti e della mobilità vengono dedicati nel PNRR il capitolo 2.2 energia rinnovabile, idrogeno, e mobilità sostenibile che costituisce significativamente un sotto insieme della più ampia linea di indirizzo rubricata Rivoluzione verde e transizione ecologia, e l’intera linea di indirizzo n. 3 dedicata ad infrastrutture per una mobilità sostenibile a sua volta distinto nei paragrafi 3.1 alta velocità ferroviaria e manutenzione stradale 4.0  e 3.2 intermodalità e logistica integrata.

Crediamo utile in questa traccia individuare alcuni nodi, dei quali taluni già ricompresi nella bozza del PNRR ma da evidenziare ulteriormente, talaltri assenti, ai fini di offrire un contributo politico programmatico autonomo. Preliminare pertanto deve essere l’esplicitazione che infrastrutture e trasporti costituiscono un elemento cogente di quel nuovo modello di sviluppo che assume le due grandi transizioni della nostra epoca, quella ecologica e quella tecnologica, come assi attraverso i quali riprogettare una parte essenziale dell’evoluzione del sistema economico e sociale del nostro paese.

In questo, infrastrutture e trasporti assolvono ad un ruolo strategico, soprattutto per una forza politica come la nostra, in quanto politiche determinanti (insieme a quelle sociali) per la riduzione delle disuguaglianze territoriali e personali, oltre che per assicurare una ordinata ripresa economica del paese che non ne perpetui invece le sclerotiche sperequazioni. In questo senso, in particolare nell’ambito del Trasporto Pubblico Locale, contraddistinto – in maniera analoga al sistema sanitario – da una frammentazione di competenze tra il livello nazionale di finanziamento, quello regionale e subregionale per ambiti territoriali omogenei di programmazione, quello aziendale di esercizio, andrebbero previsti dei veri e propri livelli essenziali delle prestazioni del TPL, (ad esempio declinabili in tempi minimi di connessione centro-periferia) fissati a livello nazionale come base per il finanziamento dei fondi regionali, con il fine esplicito di ridurre le differenze e le diseguaglianze (SDG 10) oggi esistenti tra regione e regione, ma anche tra territorio e territorio all’interno della singola regione, in particolare tra aree metropolitane e aree interne.

Secondo autorevoli Istituti e Centri di Ricerca, come ad esempio la SviMez, bisogna ridurre le disuguaglianze, economiche, di occupazione, di sviluppo, sociali, civili, che nel nostro caso riguardano per la stragrande maggioranza il rapporto Sud-Nord, perché questo è uno degli obiettivi dichiarati dalla EU, ed uno dei parametri (quantificati in vario modo) utilizzati per l’assegnazione dei finanziamenti, e quindi, di conseguenza, da utilizzare per una loro ripartizione/uso sui territori nazionali. Per quello che riguarda l’Italia, per un riequilibrio delle disuguaglianze Sud-Nord e della nuova divaricazione tra città e contado.

La creazione di un secondo motore di sviluppo, nel Mezzogiorno, oltre a quello tradizionale, del nord produttivo, a partire dall’impulso in settori strategici come i Trasporti e le Infrastrutture, consentirà all’intero Paese, Nord, Centro e Sud, secondo i più recenti studi di economisti autorevoli (Gianfranco Viesti, Adriano Giannola, Isaia Sales, Luca Bianchi, lo stesso Giuseppe Provenzano, già ministro per il Sud e la Coesione Territoriale) di una ripartenza ed un armonico progredire per tornare a situazioni economiche,  in termini di occupazione e lavoro, in termini di esportazioni e commerci, ante crisi Covid, e/o addirittura ante crisi 2008.

