Relazione introduttiva della Direzione nazionale di Articolo Uno, riunita da remoto il 14 febbraio 2021
Avremo bisogno di tempo per analizzare, discutere, confrontarci su quanto è accaduto in questi ultimi due mesi. Usciamo da una crisi di governo che ha prodotto uno sbocco diverso dall’ipotesi politica a cui abbiamo lavorato dal 2013 in poi e le conseguenze non sono misurabili nel medio periodo.
C’è un nuovo governo, figlio di un appello del Presidente della Repubblica, di larga unità nazionale: dentro convivono molteplici ipotesi di uscita dalla crisi italiana alternative tra loro e per molti aspetti incompatibili.
Non è stato un passaggio di testimone pacifico tra Conte e Draghi.
Abbiamo lottato perché questo non accadesse: in solitudine, con una campagna martellante e ossessiva nei confronti dell’alleanza Pd-M5S-LeU che non ha precedenti nella storia recente.
La descrizione di un’esperienza votata all’improvvisazione, al dilettantismo, all’irresponsabilità non fa i conti con la realtà e nemmeno con un giudizio diffuso nell’opinione pubblica. Non siamo a Berlusconi prima di Monti, non c’è lo spread a 500 e lo scandalo Ruby, non c’è una larga parte di popolazione che applaude alla caduta del Governo e all’arrivo del rettore della Bocconi con il trolley. Noi siamo stati quelli del Recovery Fund, della battaglia in Europa per l’uscita dall’austerità.
Se ne va dunque un esecutivo popolare, apprezzato in larghi strati sociali che lo hanno avvertito come vicino nella fase più complessa della storia recente, capace di lenire la solitudine di milioni di persone strette tra l’onda sanitaria e l’onda sociale che si alzavano. Abbiamo messo davanti la salute al mercato, la tutela dei posti di lavoro davanti alle ragioni delle imprese: anche per questo ci hanno fatto la guerra.
Nonostante la cappa “nordcoreana” che ha investito una larga parte del sistema informativo – i cambi di proprietà editoriale, la coincidenza con importanti agglomerati imprenditoriali e fondi di investimento hanno inciso in maniera formidabile sulla curvatura di quel che rimaneva della cosiddetta stampa progressista – qualcosa deve essere comunque sfuggito al sistema, se guardiamo ai tassi di popolarità del governo uscente, del Presidente Conte e di Ministri come Roberto Speranza.
Toccherà interrogarsi sulla retorica del Governo dei Migliori e dei Competenti: l’ennesima escrescenza di populismo dell’élite italiana, il manifesto di antipolitica più potente che sia emerso negli ultimi anni.
Siamo stati sconfitti, abbiamo detto, e il campo nel quale oggi siamo costretti a giocare è meno avanzato di quello precedente. Non c’è dubbio che sia così: sapevamo che la torta dei 200 miliardi del Recovery Fund non l’avrebbero fatta gestire a una compagine considerata troppo irregolare, troppo gelosa dell’autonomia della politica pur tra limiti e contraddizioni. Attenzione, non ci hanno sfilato il portafoglio con destrezza all’ora di punta nella metropolitana, ci hanno battuto innanzitutto perché hanno coltivato un disegno politico chiaro e preciso, interessi da difendere, un’ideologia da affermare. Il nostro non era il Governo Allende, eppure – come ha scritto Stefano Fassina su Huffingtonpost – per un pezzo della borghesia italiana anche questa compagine era eccessivamente spostata sul terreno sociale e dunque non ha esitato a promuovere una rivoluzione passiva, senza esclusione di colpi. Se c’è un limite che è emerso in questa fase è quello di non aver messo a punto una mobilitazione di energie sociali e intellettuali attorno alla sfida della Next Generation Eu: è apparsa come un’operazione ordinaria, non una stagione nuova da aprire.
Dunque, oggi siamo in un quadro nuovo.
Cinque mi sembrano gli assi del ragionamento con cui dobbiamo fare i conti.
1. Non c’è dubbio che ci sono forze che puntano a una stabilizzazione moderata della crisi italiana. Dentro questo tentativo c’è l’operazione di ripulitura della Lega, il suo ripiegamento in chiave europeista e istituzionale, anche a causa della caduta del riferimento internazionale principale del sovranismo populista, Donald Trump. A destra è interessante la connotazione dei ministri, sia quelli leghisti che quelli berlusconiani: occorre guardare sempre le contraddizioni che si aprono nel campo avversario, perché sin da bambini ci hanno insegnato che l’analisi differenziata conta molto. Nella Lega emergono i quadri che parlano al sistema amministrativo ed economico del Lombardo – Veneto: Giorgetti e Garavaglia sono innanzitutto i sindacalisti del nocciolo produttivo del nord del paese. In Forza Italia almeno due su tre si erano distinti nell’ultimo anno e mezzo come gli avversari più fieri del leghismo sovranista, fino a ipotizzare addirittura una rottura e un allineamento con i responsabili durante il drammatico tentativo di salvataggio del Conte 2. Questa opzione neocentrista punta allo sdoganamento della conventio ad excludendum verso la destra che stava crescendo in larghi strati del moderatismo italiano, che invece potrebbero essere calamitati nuovamente dal rientro al Governo. Renzi compreso. Fuori la Meloni, che scommette sul recupero di pezzi di disagio per l’ennesima conversione trasformista del Carroccio. Dunque due destre in campo a dividersi i compiti, una apocalittica e una integrata, che in ogni caso continueranno a stare insieme nei territori e che concorreranno quando sarà alla guida del paese. Una divisione dei compiti che prelude a una manovra a tenaglia che rischia di essere vincente sul piano culturale come su quello elettorale.
