di Arturo Scotto
Domani vota Israele. E sarà uno spartiacque. A confrontarsi sono due varianti della destra. Quella sovranista di Netanyahu, il mattatore della politica israeliana degli ultimi dieci anni, testa di ariete di un’insorgenza che ha come protagonisti Trump, Johnson, Bolsonaro e Salvini. Quella liberale di Ganz, che va a unirsi alla lunga sequenza di Generali che hanno condizionato la vita politica di quel Paese. In mezzo, una sinistra dispersa e marginale, frantumata nelle offerte elettorali, sradicata socialmente, destinata a lottare per superare la soglia dell’esistenza.
La prossima Knesset sarà indubbiamente il Parlamento più spostato a destra della storia, con i sostenitori di Oslo ormai ridotti al lumicino, isolati e senza leadership. Chiunque vinca domani – in questo scontro tra le due destre – nessuno darà una nuova accelerazione al processo di pace con i palestinesi.
Oggi il massimo sindacale sembra esclusivamente la limitazione dei danni, evitando la definitiva trasformazione dello Stato di Israele in stato ebraico e dunque etnico (come già previsto nella riforma costituzionale di un anno fa) e lo scivolamento verso il fronte di guerra iraniano.
Le minacce di Netanyahu sull’occupazione totale della Valle del Giordano rappresentano una rottura definitiva con la trama diplomatica degli ultimi 30 anni. In sintesi: a casa mia, faccio quello che voglio.
Anche qui nulla di nuovo: nel silenzio pressoché totale della comunità internazionale, in questi anni sono stati moltiplicati gli insediamenti e oggi parlare di uno stato di Palestina che è poco più che un’illusione ottica, la cui continuità territoriale in Cisgiordania non è nient’altro che una leggenda metropolitana.
La violenza con cui il governo di Israele ha stracciato i patti internazionali e imposto politiche di colonizzazione ha spianato la strada allo sdoganamento del neoisolazionismo della destra mondiale. Contro gli organismi sovranazionali, contro la mediazione delle agenzie intergovernative, contro le consuetudini e le leggi della comunità internazionale. E come sempre gli imitatori si moltiplicano: basti pensare alla reazione piccata e volgare di Bolsonaro davanti all’allarme mondiale scatenato dall’incendio della Foresta Amazzonica.
Per questo il voto del 21 settembre merita non solo attenzione, ma anche estrema preoccupazione. E di conseguenza un’iniziativa internazionale. Israele non ce la fa da sola ricostruire a un nuovo compromesso per la pace senza qualcosa di più della riproposizione di risoluzioni Onu già ampiamente disattese. Servono scelte: il riconoscimento dello Stato di Palestina e una forza di polizia internazionale a presidio dei confini. Da domani questo deve tornare all’ordine del giorno anche del nuovo governo italiano.