Lopalco: l’inchiesta sul Covid è pericolosa, il governo fu sempre cauto

Politica e Primo piano

Intervista a Il Corriere del Mezzogiorno

di Francesco Strippoli

«Potevo esserci io nel gruppo degli indagati, è la prima cosa che ho pensato. Ora sarei alle prese con gli avvocati. Non è una bella sensazione essere sotto accusa per aver servito il Paese». L’epidemiologo Pier Luigi Lopalco, prima consulente e poi assessore regionale alla sanità, riflette sull’inchiesta di Bergamo sulla gestione del Covid.

Professore, cosa pensa delle indagini?

«Non ho le competenze per discutere gli aspetti giuridici, però vorrei sottolineare un risvolto pericoloso. Dico così: se mi capitasse un giorno di essere chiamato a far parte di un comitato scientifico come quello nel quale operavano i colleghi indagati, ci penserei due volte. Mettendo i tecnici sotto indagine si rischia di innescare una specie di sanità pubblica difensiva».

Come la medicina difensiva di tanti camici bianchi.

«Proprio così. Ci sono medici che non svolgono bene il proprio lavoro perché hanno paura di essere coinvolti in un processo penale: prescrivono esami inutili o fanno interventi inutili per mettersi, diciamo così, le spalle al sicuro sul piano legale. È diventato un problema per la dimensione che ha assunto».

Lei davvero non accetterebbe un incarico per timore delle conseguenze giudiziarie?

«A caldo dico di sì. Poi, mi conosco, per senso del dovere ed etica professionale, mi metterei al servizio del Paese. Però andrei cauto, mentre un professionista deve avere la libertà di poter fare tutto quello che gli pare giusto sul piano tecnico e delle evidenze scientifiche. Naturalmente per il Covid tutto questo non era possibile».

Cosa intende dire?

«In genere scegliamo una strada quando abbiamo delle evidenze scientifiche al riguardo. Ma ancora oggi molte questioni sono in discussione. Si prenda l’uso delle mascherine in pubblico. È stata fatta una revisione sistematica del tema: gli autori concludono che non esistono “evidenze” sull’efficacia delle mascherine. Ma la mancanza di evidenze scientifiche non equivale a dire che le mascherine sono inutili. Vale pure per le chiusure».

Appunto, parliamo delle chiusure.

«Ebbene, se uno volesse prendere le evidenze scientifiche bisognerebbe sottolineare che non esiste un lavoro scientifico al riguardo. Non c’è un lavoro che ci dica che l’istituzione della zona rossa previene il rischio morte in caso di pandemia».

Lei è stato sostenitore dell’inutilità dei tamponi a tappeto. Conferma questo principio?

«Certo, se rapportato al momento. In quel periodo non esistevano le possibilità, neppure teoriche, di fare il tampone ai 60 milioni di Italiani ogni tre giorni. Era una proposta irricevibile, irrealizzabile, tecnicamente non compatibile. Quella dei tamponi a tappeto è stata la via scelta dalla Cina, con l’idea del covid zero. Si è vista come è andata a finire: tamponi, isolamenti, quarantene. Ma l’ondata è stata solo ritardata di tre anni».

I pm contestano anche il ritardo sul piano pandemico, sebbene fosse concepito per l’influenza.

«Meglio avere un piano che non averlo, soprattutto con riferimento alla catena di comando in situazione di emergenza. Ciò detto, se la domanda è se il Piano pandemico contro l’influenza avrebbe potuto ridurre il livello di mortalità in Italia, la risposta è no. Non avremmo modificato di molto l’impatto della pandemia».

Perché ne è sicuro?

«L’unico Paese in Europa che aveva un piano pandemico adeguato era il Regno Unito. A ottobre 2016 condusse un’esercitazione nazionale, come fosse arrivata una pandemia influenzale, e mise in azione il piano pandemico. Alla fine dell’esercitazione furono emesse 22 raccomandazioni. Ebbene, nessuna di queste ha modificato di una virgola quella che poi sarebbe stata la risposta britannica alla pandemia».

Lei ha partecipato a centinaia di riunioni con il governo. Ha mai avvertito la sensazione che qualcuno frenasse sulle restrizioni?

«Da parte del governo c’è sempre stato un atteggiamento di estrema cautela. Dunque favorevole alle restrizioni. Lo sosteneva il governo e molte Regioni, la Puglia tra queste».

Ha sentito qualcuno dei suoi colleghi indagati? Cosa pensano?

«C’è amarezza tra loro. Lo posso dire con certezza: quelli che hanno partecipato allo sforzo per arginare l’ondata pandemica, hanno lavorato pancia a terra. Ora arriva la magistratura, poi le commissioni parlamentari. L’unica cosa che andava fatta è una seria e serene analisi tecnica di ciò che ha funzionato e ciò che è stato fatto male. E così alimentare un piano di preparazione degno di questo nome».