Pubblicato su Repubblica Genova
di Matteo Macor
Parla di “ricongiungimento familiare”, Arturo Scotto, nei giorni in cui a sinistra si celebra il ritorno in casa dem di militanti, elettori, dirigenti di Articolo Uno. In attesa dell’assemblea del mese prossimo in cui il fronte della scissione del 2017 deciderà la strada da prendere, quando e come trasformare il partito in associazione e contribuire alla ricostruzione del campo con una nuova forma, il coordinatore nazionale di Articolo Uno domenica scorsa era seduto tra i mille dell’assemblea del Pd di Roma che ha nominato segretaria Elly Schlein, di nuovo a presenziare (e intervenire) a un evento del proprio vecchio, nuovo partito. E oggi prova a tracciare la rotta possibile portando l’esempio di Genova, “dove in questi anni – si fa notare – il messaggio che ci è arrivato deve guidare anche i passi futuri: iniziando a lavorare insieme sui territori, con idee chiare, si può costruire un centrosinistra largo capace di vincere”.
Rivederla su un palco del Pd però fa un po’ effetto, lo sa vero?
Ci siamo ritrovati con alcuni compagni con cui abbiamo condiviso la militanza nella sinistra giovanile, mi hanno chiesto cosa avessimo fatto in questi anni, ho risposto loro che “non siamo andati a letto presto”. Sono stati anni in cui, da Articolo Uno, abbiamo provato a seminare e dare un tetto ai tanti che si son sentiti esclusi dal Pd.
E ora tornano a casa. Quanti convinti, quanti meno?
Più che altro tutti consapevoli che quello che c’è non basta. Bisogna lavorare subito per un processo costituente di una sinistra nuova.
Al netto dell’entusiasmo di queste ore, soprattutto nel Pd, come fanno a convivere nello stesso partito gli ex Articolo Uno e quelli che si dicono spaventati dalle immagini di Gramsci nei circoli?
Io mi sono formato in un partito in cui Gramsci e Gobetti camminavano insieme. Se allude a Marcucci, gli ricorderò che Gobetti è stato per anni critico letterario su Ordine Nuovo, il quotidiano dei comunisti torinesi, diretto da Gramsci. Non possono esistere pensieri di questo genere.
Però è vero che nel Pd c’è una componente anche ampia che la pensa come il Pd da cui siete scappati, sei anni fa.
Prenda l’esempio della Liguria. A Genova in particolare, in qualche modo, si è anticipato il processo che si sta mettendo in moto. Negli ultimi anni, al netto delle sconfitte elettorali, nel contesto locale abbiamo costruito un centrosinistra largo insieme a sinistre, M5S, soprattutto un Pd disponibile a dialogare sulla base dello stesso impianto di valori. È questa alleanza larga che serve per ripartire.
Che peso potrà avere, sul nuovo Pd, la componente Articolo Uno?
Il tema non è il peso, sono le idee. Questa sarà la fase dell’avventura, per fare il nuovo Pd dobbiamo sperimentare senza paura del nuovo e della nettezza delle posizioni. Noi in questa fase abbiamo provato a portare avanti il tema del lavoro, la centralità di una questione sociale che va ripresa dalle mani della destra e del M5S che ce l’hanno scippata.
Come, però?
Un esempio, facendo nostra la carta universale dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici su cui la Cgil ha raccolto milioni di firme. Se vogliamo superare la frattura del Jobs act, potrebbe essere un buon ri-inizio.
Come riuscirà a tenere tutto insieme la neo-segretaria dem?
La difficoltà non. sarà tenere tutto insieme ma far vivere il pluralismo dentro una linea politica chiara. Schlein lo ha detto: serve una sinistra plurale e di governo, ma anche femminista, con una posizione forte in tema di ecologia, lavoro, la pace come valore universale. Va fatta una discussione, ma sulla base di una gara di idee, non di posizionamento.
Che sintesi si troverà, in tema di armi? Sarà il primo scoglio del nuovo Pd di Elly Schlein?
Non si può liquidare il dibattito sull’Ucraina a un confronto tra acchiappanuvole e realisti. È un’aggressione, ma penso che si illuda chi pensa che il conflitto si chiude con una soluzione militare, e l’escalation di armi rischia di sancire questa illusione. Serve riabilitare la parola pace, che significa iniziativa politica. In questi mesi ha disertato, la politica. E lo stesso ha fatto l’Ue, che come ha detto Romano Prodi ancora appare paralizzata.