di Daniela Preziosi
Arturo Scotto, nella confusione di questi ultimi giorni Articolo Uno rischia di dover ripensare la sua partecipazione al congresso Pd?
Nella nuova redazione del regolamento, strappata alla fine di una lunga discussione, abbiamo ottenuto che voteremo al congresso con la tessera di Articolo Uno del 2022. L’ultimo tesseramento certificato al Congresso è di 13.500 persone. Ci viene chiesto l’impegno all’iscrizione nel 2023 a quello che noi chiamiamo “il nuovo Pd” come fine del percorso costituente. Il senso del percorso che facciamo non è un’adesione al vecchio Pd. E se alla fine del percorso c’è un nuovo soggetto è giusto iscriversi.
Quindi votate al congresso e poi entrate?
Ci impegniamo ad aderire alla fine del congresso costituente. Prima ci sarà l’assemblea costituente della settimana prossima dove il regolamento sarà approvato, e dove sarà approvata anche la carta dei valori, che non è un passaggio secondario. Perché se non viene approvata la carta dei valori, tutta l’operazione è monca.
Ma nel Pd molte voci chiedono che la nuova carta dei valori venga approvata dalla nuova assemblea, non quella uscente.
La modifica statutaria prevede che l’assemblea nazionale – oggi assemblea costituente composta dall’assemblea del Pd più componenti indipendenti e altri soggetti politici, tra cui noi, – approva la nuova carta dei valori. L’hanno votata nei loro organismi. Per derogare da questa scelta debbono di nuovo cambiare lo statuto.
C’è chi sostiene che l’assemblea uscente non ha titolo per modificare la carta dei valori.
Lo statuto prevede diversamente. Ed è l’impianto su cui noi abbiamo deciso di partecipare al congresso. Mettiamola così: il nuovo manifesto è il metro con cui si valuta se c’è un processo costituente o meno.
Lo saprete a fine gennaio?
L’assemblea sarà già convocata la prossima settimana. Capiremo lì e faremo battaglia per affermare questa scelta.
In questo ginepraio di regole, qual è la difficoltà politica di Articolo Uno?
Il punto non è la nostra difficoltà politica. Il punto è che noi abbiamo preso sul serio il percorso costituente. Abbiamo condiviso con Letta e con larga parte del Pd all’indomani della sconfitta del 25 settembre l’esigenza di aprire una fase nuova. Abbiamo persino sostenuto la proposta del sindaco di Bologna Lepore di cambiare nome al Pd, e inserire il lavoro nel nome del partito. Il tema era comunque fare una cosa vera e non un semplice restyling. Quest’analisi non è condivisa da tutti, non è una novità e non è un punto secondario. Non per noi ma per la sinistra italiana. Dal voto è emerso un elemento chiaro e inequivocabile, quello di una sinistra sradicata dai ceti popolari. Non sono tanto ingenuo da pensare che questo scollamento si risolve con una carta ben scritta. Ma se passa l’idea che abbiamo capito il messaggio – e dunque non faccio le stesse cose di prima ma provo a reimmergermi nella società e ad avere una nuova idea di sinistra – abbiamo fatto un primo passo. Letta ha colto questa necessità quando ha aperto la fase costituente, ma il percorso come è evidente non è stato in discesa.
Ma non sarà Letta il nuovo segretario.
Un partito va avanti al netto dei segretari. Un partito politico costruisce un impianto di valori condivisi e una rappresentanza di interessi sociali al netto di chi guida la macchina. Altri sono i partiti personali.
Siete sicuri che questo cambio di passo ci sarà a prescindere da guiderà il Pd?
È l’impegno che chiediamo a tutti. Per questo lavoriamo per chiudere bene il lavoro serio del comitato sulla carta dei valori, che produrrà un nuovo testo nel quale dovranno esserci le questioni poste nel dibattito.
Ovvero?