2. Hanno scommesso sulla rottura alla prima curva della coalizione giallorossa. Pensavano che i Cinque Stelle non avrebbero retto all’ennesimo tentativo di normalizzazione, che il Pd sarebbe stato risucchiato in una dinamica sistemica e ridotto a una palude neocentrista, che la sinistra di LeU (e di Articolo Uno) abbandonava lo sforzo faticoso di coniugare riformismo e radicalità precipitando nell’irrilevanza e nell’estremismo. Ovviamente questi rischi sono tutt’altro che sventati e la prova di questi prossimi mesi del Governo Draghi sarà durissima per la tenuta di un asse politico che deve fare un salto di qualità vero, nelle forme di coordinamento che devono diventare permanenti ed anche in un’ispirazione unitaria che deve crescere e radicarsi.
3. Abbiamo deciso di stare dentro e combattere. Ripeto, stare dentro e combattere. La conferma di Roberto Speranza al Ministero della Salute ci responsabilizza e ci impone allo stesso tempo un salto di qualità dell’agenda politica, della relazione con l’esterno, della capacità di stare sulla battuta quotidiana. Dobbiamo ripoliticizzare ancora di più la nostra azione, anche perché, se il buongiorno si vede dal mattino, non facciamo fatica a intravedere quanto saranno forti le contraddizioni all’interno del campo da gioco indicato dal Governo del Presidente. Come si fa a non capire che la campana è suonata subito quando Salvini a poche ore dal giuramento ha messo nel mirino Speranza e Lamorgese? Assisteremo a una guerriglia quotidiana per produrre un arretramento innanzitutto rispetto alla cifra sociale che aveva contraddistinto i provvedimenti del Governo Conte. E dunque occorrerà far pesare i voti di una maggioranza che non è stata sfiduciata dal Parlamento. Penso alla concertazione con il sindacato – bene la convocazione odierna del Ministro Orlando – da cui occorre partire, per conservare il blocco dei licenziamenti fino al termine dell’emergenza, l’introduzione di ammortizzatori universali, la difesa del reddito di cittadinanza, il varo di una legge sulla rappresentanza che spazzi via le decine di contratti pirata. Penso alla piegatura del Recovery sul Mezzogiorno, dove si corre un rischio grosso, visto lo sbilanciamento evidente verso i centri di elaborazione e di potere del Nord del paese che hanno visto con favore persino all’autonomia differenziata. Penso – ovviamente – alla riforma della sanità pubblica, ai 20 miliardi che sono appostati, al tentativo di sostituire al disegno di rilancio della medicina territoriale il modello lombardo e la retorica dell’efficientismo affaristico alla Bertolaso. Penso all’intuizione con cui Beppe Grillo – facendo politica in maniera abile, intelligente e riformatrice – ha provato a imporre il tema del Ministero della Transizione ecologica. Un obiettivo che è raggiunto solo in parte, ma che ci parla effettivamente del tentativo di delineare un nuovo blocco sociale e produttivo attorno alla riconversione ecologica, che significa un modello di vita, di consumo, di industria, di distribuzione energetica, di relazioni sociali e sindacali con cui un paese moderno deve fare i conti. Noi stiamo dentro questa partita per fare queste cose: l’anima la salvi se sei utile, non se scegli di lasciare lo spazio ad altri in una fase che comunque sarà espansiva sul piano economico e delineerà gli assetti di potere dei prossimi anni. Rispettiamo il dibattito che in alcune forze interne a LeU si sta tenendo attorno al nodo della fiducia, sappiamo che questo produrrà come spesso accade nuove rotture, prima ancora che interne alla sinistra, nella coalizione giallorossa che unitariamente ha scelto una linea condivisa di ingresso al Governo e che non può essere concepita per nessuno come un insieme di porte girevoli. Dobbiamo essere inclusivi, solidali e aperti verso quei parlamentari e quei dirigenti che decidono coraggiosamente di mantenere invece aperta la prospettiva unitaria dei gruppi parlamentari di LeU e della coalizione anche in questo tornante difficile.
