di Arturo Scotto
Era nell’aria ed è avvenuto nella maniera più sbrigativa possibile. La Turchia di Erdogan ha fatto cadere il veto sull’ingresso della Finlandia e della Svezia per l’ingresso nella Nato. Il via libera è arrivato attraverso un Memorandum tra i tre paesi sigillato dalla firma del segretario generale dell’Alleanza Atlantica Stoltenberg.
Fin qui tutto inevitabile, i paesi scandinavi che abbandonano la tradizione neutralista e si collocano sotto la bandiera della Nato sono l’effetto inevitabile della scommessa sanguinaria di Putin con l’aggressione dell’Ucraina. L’eterogenesi dei fini esiste soprattutto in geopolitica e la politica estera e di sicurezza della Russia ne è una dimostrazione plastica. Eppure, la contropartita richiesta da Erdogan è profondamente inaccettabile.
Ancora una volta i curdi vengono traditi dall’Occidente, nonostante siano stati l’avamposto della lotta al Daesh, quando esso colpiva in maniera spietata nelle principali capitali europee e mieteva consensi tra migliaia di persone che sceglievano di fiancheggiare il califfato.
Come è noto i paesi scandinavi sono stati sempre un modello di accoglienza per i rifugiati politici per la difesa assoluta dello stato di diritto. Con il Memorandum questa opzione valoriale cade definitivamente, nel mirino di Erdogan finisce la richiesta – accettata – di cooperazione nella “lotta al terrorismo” del Pkk e dello Ypg e dunque la pretesa di estradizione dei loro militanti dalla Svezia e dalla Finlandia. Il Pkk è il partito dei Lavoratori del Kurdistan, ritenuto fuorilegge in Turchia e inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche dall’Ue dopo il 2002, scelta non riconosciuta come valida ad esempio dalle Nazioni Unite.
Lo Ypg/Pyd è invece l’organizzazione che ha combattuto direttamente sul campo in Siria e liberato Raqqa, sostenuta economicamente e militarmente dai paesi occidentali fino ad appena cinque anni fa. Chi non ricorda le sfilate di politici, giornalisti e intellettuali che correvano a fotografarsi con le fiere combattenti curde in tuta mimetica che difendevano le “nostre” democrazie dalle montagne del Kurdistan siriano? Lo sapevano benissimo che Pkk e Ypg erano praticamente la stessa cosa e che il loro modello di “confederalismo democratico” nasceva da una intuizione di Apo Ocalan, leader storico della resistenza curda, ormai da un ventennio nelle carceri turche per terrorismo. E sapevano pure che la Turchia di Erdogan non era “neutrale” rispetto alla gestazione “in vitro” dell’Isis: era il tempo in cui centinaia cittadini occidentali con la barba lunga sbarcavano senza controlli delle autorità nell’aereoporto di Instanbul da Parigi, Londra, Roma e si immettevano tranquillamente sulla cosiddetta autostrada della Jihad per raggiungere Siria e Iraq in nome del Califfato di Al-Baghdadi.
Erano i nostri nemici e a combatterli erano proprio i curdi. Finita quella guerra, con il ritorno nei fatti di Assad al potere e con il lasciapassare offerto a Putin di sventrare intere città per consentire al suo alleato di tornare a regnare su Damasco, la questione curda è tornata a non essere più di moda.
A Erdogan è stato consentito di arrestare il leader curdo del Hdp (il Partito democratico dei popoli), membro del Pse – di cui fanno parte anche le prime ministre della Svezia e della Finlandia – e di scatenare un’offensiva sulla Rojava, territorio conteso dai curdi e attualmente parte integrante della Siria. Una violazione del diritto internazionale in linea di principio non dissimile da quella operata da Putin sull’Ucraina: si attenta all’integrità di uno stato sovrano attraverso l’uso della guerra.
La riduzione della questione curda a mera emergenza terroristica rappresenta un messaggio pericolosissimo in tutto il Medio Oriente: uno dei pochi popoli laici e democratici viene abbandonato proprio dall’occidente in nome della difesa della laicità e della democrazia. Dalle parti di Bruxelles proveranno a ridimensionare gli effetti del memorandum, parleranno di obiettivi generici, ma credo che il precedente sia molto grave.
Quando il cinismo diventa l’unica bussola delle relazioni internazionali, parlare di universalismo dei diritti umani è solo retorica buona per i comizi. In mezzo ci finiscono i popoli innocenti. Che vengono idolatrati, poi masticati e infine sputati dalla logica della guerra. Anche quando essa viene accompagnata dall’enfasi della lotta per la democrazia. Oggi tocca ai curdi, domani paradossalmente potrebbe accadere agli stessi ucraini. Non si sa mai che Putin non ritorni a sedersi al tavolo dei grandi e tornare utile alla bisogna.