Rossi: l’autonomia differenziata un attacco alla democrazia

Politica e Primo piano
Intervista a La Gazzetta del Mezzogiorno
di Leonardo Petrocelli
Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana ed esponente di Mdp-Articolo 1, l’autonomia differenziata di alcune regioni del Nord, Veneto e Lombardia in testa, potrebbe diventare realtà entro la fine dell’inverno. Qual è la sua posizione?
«Sono molto preoccupato perché stiamo parlando di un processo che tocca l’architettura istituzionale del Paese e l’allocazione di risorse fondamentali per i cittadini».
Quali sono i nodi più spinosi?
«Innanzitutto, la volontà di trattenere sui territori gli introiti fiscali destinati a Roma. Un’operazione che rischia di danneggiare le regioni più povere e quelle a minor capacità fiscale. E poi l’idea di rivendicare la competenza esclusiva su ben 23 materie, fra cui l’istruzione. Purtroppo su tutto questo è mancato un dibattito pubblico e serio».
L’iter però è andato avanti. Ritiene sarà completato?
«Guardi, qui le cose sono due. 0 stiamo parlando del nulla, cioè di una grande operazione di propaganda che la Lega sta utilizzando per coprire il fallimento conclamato delle sue politiche».
Oppure?
«Oppure, se c’è sostanza oltre i proclami, ha ragione Emma Bonino: siamo di fronte ad un attacco, l’ennesimo, alla democrazia. Nell’uno e nell’altro caso, si tratta di fatti gravissimi».
Ma lei è contrario all’autonomia?
«Non in assoluto. Anche la Toscana ha immaginato un percorso. Ma la mia delibera parla di un regionalismo collaborativo e di una autonomia ben temperata».
Non è il diavolo, insomma…
«Io sono per un riordino costituzionale che vada in direzione di un regionalismo cooperativo ma che non lasci nessuno solo e renda le regioni protagoniste in una quadro di governo chiaro».
Gli ultras dell’autonomia differenziata sostengono, però, che potrebbe essere una occasione anche per il Sud.
«È un ragionamento che non tiene, oltretutto esternato mentre la Manovra taglia gli investimenti nel Mezzogiorno. Sa cosa penso?»
Prego…
«Che il contratto di governo prefiguri una specie di scambio. Il Nord si autogoverna e corre in solitaria grazie all’autonomia. Una sorta di secessione silenziosa dei ricchi. Mentre il Sud dovrebbe accontentarsi di un po’ di assistenzialismo attraverso il reddito di cittadinanza. E invece la questione meridionale dovrebbe essere riportata al centro con un grande piano che punti sulle infrastrutture e sostenga il lavoro, le imprese, la sanità».
Un toscano si fa portavoce degli interessi meridionali?
«È molto semplice. Io governo la Toscana e mi occupo prioritariamente della costa. Perché se quest’ultima crescesse come il centro, la Regione volerebbe. È lo stesso ragionamento può applicarsi anche a livello nazionale».
Passando al dato politico, è fra quelli che ritengono che tutto questo sveli che l’anima della Lega è ancora «nordista»?
«Non c’è dubbio. È il ritorno di una vecchia idea mai tramontata: il Nord fa da solo, mentre il Sud è straccione. Serve opporre una risposta unitaria e cooperativa».
Immaginiamo si riferisca a una risposta «da sinistra». Eppure anche l’Emilia-Romagna, a guida dem, segue lo stesso percorso di Veneto e Lombardia. E tanti esponenti del Pd, nelle due regioni capofila, simpatizzano per l’autonomia differenziata. Un cortocircuito?
«Purtroppo spesso si ha l’impressione che il Pd insegua la destra, temendo di essere spiazzato dall’attivismo leghista. Ma la storia insegna che è una scelta suicida: fra l’originale e la copia, la gente sceglie sempre l’originale come rivela anche la questione migranti».
E dunque?
«La sinistra deve ricostruire il proprio profilo politico e culturale anche promuovendo una analisi seria, con conseguenti proposte, sui temi della coesione nazionale e della questione meridionale».
C’è qualcuno dei candidati alla segreteria del Pd con cui ritiene sia possibile avviare questo tipo di dialogo?
«Direi Zingaretti ma auspico che, su tali nodi, anche Martina dimostri sensibilità».