La chiusura della fase in cui si tifa per lo stato minimo e per il ritiro della mano pubblica, in cui si assecondano gli umori del mercato, in cui il lavoro è una variabile dipendente dove i diritti non sono più centrali. E che si vari un partito del lavoro, del progresso e dell’ecologia. Questi temi penso debbano essere patrimonio di tutti candidati, perché sono patrimonio della sinistra in questo paese. La visione ottimistica della globalizzazione, che aveva animato la fase nascente del Pd oggi non alberga più in nessun partito socialista o socialdemocratico in Europa, non è una richiesta di un gruppetto di sovversivi italiani nostalgici del 900, come qualcuno ha definito addirittura Orlando e Speranza dopo la prima riunione del Comitato Costituente. Stiamo vivendo una crisi sanitaria, una crisi economica che ha fatto schizzare l’inflazione a due cifre e sta riducendo lo spazio del lavoro, e una crisi geopolitica che sta cambiando gli assetti del potere globale: dire che non è successo niente è semplicemente una rimozione della realtà.
Avete deciso quale candidato segretario appoggerete?
Stiamo per fare una riunione con i segretari regionali, la settimana prossima la direzione di Articolo Uno. Io ho partecipato, e non a titolo individuale, alla presentazione della candidatura di Elly Schlein. Come sempre ragioneremo collettivamente e assumeremo un orientamento. Credo sosterremo il candidato, la candidata, con cui ci sarà la maggiore sintonia con le nostre idee, e che spinge di più perché ci sia un nuovo soggetto della sinistra in questo paese, al termine di questo percorso costituente.
Bonaccini è dato per favorito. Se vincesse lui non rischiereste di rientrare nel Pd e ricollocarvi in minoranza?
Non rientriamo nel Pd. Entriamo in un nuovo soggetto costituente. Non mi preoccupa in questo momento la collocazione congressuale. Mi preoccupa di riuscire a far portare nella fase costituente un impianto laburista e socialista che in questa fase manca nella riflessione della sinistra italiana, in tutte le aree, non solo nel Pd. Insomma, noi vogliamo da sempre costruire una forza che sia la rappresentanza del mondo del lavoro. Se avremo fatto questo la collocazione congressuale sarà secondaria. Se non ci riusciremo, non riusciremo a salvare la sinistra italiana. Per la prima volta lo spazio della sinistra democratica in questo paese non è più acquisito per sempre e non è destinato a durare nel tempo. Le rendite di posizioni sono finite anche per noi. La sinistra oggi è sostituibile anche da forze che non lo sono e non si dichiarano tali.
Dai Cinque stelle? Il tema delle alleanze è un po’ bandito da questo congresso.
Fino a poco tempo fa quando entravi in una sezione ti spiegavano che un partito – per essere tale – deve avere una visione della società chiara, di parte, una organizzazione e una politica delle alleanze. La politica delle alleanze non è l’ultimo punto, è uno degli elementi fondativi di un partito: l’idea di fare da soli, rimuovere il tema di chi è più vicino a te, anche se è diverso, e può dare una mano a costruire un campo progressista, è semplicemente una forma di antipolitica. E con i Cinque stelle abbiamo affinità su molti punti, certo di più rispetto al Terzo Polo che sta alla finestra ad aspettare di essere assunto con un contratto part-time dalla maggioranza di Giorgia Meloni. Calenda e Renzi sono nostalgici del jobs act, noi siamo per il lavoro stabile, noi siamo per migliorare il reddito di cittadinanza, loro per abolirlo, noi siamo per una svolta nell’economia con la funzione di programmazione dello stato, loro sono con la testa nel liberismo degli anni 90.
In Articolo Uno non tutti sono d’accordo con la partecipazione al congresso Pd. Che sta succedendo nella vostra base?
Abbiamo fatto un’assemblea nazionale a dicembre che all’unanimità ha votato il contributo che noi portiamo al congresso costituente. C’è un pezzo del nostro mondo che non condivide questa scelta, o la vive con sofferenza. Ma gli atti formali della nostra organizzazione vanno in questa direzione con larghissimo consenso. Non abbiamo fatto forzature, già nella scelta delle politiche c’era l’annuncio di questa fase costituente, con la lista Pd-Democratici e progressisti.
Anche Bersani è d’accordo?
Non devo parlare per lui, Bersani ha parlato all’assemblea nazionale scorsa. E ha ribadito che il percorso del congresso costituente deve essere vero, un impegno per una nuova forza di sinistra. Parole che condivido.