Scotto: effetto Melenchon, Articolo Uno inaugura il suo circolo a Parigi

Politica e Primo piano

Intervista a Repubblica

di Giovanna Casadio

“Questo è il tempo della sinistra”. Arturo Scotto, coordinatore di Articolo Uno, inaugura oggi a Parigi il circolo del partito bersaniano. Ricorda il percorso di Melenchon, e all’indomani del risultato elettorale francese, rilancia: “Gli elettori vogliono una proposta nettamente progressista, Enrico Letta lo sappia”.

Scotto, la sinistra di Melenchon fa il miracolo e Articolo Uno apre un suo circolo a Parigi?

“Il miracolo è che la sinistra in Francia torni in campo. Noi ci limitiamo ad aprire uno spazio di militanza e di riflessione in un Paese dove ci sono migliaia di italiani e dove quella che fino a qualche anno fa passava per un’immigrazione ricca e di qualità comincia a scontare i problemi della precarietà del lavoro e delle diseguaglianze. Ma comunque per una comunità come la nostra è un passaggio importante, cominciamo ad entrare anche in molte realtà europee. Per tornare al voto francese, cinque anni fa al secondo turno delle legislative la sinistra francese aveva il 13,5 per cento complessivamente, oggi oltre il 33. Passa da una cinquantina di seggi a 140. L’annuncio di morte della gauche era largamente presunto e non è vero che destra e sinistra sono superate”.

Ma il centrosinistra riformista e moderato, macroniano, ha quindi poco appeal? Vale anche per l’Italia, secondo lei? 

“Sono sempre molto prudente nel costruire parallelismi. Macron ha rappresentato un centrismo della rottura – una sorta di tecnopopulismo delle élite -, quello italiano invece è un centrismo della palude, del governo a tutti i costi e con qualsiasi formula politica. Di una cosa però mi sono convinto: non reggono più le ricette dove il tema della protezione sociale finisce in soffitta, dove a una generazione che ha conosciuto solo il lavoro intermittente gli spieghi che questa è una società delle opportunità e che basta ‘attraversare la strada’, come ha suggerito Macron, e il lavoro lo trovi facilmente. La rottura è avvenuta lì perché si è manifestata in maniera arrogante l’impotenza della politica. Il conflitto sociale, se lo cancelli per decreto, poi da qualche altra parte ti spunta”.

Lei conosce Melenchon? Sua moglie ha lavorato con il leader francese. 

“Elsa, mia moglie, ha lavorato con lui per due anni quando era ministro dell’educazione professionale nel governo Jospin. Quando accompagnavo mia moglie ai congressi nazionali del Partito Socialista, Melenchon, che rappresentava una minoranza significativa nel partito, era l’unico che quando prendeva la parola faceva scendere il silenzio in sala. Non volava nemmeno una mosca. Apparteneva alla razza in via di estinzione di intellettuali che avevano una capacità magnetica di infiammare le platee, un figlio della generazione allevata da Mitterrand dopo il ‘68. Ricordo che lo portammo nel 2003 a un convegno organizzato allora dal Correntone dei Ds a margine del Social Forum di Firenze e fu tra i primi dirigenti socialisti europei a capire che si stava aprendo una crepa tra la sinistra e una generazione intera su un’analisi troppo ottimistica della globalizzazione. Poi a un certo punto nel 2008 lasciò il Ps e iniziò una lunga traversata nel deserto. Credo che per Melenchon oggi sia scattato il voto utile a sinistra, come per anni è accaduto in Italia col Pd”.

La sinistra come deve tornare quindi in campo? 

“Ci sono differenze troppo grandi tra noi e la Francia per dire in maniera meccanica ‘dobbiamo fare come Melenchon’. Intanto noi abbiamo una sinistra, in tutte le sue articolazioni, nettamente più europeista”.

Lei ha scritto: in Francia c’è chi ha gridato contro il pericolo rosso e non ha visto la mucca in corridoio ovvero i sovranisti: anche da noi c’è  questo rischio? 

“Il rischio del neofascismo viene usato spesso come spauracchio per garantire una stabilizzazione in senso moderato. Quando invece ad avanzare nell’elettorato è una proposta chiaramente progressista, i liberali accantonano lo spauracchio e fanno finta che il problema non sia il loro. Persino lo sdoganamento della destra estrema torna utile per frenare una svolta a sinistra. La mostrificazione di Melenchon ha generato una paura nel voto dei ceti moderati che ai ballottaggi hanno scelto di astenersi o addirittura preferito la Le Pen. Qui c’è la responsabilità maggiore di Macron che non ha dato indicazioni al secondo turno tra sinistra ed estrema destra, non vedendo – per citare Bersani – che la mucca era nel corridoio e il vero avversario era la destra. Ha rotto la tradizione del voto repubblicano contro i fascisti creando un precedente molto grave. Una scelta che pagherà carissimo non soltanto lui, ma la democrazia francese”.

Articolo Uno pensa a un ricongiungimento con il Pd di Letta o siete tentati da una “cosa rossa” con Conte?

“Al nostro congresso abbiamo detto due cose molto chiare: unità del campo progressista con i Cinque Stelle di Conte e una proposta nuova a sinistra che parta dal nucleo dei soggetti che si riconoscono nel socialismo europeo, di cui il Pd è la forza principale. Abbiamo partecipato all’esperienza delle agorà, in alcune città abbiamo fatto liste comuni con risultati anche positivi. A ottobre abbiamo l’ambizione di mettere in campo questo progetto di unità e di cambiamento. Mi auguro che sia più netto possibile, perché quello che c’è oggi non basta sul piano programmatico ed anche simbolico. Serve una forza unitaria e plurale che traini la battaglia della coalizione. Da questo punto di vista l’esperienza francese – unità e rinnovamento – può darci qualche indicazione utile. Questo è il tempo della sinistra”.