Scotto: il no al salario minimo è una truffa organizzata da Chigi

Politica e Primo piano

Pubblicato su Domani

di Arturo Scotto

Non è fazioso affermare che la bocciatura da parte del Cnel alla proposta di salario minimo – benché largamente annunciata – è il completamento ideale di una truffa congegnata direttamente a Palazzo Chigi. Il salario minimo sembra uno spettro per chi ha sempre fatto leva sulla rendita piuttosto che sul lavoro. La destra propone la ricetta di sempre: un modello produttivo che compete sulla scala globale con tutele scarse e salari bassi. La storia del salario minimo è un caso da manuale: per non affrontare un’emergenza sociale e politica, si mistifica, dilaziona, alla fine s’imbroglia.

Eccone la storia
Primo capitolo. Il 29 novembre 2022, il Parlamento vota su mozioni calendarizzate dall’opposizione sull’introduzione del salario minimo legale. La destra, maggioranza in Aula, le boccia tutte. Si crede ancora, media per il momento compiacenti, alla promessa di inaugurare una nuova stagione di relazioni sindacali. Promessa mancata.

Secondo capitolo. In Commissione lavoro vengono depositati sei disegni di legge delle opposizioni. Tre del Pd (firme Serracchiani, Orlando e Laus), uno di Avs (Fratoianni), uno del M5S (Conte) e infine di Azione (Richetti). Niente dalla destra, malgrado il presidente Rizzetto (FdI) fosse stato, nella precedente legislatura, primo firmatario di un ddl che introduceva una sperimentazione del salario minimo. Evidentemente l’emergenza salariale viene ritenuta archiviata in un paese che ha toccato l’11 per cento di inflazione.

Terzo capitolo. Il 23 marzo 2023 iniziano le audizioni richieste dalle opposizioni sul salario minimo. Dureranno quasi quattro mesi, nei quali saranno ascoltate tutte le organizzazioni sindacali e datoriali e gli enti preposti. Ricordo il compianto Domenico De Masi il 27 giugno. Nell’ultima audizione l’Istat, l’11 luglio, conferma l’esistenza di 3,5 milioni di lavoratori sotto i 9 euro e di circa 6 milioni considerabili fragili: pur con un salario minimo a 9 euro l’ora non arrivano a mille euro. Sono i precari, gli intermittenti, i fruitori di contratti part-time involontari, in particolare donne e giovani. Contemporaneamente viene depositata una memoria scritta del Cnel. Che – tutt’altro che a sorpresa – boccia il salario minimo. Tornerà non a caso utile qualche settimana dopo.

Quarto capitolo. Il 4 luglio, dopo due incontri riservati di delegazioni, le opposizioni riescono a produrre un testo unitario, che vedrà in ordine alfabetico le firme dei leader di M5S, Avs, Azione, Pd e Più Europa. Otto semplici articoli: valorizzazione della centralità dei contratti comparativamente più rappresentativi, la cifra del salario minimo a 9 euro, un fondo per aiutare le imprese ad adeguarsi entro ottobre 2024 alla soglia, una commissione che annualmente adegua il salario minimo rispetto all’andamento dell’economia costituita dal ministro del Lavoro (e non dal Presidente del Cnel), dall’Istat, dall’Inps e dalle organizzazioni più rappresentative di sindacati e lavoratori. È la prima volta che Schlein e Conte, Fratoianni e Calenda firmano un testo unitario. Una novità non da poco che rafforza il profilo e il peso della proposta e costringe la destra a fare i conti con la proposta.

Quinto capitolo. Chiediamo l’immediata calendarizzazione in Commissione per portarlo in aula prima dell’estate. La destra, colta di sorpresa dall’accelerazione, non ha alcuna proposta in campo. Il termine degli emendamenti scade il 14 luglio e la discussione generale e i voti iniziano il 17 in commissione. Obiettivo andare in aula entro fine mese.

Sesto capitolo. La destra presenta un solo emendamento, soppressivo dell’intera legge, prima firmataria Zurzolo (FdI). Una soluzione rozza e sbrigativa per evitare che si vada in aula con il testo integrale. Non era mai accaduto che la maggioranza agisse per la cancellazione integrale di una proposta delle opposizioni. È evidente che non vogliono consentire la discussione per le loro difficoltà interne (basti citare la definizione di “misura “sovietica” del leader di Fi Tajani, il quale presenta un testo sul lavoro povero senza menzionare il salario minimo legale) e nel rapporto con l’opinione pubblica.