4. Le elezioni prima o poi arrivano ed emerge in maniera chiara che l’asse della coalizione M5S-Pd-LeU va coltivato e alimentato anche nel paese. Significa che l’Alleanza per lo sviluppo sostenibile indicata da Conte non è un episodio o uno slogan felice, deve avere gambe nel paese e in Parlamento, deve aprire comitati nel territorio, costruire iniziativa diffusa, avere l’ambizione di correre alle prossime amministrative insieme. Sui comuni al voto e sulla regione Calabria chiediamo – come abbiamo fatto da tempo – la convocazione di un tavolo nazionale, pena l’esplosione di candidature civiche che già in queste settimane stanno emergendo con forza imponendosi nel vuoto dell’iniziativa politica dei partiti del nostro schieramento. Considero un passo falso alcune uscite improvvide – pur nel rispetto delle autonomie territoriali – che dal Pd toscano sono arrivate riguardo ad un eventuale candidatura di Giuseppe Conte alle elezioni suppletive per la Camera dei deputati nel collegio di Siena. Forse non è chiara l’entità della partita in corso. O forse è fin troppo chiara a chi la contrasta anche dall’interno del nostro schieramento. E questo mi preoccupa non poco, caricandoci della responsabilità di collante della coalizione, nonostante i numeri e la dimensione di cui oggi disponiamo.
5. La sfida di una sinistra democratica larga e di governo va accompagnata da una chiamata larga, di popolo per una ricomposizione di culture e di esperienze. Noi siamo sempre lì a sbattere la testa. Tanta parte della scelta che abbiamo compiuto – intravedendo i rischi e coltivando dubbi – sta dentro questo tentativo. Non è immaginabile che nella ristrutturazione del sistema politico – che questo Governo di unità nazionale potrebbe accelerare – manchi una riflessione e una iniziativa che aggredisca il tema dell’insufficienza dell’attuale arcipelago delle forze politiche a sinistra, Pd compreso. Noi abbiamo scelto il campo in cui militare e anche in questa prova di governo che si apre abbiamo avuto come bussola quella di fare i conti con i riferimenti sociali da cui la sinistra non può dividersi quando la storia imbocca strade complicate e meno confortevoli. Penso alla Cgil di Maurizio Landini, ma anche alle tante associazioni culturali e ambientaliste che ci hanno chiesto di presidiare questo territorio politico, di non lasciarlo sgombro nel mentre si costruiva un Governo così diverso dal precedente. Forse è matura una riflessione nuova sul tema della rappresentanza politica del lavoro, come cuore fondamentale di una rifondazione del campo delle forze di progresso. E’ un tema che abbiamo abbandonato da troppi anni, sia noi che il sindacato, ma che ci impone una lettura più aggiornata. La spoliticizzazione del mondo del lavoro ha danneggiato prima la sinistra, ora rischia di far ripiegare le organizzazioni sindacali. Ce lo raccontano da anni le interviste dei dirigenti sindacali: il cuore del funzionariato batte a sinistra, ma gli operai votano a destra. Questa configurazione nuova del governo, lo scontro che si consumerà tra istanze e interessi diversi, deve imporre a tutti, noi compresi, un supplemento di riflessione sulla fase, una messa a tema di un cambio di passo nel paese. Una sinistra spiantata dai propri riferimenti sociali rischia di ridursi a poco più che un circolo di commentatori della domenica, noi non abbiamo scelto questa strada. Abbiamo bisogno di inaugurare una discussione larga, a partire dagli attivi territoriali che faremo a partire dalla prossima settimana in tutte le regioni, aperti al contributo delle organizzazioni sociali, delle reti civiche, dell’associazionismo.
Nell’ultimo fine settimana di febbraio terremo un seminario impegnativo dei gruppi dirigenti – coinvolgendo anche qui interlocutori della sinistra diffusa, del sindacato, dell’associazionismo, dei nostri gruppi parlamentari – per reimpostare il nostro lavoro sull’agenda da dispiegare in Parlamento e nel paese. Infine, abbiamo rinviato la nostra assemblea nazionale di due giorni, a causa del perdurare della crisi, che aveva un duplice obiettivo: il rafforzamento delle basi culturali, programmatiche e politiche della coalizione giallorossa e la costruzione della piattaforma ecosocialista di Articolo Uno verso il processo costituente di una sinistra larga e popolare. Abbiamo deciso di confermarla, aggiornandola al mese prossimo: per questo entro la settimana convocheremo i segretari regionali e di area metropolitana e i dipartimenti per rimettere a punto questa iniziativa.
Come vedete, abbiamo davanti a noi una mole di lavoro enorme e il tempo non gioca dalla nostra parte. Non sappiamo quanto questo esperimento di unità nazionale durerà: è ipotizzabile che abbia fine con l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, con il termine della campagna vaccinale e la messa a terra del Recovery. Ancora una volta questa piccola forza che noi rappresentiamo è chiamata ad assumere una responsabilità grande con Roberto Speranza e con i nostri parlamentari. Non mi piace l’enfasi, ma mai come in questa fase la sinistra non può separarsi dal destino del paese, dalle sue ansie e dalle sue paure, dalla necessità di caricarsi sulle proprie gracili spalle l’uscita dalla pandemia e contemporaneamente la ricostruzione di uno schieramento progressista capace di competere alle prossime elezioni.
Buon lavoro a tutti noi.