Oggionni: non c’è spazio per un governo con M5S, occorre la Sinistra

Politica e Primo piano

Pubblicato su Huffington Post

di Simone Oggionni

Ancora una volta, purtroppo, la realtà supera la fantasia. A quattro giorni dall’apertura della crisi di governo, nel giorno in cui Salvini, con l’ennesima mossa politicamente impeccabile, riapre la prospettiva di un’alleanza di centro-destra unita e allargata a Berlusconi (e che oggi gli darebbe probabilmente la maggioranza assoluta dei voti degli italiani), che cosa facciamo noi? Noi del centro-sinistra, intendo? Non troviamo niente di meglio da fare che litigare e, dentro il Partito democratico, alludere a (o organizzare) una scissione.

Su cosa? Sulla politica economica e sociale, sul lavoro, il giudizio sul Jobs Act o sul reddito di cittadinanza? Sul tema delle pensioni? Sulla riforma costituzionale? Sull’Europa, forse, sulla politica internazionale?

No, sul rapporto con il Movimento Cinque Stelle e sulla durata della legislatura. Con una (a volte comica) inversione delle posizioni, con una parte di quelli che fino a ieri erano a favore che diventano contrari e con quelli che fino a ieri erano contrari che improvvisamente diventano a favore.

Già questo servirebbe a spiegare perché a votarci siamo rimasti in pochi.

In attesa di luoghi formali per discutere e decidere (ognuno ha i suoi, e prima che i gruppi parlamentari sono i gruppi dirigenti dei rispettivi partiti), la mia opinione è la seguente.

L’Italia sta correndo un enorme rischio democratico. L’evocazione dell’assunzione dei “pieni poteri” da parte di Salvini è soltanto l’ultimo e più lugubre segnale di una vera fascistizzazione della destra italiana.

Il punto è capire perché questa destra è cresciuta così tanto ed è così forte nella società italiana. Non c’è qui lo spazio per articolare analisi complesse. Riassumendo, si può dire che è cresciuta per tre fattori: innanzitutto per il fallimento delle ricette del centro-sinistra di questi anni (politiche d’austerità, lesive dei diritti e del potere d’acquisto delle fasce popolari).

In secondo luogo per il contributo di insipienza, ignavia e correità del Movimento Cinque Stelle che, al governo, ha condiviso dal primo all’ultimo passaggio le proposte di Salvini.

Infine, per la oggettiva capacità di Salvini di dare forma e spirito a interessi precisi, oltre che a inquietudini diffuse nella società italiana.

La Lega è cresciuta dunque, oltre che per la sua capacità di interpretare e organizzare un pezzo della società italiana e dei suoi sentimenti, perché si è contrapposta frontalmente agli errori compiuti in questi anni dal centro-sinistra e perché è stata in grado di salire sul carro del Movimento Cinque Stelle (non dimentichiamo che a inizio legislatura i rapporti di forza tra i due partiti erano invertiti), codificando nel “contratto di governo” una oggettiva corrispondenza tra idee, valori, interessi dei due nazional-populismi italiani. Una volta partita la giostra, il Movimento Cinque Stelle si è fatto sbranare, aprendo la strada all’exploit leghista.

Cosa discende da questa analisi? Due cose che a me paiono molto semplici.

La prima è che esiste solo una possibilità per impedire la vittoria della destra: un’alleanza di centro-sinistra completamente rinnovata, capace di voltare pagina e di presentarsi al Paese con un programma radicale e coraggioso (che metta al centro proposte socialiste per affrontare la crisi, la disoccupazione e le diseguaglianze) e con protagonisti nuovi, diversi da quel ceto politico diffusamente odiato, soprattutto in quei settori popolari del nostro Paese che fino a qualche anno fa si riconoscevano nella sinistra.

La seconda è che non ha alcun senso vagheggiare un programma di governo per la legislatura con il Movimento Cinque Stelle. Con quel partito, cioè, che fino a una settimana fa chiamava il Pd “il partito di Bibbiano” e che all’atto pratico, in questi quattordici mesi, ha dimostrato di condividere non solo la stessa grammatica istituzionale della Lega (le stesse sgrammaticature) ma tutte le scelte decisive del governo, come dimostra da ultimo la tristissima vicenda del decreto sicurezza bis.

Quale sarebbe il primo punto di questo programma di governo condiviso? Il taglio dei parlamentari, cioè l’ennesima demagogica concessione a una visione anti-politica e anti-democratica della struttura dello Stato?

Altra cosa sarebbe, invece, ipotizzare, come alternativa al voto immediato, un passaggio nel quale il presidente della Repubblica Mattarella investisse di nuovo le Camere delle prerogative costituzionalmente sancite e impedisse che Matteo Salvini desse le carte, affrontando e gestendo le elezioni non più dal Papeete Beach ma dal palazzo del Viminale.

Ma di una cosa più di tutte sono sicuro: non è con le alchimie politiciste, con l’idea dell’ennesimo governo senza popolo che si ricostruiscono il Paese e la sinistra. Le esperienze Amato, Dini, Monti dovrebbero avercelo insegnato. Le presunte mosse del cavallo, ogni volta immaginate da generali senza esercito nelle stanze chiuse del Palazzo, sono sempre state l’anticamera dello scacco matto da parte del nostro avversario.

Il lavoro che ci attende è più lungo e, anche se è difficile da ammettere, non esistono scorciatoie. Ciò che occorre è una grande offensiva culturale e politica che rimetta al centro altre proposte, altre parole d’ordine, altri schemi, altri valori.

Di conseguenza altre donne e altri uomini. Fuori da noi c’è un’attesa, c’è un popolo, c’è tanto che va riorganizzato a partire da molti elementi di resistenza, mobilitazione, da esperienze di governo locale magistrali ed energie intellettuali da ascoltare e coinvolgere.

Occorre ripensare tutto. Un caro amico mi ha scritto questa mattina da Plovdiv, centro dell’antica Tracia, emblema nella storia della mescolanza e dell’incontro di turchi, greci, iraniani, armeni, mongoli, caucasici, siberiani. Città bulgara, europea, antica come Troia e bella come solo le città dell’Est sanno essere. Lo slogan per la candidatura di Plovdiv come capitale europea della Cultura 2019 – mi scrive – è bellissimo: ”Noi siamo tutti i colori. Insieme”.

Non ci vuole molto a cambiare vocabolario, a cambiare terreno di confronto tra noi e di scontro con i nostri avversari. A guardare un po’ più in alto, più lontano.