Settimo capitolo. Le opposizioni, insieme, optano per una strategia di filibustering intervenendo in maniera massiccia in commissione, compresa una seduta notturna in cui si preparava un potenziale blitz della destra per affossare il testo. Le opposizioni reggono l’urto.

Ottavo capitolo. Il 21 luglio un sondaggio di Euromedia Research rivela un sostegno al salario minimo del 71 per cento degli italiani, compreso un pezzo rilevante dell’elettorato di destra. Il 25 luglio c’è la svolta: la destra sceglie di congelare il voto sugli emendamenti e andare in aula senza mandato al relatore della maggioranza. Dunque, non si voterà in Commissione e il dibattito si sposta in aula. La legge non viene cancellata. Una vittoria tattica delle opposizioni tutt’altro che scontata.

La controffensiva a destra
Nono capitolo. Il 27 luglio arriva in aula la discussione generale sul salario minimo. La destra infila una quantità impressionante di fake news a partire dalla litania sul rischio di affossare la contrattazione collettiva a cui si è di recente convertita. Peccato che paesi come Francia e Germania in cui vige il salario minimo abbiano sindacati forti che contrattano eccome. E che la destra non riesca a rinnovare un contratto, a partire da quello del Pubblico Impiego, 3,6 milioni di dipendenti.

Decimo capitolo. Il 3 agosto la destra, per bocca del capogruppo Foti, propone di votare una sospensiva di due mesi della legge per “approfondire meglio” il tema e avanzare una proposta alternativa. Il tono è vittimistico, come se non fossero loro al governo, ma è la prima volta che la maggioranza insegue una proposta unitaria delle opposizioni. La proposta passa a maggioranza: dopo quattro mesi di discussione, la strada che imboccano è la fuga.

Undicesimo capitolo. L’8 agosto Giorgia Meloni annuncia che chiederà incontro alle opposizioni. L’incontro si tiene l’11 a palazzo Chigi. Partecipano Pd, M5S, Avs, Più Europa, Azione. Italia Viva fa sapere di non essere interessata al confronto, d’altra parte è l’unico gruppo a non aver firmato la legge. Ma il quaderno degli appunti di Giorgia è vuoto. L’unica proposta che avanza è di affidare al Cnel uno studio sul salario minimo, da cui ricavare le proposte che il governo avanzerà. Una scelta imbarazzante: in un sol colpo viene nei fatti destituito il ministro del Lavoro e ridimensionato il ruolo del Parlamento.

Dodicesimo capitolo. Il 14 agosto le opposizioni lanciano una piattaforma on line, www.salariominimosubito.it, per raccogliere le firme a sostegno della legge. In poche ore firmano centomila persone, la destra prova a inquinare le acque parlando di firme gonfiate. Nelle settimane successive la petizione gira in tutto il paese, diventa il cuore dell’”estate militante” lanciata da Elly Schlein.

Tredicesimo capitolo. Il 12 ottobre il Cnel consegna lo studio a palazzo Chigi. 40 pagine di analisi e proposte dove il salario minimo viene inequivocabilmente bocciato. Votano contro Cgil e Uil e anche cinque degli otto esperti indicati dal Quirinale. Un fatto clamoroso: a favore di questo documento sono solo il 61 per cento dei membri effettivi, comprese le organizzazioni datoriali, la Cisl e altri sindacati autonomi. Emerge con chiarezza la volontà della destra di nascondersi dietro il Cnel per dire quel no che non è riuscita a pronunciare alla luce del sole.

Quattordicesimo capitolo. Il 18 ottobre il testo torna di nuovo in aula. Ma l’orientamento della destra è lo stesso di sempre: lanciare la palla in tribuna. Vogliono rinviare in Commissione il testo per approfondimenti con la scusa delle novità contenute nel documento del Cnel. Che sono esattamente quelle di luglio, prima che venisse commissionato lo studio da palazzo Chigi: no al salario minimo.

La breve cronistoria delinea come questa destra concepisce il confronto con l’opposizione. Hanno aggredito il salario minimo con una strategia di delegittimazione prima, di galleggiamento poi e infine di rinvio alle calende greche. Non hanno mai ragionato di merito. A oggi non hanno avanzato una proposta scritta, nonostante 59 audizioni e quasi un anno di discussione. La regia è stata tutta centralizzata a palazzo Chigi, che ha usato anche organismi di rilevanza costituzionale per aggirare la domanda principale di questa proposta: se ritiene civile e democratico che in un paese come l’Italia, un paese del G7, si possa lavorare sotto i 9 euro. Non ha risposto e non risponderà. Noi useremo ogni mezzo politico e parlamentare per pretenderlo.