Panzeri: quando i portuali genovesi bagnano il naso ai politici

Politica e Primo piano

Intervento su Huffington Post

di Antonio Panzeri

Ci sono ministri che chiudono i porti alle persone e poi ci sono i portuali di Genova che chiudono i porti alle armi. O meglio, che scioperano al momento giusto perché, come loro stessi hanno spiegato, non si possono chiudere i porti: per qualsiasi nave entrare in un porto è un diritto assoluto, solo Salvini sembra non averlo capito.

Tuttavia, quando questa mattina la nave saudita Bahri Yanbu ha attraccato a Genova per caricare un generatore utilizzato in ambito militare, i portuali hanno incrociato le braccia, affermando di non voler essere complici della Guerra che l’Arabia Saudita sta portando avanti in Yemen.

Dal 2015, lo Yemen è soffocato da una guerra che ha causato quella che l’Onu ha definito come la peggiore crisi umanitaria degli ultimi anni nel mondo. 23 milioni di persone necessitano sostegno umanitario, oltre due milioni di persone sono state sfollate all’interno del paese, quasi 14mila hanno perso la vita e oltre 40mila sono state ferite. Inoltre, la carestia ha portato 8,4 milioni di persone in condizioni di grave insicurezza alimentare e a rischio di morire di fame.

Questi sono gli esiti della guerra che l’Arabia Saudita e i suoi alleati stanno portando avanti in Yemen servendosi di armi prodotte in Europa. Ci sono bambini nello Yemen che non hanno visto altro nella loro vita che le macerie del loro paese: non sanno cosa sia l’Unione europea o dove si trovino i suoi Stati membri, l’unico contatto che hanno è dato dal luogo di fabbricazione impresso sui resti delle armi abbandonate vicino alle loro case.

Più volte il Parlamento europeo nelle sue risoluzioni ha esortato gli Stati membri ad astenersi dal vendere armi e attrezzature militari all’Arabia Saudita, agli Emirati Arabi Uniti e a qualsiasi membro della coalizione internazionale, nonché al governo yemenita e ad altre parti del conflitto. Eppure questo richiamo ha sortito deboli effetti.

La Germania ci ha provato, imponendo un embargo sulle esportazioni di armi verso l’Arabia Saudita e catalizzando così su di sé le critiche dell’industria delle armi e di Francia e Regno Unito, secondo i quali sarebbero stati messi a rischio progetti comuni. Lo scorso mese invece, il sito investigativo Disclose ha pubblicato un report nel quale si indicano mappe con il posizionamento delle armi di fabbricazione francese in Yemen e sul confine saudita, tra cui carri armati e sistemi missilistici a guida laser.

E l’Italia, purtroppo non è da meno con l’azienda di proprietà tedesca e sede in Sardegna. Sembra che nessuno faccia caso alla legge italiana e al diritto internazionale, che imporrebbero all’Italia il divieto di vendere armi a un paese impegnato in un conflitto armato, com’è il caso dell’Arabia Saudita. Eppure, nonostante in passato il Movimento 5 Stelle si sia espresso contro la vendita di armi all’Arabia Saudita, il governo non sembra intenzionato a metterci becco, soprattutto per volontà della Lega.

Per fortuna, accade spesso che dove non arriva la politica arrivano i cittadini. E così i portuali di Genova, guidati dai rappresentanti Cgil e sostenuti da numerose associazioni pacifiste, questa mattina hanno scelto di schierarsi, facendo quello che il governo italiano non ha ancora avuto il coraggio di fare.

Hanno deciso che non si sarebbero resi complici del disastro umanitario dello Yemen, non avrebbero caricato su quella nave materiale che sarebbe potuto essere utilizzato dall’Arabia Saudita per perpetrare questa guerra disumana. Hanno deciso di farlo e di comunicarlo a tutto il paese affinché tutti gli italiani potessero rendersi conto che quella guerra, così distruttiva, non è poi così lontana da noi.

Lo hanno fatto coscienti del fatto che quando si esporta la guerra è scontato che ci si ritroverà a importare migranti e rifugiati. Quindi forse conviene chiudere i porti prima, evitando di alimentare conflitti, povertà e fratture sociali in quelle delicate regioni che si trovano nei pressi della nostra Unione europea.

Solo sostenendo quei paesi nel raggiungimento della loro stabilità e sicurezza otterremo anche una migliore gestione del fenomeno migratorio. Non certo chiudendo i porti e facendo la voce grossa di fronte a dei disperati.