Intervista a Il Mattino
di Adolfo Pappalardo
“Due mandati consecutivi bastano. Vale per Regioni e Comuni. E non solo per De Luca”, ragiona Arturo Scotto, parlamentare dem napoletano eletto in Toscana. E sulle alleanze e sul modello di partito pende più verso lo schema Schlein che non verso quello annunciato da De Luca nell’assemblea dem della settimana scorsa.
Il Pd campano si dibatte sul terzo mandato del governatore.
“Per le cariche monocratiche due mandati consecutivi bastano e avanzano. Se il legislatore ha previsto questo vincolo l’ha fatto per evitare le concentrazioni di potere nelle mani di una sola persona, che è il principio basico di una democrazia liberale. Altre scelte appartengono a torsioni plebiscitarie che dovremmo combattere, non favorire. Per questo sono contrario ai terzi mandati. Nei comuni come nelle regioni”.
Lei viene da Articolo Uno, che Pd ha trovato?
“Mi approccio per questo in punta di piedi nel dibattito interno al Pd. Il percorso di Articolo Uno porterà a una piena adesione a breve con l’assemblea nazionale dove cambieremo mission e diventeremo un’associazione”.
Ma la Campania rimane a maggioranza Bonaccini.
“Abbiamo dato una mano alla Schlein perché il suo profilo rappresentava una rottura vera con il vecchio Pd, che si era separato radicalmente dalla radice fondativa di qualunque forma di vita a sinistra: il mondo del lavoro. In Campania, ancor di più, è stata una battaglia difficile perché lo schieramento che sosteneva Schlein era quasi del tutto fuori dal circuito istituzionale. Eppure come si vede ci sono mondi che tornano e provano a offrire un contributo di idee: penso innanzitutto all’appello partito da 168 intellettuali e personalità indipendenti della sinistra”.
Il Pd è stato di nuovo commissariato: provvedimento giusto?
“Era inevitabile, le vicende opache sul tesseramento avevano rivelato elementi di degenerazione gravissimi. Penso che questa scelta aiuti in questa fase dove la sinistra e il Pd devono tornare a parlare alla società campana”.
L’altra sera c’è stato uno scontro nell’assemblea del Pd. Con De Luca che insiste su un partito che valorizzi il suo lavoro.
“Un partito non è un megafono, serve reciproca autonomia e un confronto libero e schietto. Occorre coltivare una sinistra di governo, non una sinistra ‘del governo’. Io non butto via nulla, dico solo che va affrontata con rigore e serietà l’analisi di una stagione amministrativa”.
In che senso?
“Per me la domanda è la stessa di sempre: chi comanda? Se capisci chi comanda, puoi avere le risposte necessarie per cambiare le cose. Dobbiamo interrogarci laicamente se in questo decennio abbiamo cambiato la struttura del potere in questa regione. Per me questa è la funzione principale di un governo progressista, altrimenti mi viene difficile vedere le differenze tra destra e sinistra. Se abbiamo liberato forze oppure se abbiamo stabilizzato lo status quo. E – attenzione – non mi riferisco solo alla politica, sarebbe troppo facile e scontato. Il tema sono l’impresa, l’accademia, le professioni. Quando se ne vanno 22.000 ragazzi e ragazze all’anno significa che è palese che qualcosa non ha funzionato, che il meccanismo si è inceppato. Certo, non risolvi tutto dalla Regione, sono processi di lungo periodo ma non puoi nemmeno pensare che sei un passante. Il racconto troppo ottimistico stride alla lunga con la realtà”.
Al comune governa un’alleanza Pd-M5S che si vuole replicare per le prossime regionali.
“Credo che ci serva come il pane ricostruire una coalizione politica e sociale, in Italia come in Campania. Con la destra che abbiamo davanti – quella dell’autonomia differenziata, quella che considera la povertà una colpa e il lavoro una merce vile – dividersi è un delitto. Io almeno lavorerò sempre per unire, anche riflettendo sui miei errori. Preferisco mille volte confrontarmi con l’M5S anche sbattendo la testa sui nodi su cui non siamo d’accordo che costruire cordate provvisorie con civismi spesso deteriori, personalistici e ad alto tasso di trasformismo. Il cui collante unico finisce per essere solo il governo per il governo. Anche perché la storia finisce sempre allo stesso modo: quando cominci la fase discendente – nessuno è eterno – non tin ritrovi più nessuno dietro. Solo comitati elettorali”.