Risulta non procrastinabile, in questo senso, la riproposizione di una legge quadro organica sul TPL, le cui disposizioni ad oggi si rinvengono frammentate in molteplici provvedimenti, di rango primario o secondario, mettendo ordine peraltro anche alla frammentazione regionale, che rischia oggi di conoscere venti diversi sistemi di trasporto regionali, tra loro profondamente disomogenei e non coordinati[2]

Connettività, accessibilità e sostenibilità devono essere i capisaldi per una politica dei trasporti che non lasci indietro nessuna persona e nessun territorio. Ciò richiede che tutte le politiche di trasporto tengano conto delle diverse forme di diseguaglianza come l’età, il sesso, lo stato socio-economico o il background, la salute, la disabilità, la situazione lavorativa o la regione in cui viviamo in questo senso, l’offerta di trasporto pubblico deve essere parte integrante di una programmazione territoriale volta al ripopolamento delle aree periferiche ed interne e deve quindi basarsi su proiezioni di domanda futura e desiderata-.

Al tempo stesso, la significativa impronta ecologica della mobilità, responsabile di oltre il 27% di tutte le emissioni di gas serra nell’UE, ci rende consapevoli della necessità di decarbonizzare tutto il settore. Come delineato nella strategia del Green Deal della Commissione europea, la mobilità deve ridurre il 90% delle sue emissioni entro il 2050[3] affinché l’UE possa raggiungere la neutralità climatica nel 2050, come stabilito nella Legge Climatica.

Le risorse europee del Recovery Fund possono essere un’occasione unica per massicci interventi che riducano il gap storico che separa il Mezzogiorno dal resto del Paese. È ora possibile aggredire le arretratezze del Sud Italia, che può e deve diventare, utilizzando appieno le sue risorse umane e materiali, un altro motore per lo sviluppo e il progresso nazionale.

Infine, giova riaffermare con forza che, per la nostra forza politica, la mobilità deve svilupparsi sui grandi assi della difesa dei posti di lavoro di questo comparto, del primato della “proprietà pubblica” intesta come vero e proprio servizio sociale (del resto la crisi ha dimostrato l’importanza della presenza dello Stato e della partecipazione pubblica in alcune aziende fondamentali, a cominciare da quelle del trasporto pubblico), del contrasto all’inquinamento e della promozione della salute pubblica, del riconoscimento della mobilità come una delle filiere economiche più importanti per il paese.

Di seguito procederemo ad una sintetica elencazione di un catalogo delle possibili priorità, distinte per singole aree di intervento, come preconizzate nel PNRR.

 

  1. Piano di ammodernamento e decarbonizzazione delle flotte del TPL su gomma e rotaia.

Il parco rotabile delle aziende italiane del trasporto su gomma, nonché dei gestori dei servizi di trasporto ferroviari regionali, è tra i più vetusti della UE[4] . Tale vetustà incide sia sulle condizioni di sicurezza e sulle manutenzioni, ma soprattutto sui livelli di inquinamento generati dagli autobus. E’ pertanto necessario non solo confermare, ma addirittura incrementare le risorse previste dal PNRR per un potente rinnovo delle flotte, privilegiando i mezzi a basso e bassissimo impatto ambientale[5]. Ad esempio, l’idrogeno, specialmente l’idrogeno rinnovabile,[6]  può essere una valida alternativa per decarbonizzare il trasporto su gomma di lunga percorrenza, sia passeggeri che merci, e il trasporto ferroviario nei casi in cui l’elettrificazione della rete non è possibile (SDG7).

La devoluzione di risorse alle Regioni va strutturata sulla base di un universalistico ed unico parametro finanziario di diritto alla mobilità degli italiani nonché dei medesimi costi standard nazionali, avuto riguardo anche al principio dei costi standards.

