di Arturo Scotto
Sergio Mattarella ha usato parole nette e inequivocabili. A proposito della Costituzione ha ricordato che conta la persona in sé, non l’etnia. Sbarrando la strada a qualsiasi concezione di supremazia della razza. Il presidente ha scelto di dirlo in un momento delicato, dopo che alcune uscite pubbliche di un ministro rilevante e di peso nel governo del paese avevano suscitato nell’opinione pubblica disappunto e rabbia. Sostituzione etnica, razza, ceppo. Per poi fare marcia indietro e spiegare ciclicamente di essere stato equivocato. Il ministro Lollobrigida ha persino dichiarato – proprio sulle colonne dell’HuffPost – che era favorevole a eliminare la parola razza dalla Costituzione, facendo riferimento a una proposta di legge da me depositata a inizio legislatura che, per la verità, interveniva esclusivamente sulla Pubblica amministrazione e sui suoi atti.
Interessa poco se è una marcia indietro o un modo per uscire da una polemica. Ci sta a cuore la sostanza e che alle parole seguano i fatti. Io credo che vada superata la parola razza come spiega benissimo l’Istituto italiano di Antropologia da anni. Le nuove conoscenze sul Dna mostrano che gli esseri umani condividono il 99,9 per cento del patrimonio genetico e che il restante 0,1 per cento non rimandano a particolari tra gruppi. Ma attorno a quello 0,1 si sono consumate nella storia le più grandi tragedie: guerre, pulizie etniche, campi di sterminio, apartheid, leggi razziali. Attorno a quello 0,1 l’uomo ha praticato il sonno della ragione ed si è reso colpevole di crimini incancellabili. La Francia ha abolito il termine razza dalla propria legislazione già nel 2013, aprendo la strada a una innovazione per l’intera Europa.
In un bel corsivo sul Corriere della Sera Paolo di Stefano, scrittore e saggista, ha spiegato ieri che la parola razza ormai è da attribuire soltanto alla sfera non umana come spiegano numerosi studi di antropologi e di filologi. Questa settimana si apre la discussione e il voto nelle commissioni Affari Costituzionali e Lavoro della Camera sul Decreto per il rafforzamento delle capacità amministrative della P.A.: è l’occasione per far passare un principio di civiltà e per eliminare tutte le zone d’ombra di una letteratura giuridica arretrata e condizionata da altre – terribili – stagioni del nostro paese. Abbiamo presentato un emendamento – il 27.08 – che sostituisce per tutti gli atti e documenti della P.A. la parola “razza” con il termine “nazionalità”. Non è una questione di dettaglio, ma una rivoluzione. Perché sopprime quello che è un marchio di infamia che determina sin dalla nascita differenze che non esistono tra esseri umani che condividono lo stesso suolo e la stessa lingua. Ma da soli non ce la facciamo, non abbiamo i numeri e non ci interessa piantare bandierine. Serve un voto bipartisan. Auspichiamo che nella destra si apra un dibattito e si scelga una strada diversa. Sarebbe una bella pagina per il Parlamento italiano.