Panzeri: dopo Danzica la politica torni ad assumersi la responsabilità delle parole

Politica e Primo piano

Intervento su Huffington Post

di Antonio Panzeri

La Polonia non è solo l’autoritarismo di Kaczynski o la violazione dello stato di diritto.

No, la Polonia è anche la svolta segnata da Solidarnosc, è la lotta per i diritti delle minoranze, è la tolleranza delle diversità, è la libertà per tutti. La Polonia è anche tutto questo, o almeno lo era fino a ieri, fino alla morte dell’uomo che più di tutti incarnava queste battaglie.

Pawel Adamowicz è morto in ospedale lunedì 14 gennaio, dopo che un 27enne lo ha accoltellato di fronte a una piazza piena di persone accorse per assistere a un evento di beneficenza. Adamowicz, sindaco di Danzica dal 1998, era sul palco, quando è stato assalito dalla rabbia cieca del giovane. La corsa in ospedale, il lungo intervento chirurgico e le code di cittadini pronti a donare il sangue per lui non sono bastati a salvargli la vita.

Adamowicz credeva in una Polonia che fosse europeista, pluralista e tollerante. Una Polonia diversa dai contorni che sta tracciando il partito Diritto e Giustizia guidato da Jaroslaw Kaczynski che negli ultimi anni non ha fatto che basare la sua politica su una propaganda antieuropeista, di chiusura nei confronti dell’immigrazione e di ritorno a un cattolicesimo arcaico.

Un atteggiamento che si rispecchia anche in passi indietro nel campo dei diritti dei cittadini polacchi, come ci hanno mostrato le numerose manifestazioni dei mesi passati che hanno riunito uomini e donne nelle piazze per difendere il diritto all’aborto o un sistema giudiziario libero.

La Polonia ha rappresentato il primo paese nel quale è tornata ad affacciarsi una destra che sembrava dimenticata, la destra spaventosa delle chiusure e delle intolleranze. Quella chiusura di stampo securitario condotta da chi è pronto a sacrificare i diritti civili in nome di un ritorno all’ordine che in passato ha portato solo guai.

Quella di Kaczynski e del suo partito Giustizia e Diritto è stata una propaganda martellante, sviluppata in occasione delle elezioni del 2015 e che non si è mai fermata. Il dito era sempre puntato verso il capro espiatorio di turno che il più delle volte era identificato con i migranti o con l’Unione europea.

Per questo la Polonia è diventata un tassello fondamentale del gruppo di Visegrad, all’interno dell’Unione Europea (senza la quale il paese non avrebbe potuto registrare l’importante sviluppo economico di cui ha goduto), ma sempre contraria alla collaborazione con gli stati membri, a partire dalla gestione dell’immigrazione.

Le parole e le immagini sono importanti e generano sempre conseguenze.

Sono ancora in corso gli accertamenti per capire cosa abbia spinto il 27enne ad accanirsi su Adamowicz, tuttavia è plausibile che il clima di odio diffuso nell’opinione pubblica, anche attraverso il duro linguaggio messo in atto dalla politica, abbia contribuito a mettere al centro della tempesta proprio colui che dedicava la propria vita a smontare questa retorica dell’intolleranza, il sindaco di Danzica.

Questo episodio dovrebbe farci riflettere e dovrebbe convincerci a fare un passo indietro. La politica deve tornare ad assumersi la responsabilità delle sue parole, tenendo ben presente che anche l’immediatezza di un Tweet o di una diretta Facebook deve misurare i termini ed essere specchio di riflessioni accurate e ponderate. E ciò deve accadere in Polonia, in Italia e in ogni paese europeo.

Serve tenerlo a mente ancor di più in questi mesi che ci preparano alle elezioni europee, un appuntamento cruciale, forse ancor più del solito, per il futuro della nostra Europa.

No, la Polonia non è solo chiusura e intolleranza. La Polonia, anche oggi, continua ad essere tutto quello che Adamowicz ci ha trasmesso con la sua attività di uomo e di politico. Ce lo hanno dimostrato anche le manifestazioni spontanee contro l’odio e l’intolleranza che hanno inondato le vie delle principali città polacche la sera della sua morte.

Portiamo avanti la missione del sindaco progressista sollecitando sempre un confronto che sia rispettoso e corretto, spegnendo i focolai di propaganda violenta il cui unico intento è approfittare delle difficoltà delle persone per trasformare le loro sofferenze in armi taglienti e talvolta mortali.