 

  1. Contratti urbani per la riprogettazione degli spazi.

Non solo i vettori e le reti, ma la stessa struttura urbana delle città va progressivamente adeguata alla transizione ecologica e digitale. Gli spazi pubblici delle nostre città devono esseri considerati un bene comune per i cittadini, riducendo il trasporto automobilistico e incentivando le mobilità sostenibili, e.g. pedonale e ciclabile (SDG 11). A beneficiarne non è solo la qualità dell’aria, ma anche la sicurezza stradale e il livello sonoro. Ciò riveste un’importanza particolare nel nostro paese, contraddistinto da un numero elevato di centri storici il cui impianto urbano è il risultato di ampie stratificazioni storiche ovvero, nella peggiore delle ipotesi, di una scarsità di programmazione urbanistica. Sulla scorta dei contratti di quartiere adottati tra gli anni ’90 e gli anni duemila, che prevedevano il finanziamento e il controllo delle spesa a livello centrale, la progettazione ed esecuzione a livello locale, il coinvolgimento organico dei cittadini fin dalle fasi di progettazione, si può pensare a contratti urbani per città resilienti e sostenibili in termini di mobilità, in cui riprogettare gli spazi urbani a partire dalle principali dorsali del trasporto pubblico locale, dalla riqualificazione urbana attraverso la pedonalizzazione e l’accesso ciclabile o solo con mobilità a zero impatto ambientale.

Importante, anche in questa area di intervento, lavorare per uno sviluppo di tutte le aree del Paese, tenendo conto della primaria necessità di colmare (o ridurre fortemente) i gap per portarle tutto grosso modo allo stesso livello.

 

  1. Reti e dorsali di alimentazione per le auto elettriche.

Uno gli ostacoli principali nel fare propendere i consumatori all’acquisto di auto elettriche rinviene, oltre che dal costo (su cui si può operare estendendo il sistema degli incentivi) alla scarsità della rete di alimentazione su sedimi pubblici, sia in ambito urbano che extraurbano. Nelle more di una programmazione nazionale, molto è lasciato a singole iniziative dei Comuni ovvero delle aree metropolitane. E’ necessario, anche con accordi con le principali imprese operanti in questo ambito, predisporre una programmazione nazionale, in grado soprattutto di assicurare una giusta dotazione di impianti per la ricarica in sedimi pubblici (ovvero, per quanto riguarda la rete autostradale, sulle aree di servizio) negli ambiti extraurbani e delle aree interne del paese. Appositi spazi di parcheggio in sicurezza dovranno essere predisposti per le auto a alimentazione elettrica.

Allo stesso tempo, il governo dovrebbe stilare una roadmap per l’eliminazione graduale della produzione e circolazione di motori a combustione interna e incentivare le tecnologie a zero emissioni. Ciò offrirebbe all’industria automobilistica la chiarezza e la prevedibilità necessarie per pianificare in tempo gli investimenti per la transizione.

Naturalmente a questo proposito non si può non tener conto che la creazione di questa dorsale di alimentazione, deve essere accompagnata dall’incremento delle infrastrutture stradali, specie nelle zone interne, delle regioni che, adesso, meno ne hanno, in specie quindi nelle regioni del Sud, per evitare che si perpetui, in questo modo, il noto effetto S. Matteo, per cui chi già ha, avrà ancora di più; e chi meno ha, avrà sempre meno.

 

  1. Sviluppo delle filiere industriali legate alla mobilità sostenibile e al TPL.

Nell’affermare il carattere strategico dei trasporti e delle infrastrutture per la strategia di ricostruzione e resilienza preconizzata dal PNRR va anche messa in campo una strategia di politica industriale vera e propria per la filiera produttiva italiana connessa alla mobilità sostenibile e al TPL, anche intervenendo in casi di acquisizione di “campioni” italiani del settore da parte di imprese estere. In effetti, va perseguita una politica industriale coerente nel campo trasportistico e infrastrutturale, attraverso investimenti sulla mobilità sostenibile sull’alta velocità e sulle reti regionali ferroviarie, sulla logistica integrata e l’intermodalità, assicurando nel contempo il rispetto delle norme del Codice degli Appalti e le tutele dei lavoratori impiegati a vario titolo nel settore.[7]

Ancora, autorevoli studiosi ed economisti già citati, ritengono che vada perseguita con forza (sempre nell’ottica di ottemperare a spirito e lettera dei dettami della EU, nonché a principi di base generali di economia e di sviluppo) una forte infrastrutturazione delle realtà produttive svantaggiate del Mezzogiorno, e una mobilità sostenibile, basata su Alta Velocità e Alta Capacità, in quelle aree che soffrono dell’assenza di tali infrastrutture. Ciò implica anche una rinnovata attenzione all’adeguamento delle linee ferroviarie cosiddette “tradizionali”, in modo che il traffico possa essere gestito sinergicamente assieme a quello delle linee di nuova costruzione.

