Panzeri: cercando un altro Egitto. (Perché vendere armi è stupido)

Esteri e Primo piano

Pubblicato su Huffington Post

di Antonio Panzeri

Mentre il consiglio esecutivo del Fondo monetario internazionale si riunirà alla fine del mese per approvare un prestito di 5.2 miliardi di dollari all’Egitto e si annunciano misure di austerità per gli egiziani, il regime di Al Sisi è riuscito nell’impresa di acquistare due fregate Fremm da Fincantieri per un valore stimato attorno a 1.2 miliardi di euro. Le due fregate erano state inizialmente costruite per la marina militare italiana che ora dovrà attendere più a lungo, in quanto il governo italiano sembra aver dato l’assenso alla vendita all’Egitto.

Secondo le notizie riportate dalla stampa qualche giorno fa, l’accordo finale è stato raggiunto 48 ore dopo una telefonata tra il primo ministro italiano e il leader egiziano Al Sisi. Ironia della sorte, questa telefonata è stata formalmente “venduta” come occasione per parlare della vicenda libica e del caso Regeni.

A pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina, diceva Giulio Andreotti. È interessante notare che l’approvazione della vendita arriva in concomitanza con l’accordo del FMI per un prestito di emergenza di 5.2 miliardidi dollari poche settimane dopo che il consiglio esecutivo dello stesso FMI ha concesso un altro prestito di emergenza di 2.77 miliardi di dollari all’Egitto. Dal 2016 al 2019 l’Egitto aveva già ricevuto 12 miliardi di dollari dall’FMI come incentivo a improrogabili riforme strutturali. Ma l’impegno egiziano sembra andato in tutt’altre direzioni.
Molti oppositori e commentatori hanno messo in dubbio l’impatto di questi mega prestiti sulla popolazione egiziana: il tasso di povertà è aumentato del 17%, il 60% della popolazione è considerata povera o vulnerabile dalla Banca mondiale, il sistema sanitario e dell’istruzione stanno crollando e il debito estero è triplicato. Sebbene non ci siano informazioni pubbliche disponibili per capire come siano stati utilizzati i fondi del FMI dal 2016 (si veda la petizione lanciata per chiedere al FMI di condizionare ogni futuro prestito all’Egitto a criteri di trasparenza, responsabilità e diritti umani), enormi risorse finanziarie sono state spese in progetti di nuove città riservate alle élite, in sontuosi palazzi presidenziali e naturalmente nel commercio di armi.

L’Egitto è il terzo importatore di armi al mondo. In questo quadro la vendita delle due fregate e di altro materiale bellico non è solo una beffa, ma descrive bene il paradosso politico italiano.

Da un lato emerge un’assenza totale di sensibilità politica: da tempo è stata richiesta dopo l’omicidio di Giulio Regeni la verità, verità mai arrivata. Molte delle prove e delle testimonianze raccolte indicano che Giulio Regeni sia stato rapito, torturato e ucciso dalle forze di sicurezza egiziane, ma dalle autorità egiziane è prevalsa la riluttanza a collaborare con la giustizia italiana. Anche la vicenda dello studente dell’università di Bologna Patrick Zaky, detenuto in Egitto dallo scorso febbraio, ne è testimonianza.

Dall’altro lato emerge un totale disordine della politica estera italiana: nello scacchiere mediterraneo, e particolarmente attorno alla questione libica, Egitto e Italia non hanno le stesse posizioni. Al Sisi continua a foraggiare Haftar e l’Italia dovrebbe essere con il governo Al Serraj, l’unico riconosciuto dalle Nazioni Unite.

Ora, che si debba lavorare per la pace in Libia, rientrando nel “gioco” rapidamente è senza dubbio urgente, ma che in attesa che si produca tutto ciò, l’Italia venda armi a un paese che sta da un lato opposto del tavolo libico, sembra oggettivamente un comportamento stupido.

Ecco perché attorno a questa vicenda sono apparse giuste e doverose le critiche fatte all’operato del governo italiano e altrettanto chiaro l’imbarazzo di tanti che vedono piegati sull’altare di uno sciocco realismo politico i diritti umani.