di Umberto De Giovannangeli
Alla Camera è stato tra i protagonisti di quella “battaglia sul salario” che ha messo in difficoltà il governo. La parola ad Arturo Scotto, capogruppo Pd alla commissione Lavoro alla Camera.
Il governo rincorre sul salario minimo. Una novità.
La battaglia sul salario minimo non è persa. Siamo solo all’inizio. I numeri in Parlamento sono quelli che sono, eppure c’è un pezzo rilevante di società che ha apprezzato due elementi fondamentali: la capacità di unirsi delle opposizioni e di farlo attorno a un chiaro contenuto di giustizia sociale. Dunque, toccherà andare nel paese reale a convincere le persone dell’utilità di questa misura coinvolgendo le persone e facendole partecipare a una mobilitazione straordinaria. Occorre moltiplicare la pressione verso il Governo andando in ogni piazza a spiegare le nostre ragioni. Il lavoro povero è la prima emergenza di un paese il cui paesaggio sociale è squartato vivo dall’inflazione alta e da un’idea di competizione nella catena del valore globale fondata su salari bassi, contratti precari e nessuna politica industriale. Per la prima volta la destra è all’inseguimento, non scandisce l’agenda. La verità è che sono andati in cortocircuito, in difficoltà nel rapporto col paese. Il loro racconto ottimistico si è fermato perché non riuscivano a motivare l’emendamento che sopprimeva l’intera legge. Pensavano di chiudere la partita in 20 minuti, ma in commissione hanno trovato uno schieramento determinato ad evitare questo sfregio inchiodandoli per ore a una discussione che non volevano fare. Alla fine la legge non è stata cancellata e l’emendamento congelato. Non era mai accaduto in questo primo scorcio di legislatura che la destra decidesse di fermarsi. Ora parlano di dialogo con l’opposizione. Noi siamo disponibili a sederci quando e dove vogliono. Ma si parte dal nostro testo. Che è l’unico in campo e che dice una cosa semplice: nessuno deve lavorare sotto i 9 euro lordi l’ora. Il governo prova a guadagnare tempo. La richiesta di sospensiva che verrà votata questa settimana in aula è un’operazione truffaldina. Non è un rinvio a settembre, ma nei fatti a gennaio. Perché come è noto non si possono varare leggi di spesa durante la sessione di bilancio. Quindi si sposta tutto di sei mesi: non sono riusciti a bocciare la legge, allora la conducono nel porto delle nebbie di una destra confusa e divisa. Comprano tempo, come se fossero dei passanti e non al potere. Va ricordato che la prima volta che è arrivato il salario minimo in parlamento è stato il 30 novembre del 2022, esattamente 8 mesi fa con il voto sulle mozioni. Le audizioni in commissione sono iniziate il 22 marzo, circa 4 mesi fa. Le opposizioni sono partite da quattro proposte diverse e hanno fatto una sintesi il 4 luglio, quattro settimane fa. In questi otto mesi Fratelli d’Italia e il centrodestra hanno avuto tutto il tempo di presentare una propria proposta, molto più dei 60 giorni che chiedono oggi. Fanno l’unica cosa di cui sono capaci: le vittime. Quando si è discusso di tutto questo la destra dove era? In Parlamento con noi e non credo dormissero.
In aula e sui giornali la destra ne ha sparate di bordate…
Abbiamo ascoltato castronerie inenarrabili. Quella più ridicola è stata pronunciata dal Ministro Tajani sul salario ricco contrapposto al salario sovietico proposto da noi. Salvo poi provare goffamente a rimediare con una proposta di legge che recuperava l’esigenza di un intervento sui salari bassi. Speriamo solo che per Forza Italia non sia un passo verso l’Urss, perché altrimenti ci saremmo molto preoccupati. Noi preferiamo vivere e lottare nelle liberaldemocrazie europee dove il salario minimo si applica quasi ovunque.
C’è chi sostiene che il salario minimo riduce lo spazio della contrattazione collettiva.
Chi dice questo, mente. Basta farsi un giro in Europa. Conoscono la Germania per caso? Lì il salario minimo è a 12 euro. Il 22 novembre dello scorso anno hanno rinnovato il contratto per 3,9 milioni di metalmeccanici con aumenti salariali netti dell’8,5 per cento. Significa che il salario minimo ha una funzione di “frusta” sulla dinamica salariale, non di ripiegamento verso il basso come sostiene la destra. I quali hanno finalmente scoperto che i sindacati servono dopo essere stati i teorici massimi della disintermediazione. Anche questo è un successo di questa iniziativa sul salario minimo: aver portato la destra a parlare di contrattazione. Tuttavia sarei curioso di conoscere il grado di coinvolgimento delle parti sociali nella prossima legge di bilancio. Perché finora ho visto tutto tranne che l’apertura di una nuova stagione di concertazione: il sindacato è stato messo alla porta anche quando hanno deciso improvvidamente di varare un decreto che hanno chiamato Primo Maggio. La vera sfida si chiama legge sulla rappresentanza: bisogna spazzare via i contratti pirata e restituire potere ai lavoratori.