 

  1. Politiche di mobility management.

In Italia la figura del Mobiliy manager è stata introdotta nel 1998[8] e il decreto cd. “Rilancio” del 13 maggio 2020 ne ha previsto l’introduzione a partire dalle aziende con più di 100 dipendenti ubicate nei capoluoghi di provincia o città metropolitana e comunque nelle città con popolazione superiore ai 50.000 abitanti. Essenziale, ai fini dell’efficacia delle politiche di mobility management aziendali e scolastiche, è l’integrazione con il mobility manager d’area, incardinato solitamente nelle amministrazioni provinciale/città metropolitane. Va previsto un rilancio espresso di queste politiche, a partire dal ruolo d’impulso e coordinamento istituzionale, da armonizzare anche nei Piani Urbani di Mobilità Sostenibile, la cui redazione, peraltro, tocca agli enti intermedi[9].

 

  1. Ammodernare la governance del sistema portuale: verso l’integrazione delle autorità portuali.

Il primo documento del PNRR individua come fondamentale la connessione dei porti di Trieste e Genova al sistema dei grandi corridoi transeuropei a nord delle Alpi, individuando come obiettivi di scenario da un lato la connessione attraverso i valichi alpini, dall’altro la risoluzione delle criticità legate al cosiddetto “ultimo miglio”.

Scienziati ed economisti, esperti di trasporti e logistica ritengono che tale impostazione, ancorché condivisibile in sé, deve tener conto che il forte atout italiano di costituire una vera e propria piattaforma logistica al centro del Mediterraneo, impone di dare un forte impulso ai sistemi portuali (insieme di più porti e zone portuali) di tutto il paese: oltre a Genova e Trieste-Venezia, vanno pensati come strategici per l’economia italiana i sistemi portuali di Napoli (Napoli-Castellammare-Salerno); Bari (Bari-Brindisi); Augusta-Gioia Tauro (Augusta-Catania-Gioia Tauro-Taranto); Palermo (Palermo-Porto Empedocle-Trapani). Obiettivo generale, quindi, dovrà essere quello di una integrazione dei sistemi portuali e delle relative autorità di governo e della creazione di multi-porti sulle dorsali tirrenica e su quella adriatica.

L’importanza della questione dei sistemi portuali si è toccata con mano proprio in queste ultime giornate, con la situazione di momentaneo “blocco” per incidente del canale di Suez: se costrette a circumnavigare l’Africa, le grandi navi-cargo non entrerebbero proprio nel Mediterraneo, ma andrebbero subito a Rotterdam o ad Amburgo, tagliando fuori l‘Italia da ogni traffico.  E proprio per questo nel PNRR bisogna dare ampio risalto ai porti d’Italia, baricentrici nel mar Mediterraneo (istituendo zone doganali intercluse; realizzando strade e ferrovie per i collegamenti e tutte le infrastrutture necessarie, ottimizzando la connessione funzionale dei porti dell’area meridionale del paese con le relative Zone Economiche Speciali (ZES).

