Scotto: certi riformisti non conoscono la parola riforma

Politica e Primo piano

Intervista a L’Unità

di Umberto De Giovannangeli

La sfida di Elly Schlein per un Pd più a sinistra. L’Unità ne discute con Arturo Scotto, deputato, capogruppo Pd in Commissione lavoro, ex coordinatore di Articolo Uno, membro della Direzione nazionale del Partito democratico.

Bufera su Elly Schlein per la sua partecipazione alla manifestazione di sabato scorso dei 5Stelle. Lei come la vede?

La scelta di Elly Schlein di partecipare alla manifestazione del M5S è stato un segnale chiaro. Scommettiamo sull’unità dell’opposizione e il Pd è la forza che se ne fa più carico perché si è chiusa la stagione dell’autosufficienza. Stare in piazza insieme contro il precariato è giusto in sé perché occorre stare ovunque torni centrale la questione sociale. Ma occorre anche tornare a riconoscersi sulle cose che uniscono e farlo vedere. La destra è minoranza nel paese ma maggioranza schiacciante nel parlamento perché noi ci siamo divisi meno di un anno fa. Se su salario minimo, beni comuni fondamentali, equità fiscale marciamo insieme, si comincerà ad aprire qualche crepa nel muro dell’infallibilità della Meloni. La sua forza di oggi è la diretta conseguenza delle nostre divisioni.

Fuori, ma anche dentro il Pd, c’è chi accusa la segretaria di una deriva movimentista.

Il nuovo Pd di Elly Schlein lo difendo con le unghie e con i denti. Era da tempo che una leadership non si presentava in una fabbrica o in una piazza senza essere contestato o fischiato. Ci dicono: non basta. Certo che non basta ma occorre investire su questa credibilità rinnovata. La segretaria ha detto che il cambiamento non è un pranzo di gala. Per stare su Mao ancora una volta aggiungerei che dobbiamo prepararci a una lunga marcia perché l’alternativa alla destra non si costruisce in pochi giorni. Ma non bisogna avere paura di sbagliare e di essere criticati se la bussola è quella della giustizia sociale. Le sette mobilitazioni lanciate ieri dalla Direzione nazionale mi sembrano una piattaforma di rilancio credibile per la sfida delle elezioni europee che non sono un passaggio qualsiasi.

Insisto. L’accusa: flirtando con i 5 Stelle e radicalizzando le posizioni sui diritti sociali e quelli civili, Schlein si allontana dal riformismo.

Chi distribuisce patenti di riformismo negandole alla Schlein soltanto perché parla con Conte oppure perché interloquisce con la piattaforma del sindacato mi stupisce. Per me la parola riforma significa allargare i diritti per chi non ne ha. Invece il riformismo degli ultimi anni i diritti spesso li ha tolti spacciandoli per adesione alla modernità. Se oggi abbiamo una difficoltà con un pezzo rilevante di popolo italiano non è per incapacità di comunicazione o perché non siamo bravi sui social o troppo poco “fighi” in televisione. Quella difficoltà è figlia di errori come l’abolizione dell’articolo 18, di leggi che hanno allargato la sfera della precarietà, di non aver capito in tempo che occorrevano strumenti universali di contrasto alla povertà, di non aver ingaggiato una battaglia contro la perdita del potere di acquisto dei salari. Oggi siamo al paradosso: il carrello della spesa crolla, ma i profitti dettati dalla speculazione crescono. Occorre uno strumento per indicizzare salari e pensioni, riaprire una stagione vera di contrattazione collettiva nazionale, far pagare un po’ di più quelli che hanno speculato dopo pandemia, guerra e crisi energetica. Se non si interviene sui prezzi si spezzerà il patto di cittadinanza. Questo vale anche per la nostra nuova iniziativa: la nostra sconfitta ha origine nella separazione dalla questione sociale, il resto sono chiacchiere.

Sulla questione sociale si apre un frontale con la destra?

Il governo di destra sta lavorando in maniera chiara per la parte che rappresenta. Con il dl lavoro – abusivamente denominato Primo Maggio – ha dato il via libera alla liberalizzazione totale dei contratti a termine. Significa condannare una generazione a una stagione di intermittenza permanente senza mettere un euro sulla formazione e senza immaginare alcuna forma di protezione verso il lavoratore licenziato. Addirittura si delega alla contrattazione individuale la possibilità o meno di rinnovare le causali. Siamo davanti a un disegno di disintermediazione totale che fa il paio con l’allargamento a dismisura dei voucher che cancellerà i contratti stagionali. Ci opporremo in Parlamento senza fare sconti. Arrivano 209 miliardi di euro – ammesso che li si riesca a spendere visti i ritardi ammessi dallo stesso ministro Fitto – ma al lavoro non arriva nulla. La condanna resta sempre la precarietà e, con la scusa della necessità di fare presto e scavalcare qualsiasi pastoia burocratica, si costruisce un nuovo codice degli appalti che autorizza i subappalti a cascata ovvero “il subappalto del subappalto” per comprimere ancora una volta i costi soprattutto sul lavoro ma anche sulla qualità delle opere. Uno scandalo che apre le porte a chi da sempre ci fa affari con la corsa al ribasso dei lavori pubblici: le mafie vecchie e nuove.