Il governo prova a mettere pezze…
Hanno varato un dl Cigs-meteo per venire incontro ai lavoratori colpiti dalle ondate di calore originate dai cambiamenti climatici di cui finalmente si sono accorti pure loro. Ovviamente ci sono dei vuoti clamorosi: la mancata copertura della cassa per i lavoratori stagionali in agricoltura e per i rider ne è l’esempio più eclatante. Ennesima dimostrazione che per loro il lavoro povero non esiste. Ma la cosa più scandalosa è la proroga dei pagamenti per le aziende energetiche per la modesta tassa sugli extraprofitti. La scadenza era a fine giugno e invece con un codicillo tutto slitta al 30 novembre. Senza sanzioni né interessi aggiuntivi. Mentre ci sono famiglie sul lastrico che non riescono a pagare la rata del mutuo: lì nessuno gli accorda proroghe, lasciandole sole con il dramma del rischio di perdere la casa. Davanti all’impennata dei mutui la destra è in silenzio. E questo silenzio fa rumore.
Intanto scoppia la rivolta sociale, a partire da Napoli, una città che lei conosce molto bene.
La Meloni con un sms liquida mezzo milione di persone che non mettono insieme il pranzo con la cena, che non hanno i soldi per pagare l’affitto di casa, che non potranno comprare i libri di scuola per i figli. Mentre dicono no al salario minimo, con il taglio al reddito di cittadinanza dichiarano guerra ai più poveri. Ci vorrebbe un certo stile anche nell’essere cinici. Intanto questa decisione produce un salto nel vuoto: sindaci assediati, assistenti sociali che mancano soprattutto nel sud, le agenzie di collocamento al lavoro incapaci di provvedere alla domanda. Questo è uno strappo senza precedenti, è un abbandono del campo da parte dello stato che produrrà conseguenze nel tessuto sociale del paese. Nel Mezzogiorno in particolare: il combinato disposto tra autonomia differenziata e taglio ai sussidi sociali alimenterà le forze dell’antistato. Prepariamoci a un ciclo lungo di tensioni dove la destra potrebbe rispondere con il pugno di ferro. Garantisti con i potenti alla Santanché, giustizialisti con i giustiziati dalla vita.
“Prima grande riforma Meloni: aumento della povertà del 10%.”. Così ha titolato a tutta pagina l’Unità.
Hanno costruito una narrazione sulla contrapposizione tra reddito e lavoro. Facendo passare l’idea che la povertà fosse una colpa. Tant’è che hanno puntato subito ad abbattere i totem del reddito. Non rendendosi conto che come spiega lo Svimez senza questa misura le famiglie povere sarebbero state quasi 2,5 milioni, quasi 450 mila in più rispetto al 2020, cui corrispondono oltre 1 milione in meno di persone in condizione di povertà assoluta, di cui 750 mila nel Sud.
In una intervista a questo giornale, Paola De Micheli ha rilanciato la proposta di un reddito universale che garantisca a tutti indipendentemente dalla condizione sociale un reddito minimo di sussistenza.
Il lavoro umano va redistribuito perché di fronte a un salto tecnologico di tale portata nessuno può immaginare che tutto resterà come prima. Questa la sfida principale dei progressisti. Io sono da sempre favorevole a una misura universale di protezione sociale e penso che sia giusto aprire questo dibattito.
Nell’ultima Direzione nazionale del Pd, di cui lei fa parte, Elly Schlein ha lanciato “l’estate militante”. Una estate socialmente esplosiva…
Elly Schlein ha lanciato una sveglia in vista di un autunno che sarà difficile. La Cgil ha annunciato una mobilitazione straordinaria sul lavoro e difesa dello stato sociale. Mi ha colpito molto in questi giorni la capacità degli studenti del centro sperimentale di cinematografia davanti alla vergognosa operazione del governo che con un emendamentino al decreto P.A. mette le mani su un luogo di cultura che dovrebbe essere libero e autonomo. Il governo si balocca su dati della crescita purtroppo troppo limitati e socialmente squilibrati. Ma non sembra capace di dare risposte a chi è solo, sta male, non riuscirà nemmeno a farsi un tuffo al mare questa estate perché i costi di accesso alle spiagge sono proibitivi innanzitutto per un ceto medio che perde potere d’acquisto. Dobbiamo stare là dove la sofferenza sociale diventa più pressante, viverla come urgenza politica non soltanto come una dimensione etica del nostro impegno istituzionale: questo il senso dell’estate militante.