Se i porti di Genova,  Trieste e Venezia possono essere la porta per l’Europa continentale, i porti siciliani, in particolare quelli CORE, possono diventare lo snodo di tutti i traffici da e per l’Africa e per il Vicino Oriente. Vanno pertanto fatti adeguati investimenti per il loro ammodernamento e per il loro collegamento con la rete dei trasporti su gomma e su ferro della regione. La Sicilia con i suoi porti CORE e il mezzogiorno possono e devono rappresentare la piattaforma logistica e culturale dell’Italia e dell’Europa nel Mediterraneo (Oss. SICILIA)

 

  1. Sistema aeroportuale nazionale

La medesima logica di integrazione dei sistemi va declinata per quanto riguarda il trasporto aereo e gli hub aeroportuali. L’attuale piano aeroportuale nazionale, se è vero che imposta una gerarchia tra gli scali, dall’altro non insiste sulla necessità di costruire sistemi aeroportuali integrati su scala regionale e macroregionale, basati sulla “specializzazione” dei nodi e sulla loro connessione a mezzo rotaia. Va inoltre aperto un tavolo tra ENAC, concessionari delle infrastrutture e città aeroportuali per distribuire in misura adeguata la quota di risorse delle tasse aeroportuali da rimettere ai territori per gli interventi di mitigazione e compensazione, oltre a quelli ordinariamente previsti dai piani di sviluppo dei singoli gestori.

 

  1. Revisione della disciplina delle concessioni.

L’attuale quadro normativo e regolatorio per la gestione delle grandi infrastrutture (autostrade, porti, aeroporti) prevede come strumento prevalente il ricorso alla concessione ad un soggetto privato concessionario. Pur sotto diverse fattispecie, in periodi anche recenti si è palesata la tendenziale sproporzione tra gli oneri in capo al concessionario e i benefici derivanti al medesimo, come nel caso di ASPI-Autostrade per l’Italia. Pare necessario avviare una riflessione sulla necessità di riorientare il quadro delle concessioni. In particolare, occorre incrementare le quote che i concessionari devono mettere a investimento per garantire il continuo efficientamento delle infrastrutture concessionate. Inoltre, va aperta un’altra riflessione sul fatto che i poteri pianificatori di cui ad esempio i gestori aeroportuali sono investiti, nei fatti trasformino i medesimi in veri e propri autori di programmazione urbanistica potenzialmente a prescindere da ogni dialogo con le comunità locali.

La riflessione sulle concessioni riguarda chiaramente anche il trasporto: la logica dell’affidamento a soggetti privati ha creato ingiustizie cui solo lo Stato può porre rimedio. Il caso più eclatante è il collegamento marittimo con le due isole maggiori (Sicilia e Sardegna), in teoria assicurato da una convenzione pubblica con Tirrenia-Cin  – l’ex azienda pubblica rilevata dal gruppo Onorato con un pagamento mai completato –  che nella pratica invece offre un servizio inadeguato a prezzi esorbitanti e per di più ha progressivamente tagliato negli anni rotte, sedi e personale.

Il trasporto è un servizio essenziale che lo Stato ha il dovere di fornire ai cittadini, senza differenze di alcun tipo: per questa ragione è indispensabile che resti sotto il controllo pubblico.

Il regime delle concessioni non ha funzionato perché, va detto chiaramente, i concessionari hanno condizionato il concedente sulla base di rapporti opachi. La responsabilità di tale patologico stato di cose è da attribuirsi in principal modo al concedente. La risposta deve consistere invece in un regime di totale trasparenza del regime concessorio (la concessione ASPI è stata segretata per molti anni sino a poco tempo fa) e in un ruolo più incisivo dell’Autorità di regolazione dei trasporti nella definizione dei parametri tecnici delle concessioni a cominciare dagli investimenti e dai loro ritorni.

 

  1. Superare la logica commissariale investendo nella PA.

Negli ultimi anni si è progressivamente ampliato il ricorso a figure commissariali per l’esecuzione di opere infrastrutturali. Se questa figura è senza dubbio legittima e opportuna in occasione di interventi infrastrutturali di natura eccezionale (p. es. la costruzione del nuovo ponte san Giorgio a Genova) occorre interrogarsi se l’eccessivo ricorso all’istituto commissariale non sia indice di una patologia piuttosto che di una fisiologia del sistema amministrativo e istituzionale[10], circostanza pure comprensibile in un frangente eccezionale, ma che rischia di avvitare se non si ritorna ad una fisiologia del sistema, investendo nel personale della PA e, laddove serve, semplificando e alleggerendo istituti come le conferenze dei servizi (peraltro già oggetto di revisione nel 2014).