Cresce il disagio sociale. I numeri sono impressionanti. E dietro quei numeri ci sono persone, storie, fatica e speranza.

Entro il 2026 circa 300.000 dipendenti pubblici andranno in pensione prima del tempo, saranno addirittura 700.000 entro il 2030. Significa che avremo uno stato allo stremo, dai comuni alle funzioni centrali passando per la sanità. Serve un piano straordinario per l’occupazione pubblica, serve chiamare giovani e donne a ricostruire lo stato e salvare il welfare. Altrimenti tra poco sarà impossibile persino stampare una carta di identità in un ufficio anagrafe. Rischiamo il collasso delle istituzioni pubbliche e la conseguente privatizzazione dei servizi essenziali. Una quota di quegli investimenti pubblici vanno messi sui green jobs per prevenire i disastri ambientali che incombono sul nostro territorio. Una nuova 285 per l’ambiente che fu l’ultima grande operazione di innesto delle giovani generazioni nella P.A.: stiamo parlando del 1978. Per fermare questa deriva bisogna dire la verità: occorre riaprire una lotta senza quartiere contro l’evasione fiscale e redistribuire il carico fiscale facendo pagare di più le rendite. Se vuoi inaugurare una stagione di maggiore eguaglianza il fisco è la leva: diffido di chi pensa che i soldi scendano dalle stelle. Dunque, se dal Next Generation Eu ne usciremo con un lavoro più povero e dequalificato ci perderà tutto il sistema Italia. Ma io sono convinto che qui si gioca il clivage destra/sinistra. Occorre aprire un conflitto politico più radicale con i nostri avversari. Sono incapaci sicuramente di spendere le risorse – il dilettantismo di certe affermazioni lo testimonia – ma questo non basta.

Cos’altro, allora?

La destra non condivide le fondamenta del Pnrr perché pensa che il riscaldamento climatico sia un’invenzione di qualche scienziato pazzo, che la sanità pubblica debba essere rimpiazzata dalle mutue private, che i divari tra nord e sud non vadano colmati e per questo scelgono la strada dell’autonomia differenziata. La loro è un’impronta ideologica chiara che sulla transizione ecologica incrocia anche la sensibilità della parte più arretrata del capitalismo italiano abituato a stare nella competizione internazionale nella scala più bassa dell’innovazione. Forse qui c’è un problema che interroga noi: non siamo riusciti a costruire un blocco sociale di interessi che spingessero sulla realizzazione dell’intuizione del Next Generation Eu: impresa, sindacato, Accademia, amministrazioni locali, giovani e donne. Serviva un grande appello alla mobilitazione di queste forze autenticamente modernizzatrici come fu con il New deal di Roosvelt che divenne un grande fatto da narrare chiamando a raccolta le migliori energie intellettuali dell’America per uscire dalla crisi. Pensiamo soltanto al cinema, dalla letteratura, dal teatro che raccontò la grande depressione. Mi preoccupa un paese senza politiche industriali: guardiamo la vicenda Stellantis. Qui c’è il lavoro, le competenze, le fabbriche, ma il bastone di comando è trasferito in Francia. Nel frattempo riprende la CIG, i nuovi modelli scarseggiano perché non c’è stata la capacità di investire sull’elettrico e sui trasporti collettivi e rischiamo di qui a qualche anno la fuga dall’Italia. Cosa fanno i sovranisti di casa nostra? Nulla. Intanto sono 120.000 i posti a rischio se la transizione non viene accompagnata da una mano pubblica.

Il “nuovo Pd” abbraccia la causa del reddito di cittadinanza?

Io ho sempre difeso il reddito di cittadinanza: in tutti i paesi europei esiste uno strumento di contrasto alla povertà. L’Istat due giorni fa ha lanciato l’allarme su un quarto di italiani a rischio povertà. In pandemia senza il reddito – compreso quello di emergenza – avremmo avuto città fuori controllo. Il governo opera una rimozione e fa cassa sui più fragili. Oltre un milione di persone scivoleranno ancora di più in basso, ma la reazione tarda ad arrivare. Qui forse c’è qualcosa che non ha funzionato nell’operazione reddito. Come dire, è passata l’idea che fosse un sussidio octroyé, non un diritto universale. Eppure nei prossimi anni le tecnologie bruceranno posti di lavoro e il nodo di un reddito universale accompagnato alla redistribuzione dell’orario di lavoro per tutti sarà mia sfida sempre più centrale e incalzante.

In generale, che destra è quella che governa l’Italia?

Attenzione: questa destra ha una marca simile in tutta Europa. Vive dell’insofferenza nei confronti della separazione liberale dei poteri. Dunque è allergica a qualsiasi forma di controllo di legalità. Sono garantisti con i colletti bianchi, ma alzano le pene sui ragazzi dei rave party. Ma è anche cinica nel fabbricare nemici immaginari. Pensiamo al DI Cutro: la stretta che ne deriva getterà centinaia di migliaia di persone nell’irregolarità producendo le ragioni della loro futura campagna elettorale. Loro creano il problema e contemporaneamente si candidano a risolverlo cavalcando la paura. Intanto, il nostro tempo si riempie di tragedie incalcolabili come quella di Kalamata in Grecia: ma nessuno prova un po’ di vergogna? Serve una nuova Mare Nostrum europea: è quanto mai urgente.