 

  1. Il dibattito pubblico.

Ancorchè declinata secondo il principio della sostenibilità e della riduzione dell’impatto, ogni infrastrutturazione reca con sé un’impronta sugli ecosistemi e sulle comunità umane in cui essa interviene, donde l’ingenerarsi di potenziali conflitti, che non possono essere elusi, ma vanno governati, contemperando i diversi interessi coinvolti. Le scelte infrastrutturali devono integrare i principi dell’economia circolare valutando l’effettiva necessità del tipo di opera e delle possibili alternative al fine di proteggere la biodiversità (SDG14 e 15). E’ necessario pertanto, sia in fase di realizzazione di nuove opere, ma altresì in fase di aggiornamento dei contratti di programma, dei piani regolatori portuali e dei master plan aeroportuali, prevedere come obbligatoria la partecipazione dei cittadini, nelle forme del dibattito pubblico già sperimentato in Italia, ad esempio, da parte dell’Autorità Portuale del Mar Ligure Occidentale per il porto di Genova[11].

 

  1. L’Italia e lo spazio europeo.

La pandemia ha confermato la profonda natura export oriented della manifattura italiana, e la profonda dipendenza dai mercati esteri. Se è auspicabile che una parte della ripresa economica derivi dalla domanda interna, è innegabile che l’ancoraggio alle grandi catene del valore globale delle imprese italiane rimarrà come dato saliente del nostro sistema economico. In forza di tale evidenza, è necessario lavorare per assicurare le connessioni con il Mediterraneo e con il centro e nord Europa, avuto riguardo in particolare a quelle su ferro, all’interno di una strategia trasportistica e logistica integrata su scala nazionale.

In questa prospettiva una particolare importanza assume la strategia delle “Autostrade del mare” per spostare quote rilevanti dei trasporti di persone e merci sul vettore acqueo. Si tratta di una iniziativa che, avuto riguardo alla particolare morfologia del territorio italiano, può consentire ai porti italiani e, in specie, a quelli del meridione (a partire dai CORE) una proiezione verso il mediterraneo e il sud est asiatico.

È in questo contesto che va inserito il dibattito sul ponte di Messina.  La nostra contrarietà per ragioni ambientali, tecniche ed economiche è nota e fortemente motivata, ma per evitare una ennesima stagione di sterili polemiche se lo si ritiene lo si inserisca alla fine delle opere infrastrutturali indispensabili per far uscire dalla marginalizzazione il territorio e l’economia siciliana. Esso però va inserito a coronamento di tutte le infrastrutture indicate precedentemente e che devono essere prioritariamente realizzate, e  non può esserne invece un’alternativa.

 

  1. Digitalizzazione sostenibile delle mobilità

L’uso, la diffusione e l’integrazione dell’IA e dei big data possono dare uno slancio decisivo alla transizione verso un trasporto sostenibile e allo sviluppo delle smart cities facilitando una pianificazione efficiente e consentendo l’interoperabilità diverse modalità di trasporto. Allo stesso tempo, l’uso dell’IA e dei dati deve sempre essere incentrato sull’uomo e garantire la difesa della privacy e degli standard sociali. In questo senso, sono necessarie più trasparenza e inclusività nel processo decisionale e nella scelta degli algoritmi su cui si basano la piattaforme digitali nel settore dei trasporti. Oltre alla difesa dei consumatori, una digitalizzazione sostenibile dei trasporti deve assicurare soprattutto che le piattaforme digitali non raggirino la legislazione italiana sul lavoro.

 

  1. Le reti ferroviarie: dall’AV/AC al trasporto ferroviario regionale

Va perseguita la connessione delle principali aree regionali del paese con la rete di Alta Velocità e di Alta Capacità, tanto per il trasporto di persone quanto per il trasporto di merci, sia lungo la dorsale nord-sud, sia lungo la dorsale est-ovest. Centrale in questo senso sono le connessioni del cosiddetto “ultimo miglio” con i principali sistemi portuali, sopra richiamati, consentendo la connessione di tutta l’Italia con il Centro e Nord Europa: AV e AC, quindi, da Palermo fino a Berlino.

Fondamentale, assieme all’AV/AC, è la rete del trasporto ferroviario regionale, su cui oggi si incanala una quota considerevole del pendolarismo, soprattutto tra le aree metropolitane e quelle interne. Ciò cui si assiste oggi è, purtroppo, un mosaico di 20 diversi sistemi regionali di finanziamento e organizzazione dei soggetti gestori, con fortissime diseguaglianze in termini di standards di servizio, nelle cui maglie alligna sempre più la perdita di qualità del gestore pubblico rispetto a quello privato. Vanno studiate forme di coordinamento regionale al fine di assicurare adeguati livelli di erogazione dei servizi del trasporto pubblico ferroviario.

 

  1. Il lavoro di qualità

sui trasporti, in tema di Contratti di Lavoro, oggi vige una disomogeneità tra i vari comparti anche nei termini di applicazione (pensiamo ad esempio ai Rider, ma anche l’autonoleggio o la logistica). Questa situazione impedisce molto spesso la creazione di sinergie ed è certamente un disincentivo per la ricerca di solidità di sistema con ovvie ripercussioni sia sugli effetti generali che sulle aziende che sui lavoratori. I contratti di lavoro e le tutele per i lavoratori andrebbe sicuramente meglio regolamentato nei trasporti. In questo senso, va sempre prevista in caso di gare per la concessione dei servizi la clausola sociale che permetta di salvaguardare i livelli occupazionali.

 

 

[1] Ennio CASCETTA, infrastrutture, trasporti e logistica nell’era COVID-19, in Gazzetta forense, novembre-dicembre 2020

[2] In questo senso potrebbe essere recuperato il lavoro già approntato nella scorsa legislatura con l’indagine conoscitiva sul trasporto pubblico locale disponibile al link XVII Legislatura – Legislatura XVII-Commissioni permanenti- Indagini conoscitive- Dettaglio (camera.it)

[3] Si veda la Comunicazione sul Green Deal pubblicata dalla Commissione Europe nel dicembre 2019.

[4] Ad esempio, avuto riguardo all’annualità 2018, l’età media della flotta del TPL su gomma era di ca. 12,3 anni in Italia, a fronte di una media di 7 anni dell’UE.

[5] Secondo l’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile (ASVIS) ai 23,1 mld di euro già previsti nelle bozze del PNRR andrebbero aggiunti altri 11 mld ca. per assicurare un efficace ricambio del parco rotabile.

[6] Con idrogeno rinnovabile s’intende quello prodotto da fonti rinnovabili attraverso l’elettrolizzatore. Per le definizioni delle diverse forme di idrogeno, si veda la Comunicazione sulla strategia per l’idrogeno pubblicata dalla Commissione Europea nel luglio 2020.

[7] In coerenza tra l’altro con quanto richiesto dalle organizzazioni confederali di categoria in occasione dell’incontro con il ministro Giovannini Trasporti, nel Recovery plan manca una politica industriale – Collettiva

[8] DM 27 marzo 1998 recante “Mobilità sostenibile nelle aree urbane”

[9] Quegli stessi enti intermedi i quali, per colpa della riforma Del Rio, hanno negli anni vissuto il pesante depauperamento delle proprie professionalità, tra cui in particolare anche il settore dei Trasporti.

[10] Basti pensare alla recente nomina di 30 commissari per 59 opere pubbliche, procedura per altro prevista dal DL cd. “semplificazioni”

[11] https://formiche.net/2021/03/governare-conflitti-comin/