di Massimo Franchi
Maria Cecilia Guerra, responsabile Lavoro del Pd, la proposta unitaria dell’opposizione – Italia Viva renziana esclusa – sul salario minimo è certamente una novità politica positiva. E, nel merito, un passo avanti rispetto al testo dell’allora ministro del Lavoro Andrea Orlando che ne limitava l’applicazione a settori.
Sicuramente la proposta riflette una maturazione del dibattito che ha coinvolto il mondo sindacale e anche il mondo delle imprese. È una proposta avanzata perché non è solo sul salario minimo ma è finalizzata a dare un parametro certo per l’applicazione del principio costituzionale della giusta retribuzione, partendo dal lavoro subordinato ma allargandosi a quello parasubordinato e parte dell’autonomo. In qualunque settore operi un lavoratore sa che gli deve essere applicato per legge il contratto di lavoro siglato dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative. E se non c’è un contratto di settore si applicherà quello di settore affine, così come se non contempla la sua mansione si applica una mansione equivalente. Quindi non esiste un lavoratore che non sia tutelato da questo intervento. Il salario minimo in sé è una garanzia ulteriore finalizzata a quei settori dove il tessuto produttivo è più frammentato e c’è più debolezza sindacale: si mette un limite minimo di 9 euro al di sotto del quale non si può andare perché la paga diventa non dignitosa. Un limite che vale anche nei confronti della contrattazione collettiva. Però il punto nodale è fare della contrattazione collettiva la guida.
Come opposizione avete il potere di calendarizzare un disegno di legge in parlamento. Lo farete sul salario minimo? Quando? Cosa pensa succederà?
Noi siamo intervenuti su un processo che era già in corso sul salario minimo con diverse proposte sulle quali si stava lavorando con le classiche modalità che sono quelle delle audizioni di cui abbiamo anche tenuto conto. Dopodiché, visto che c’è molta consonanza fra le opposizioni, siamo riusciti abbastanza agevolmente a trovare un testo comune: si è trattato più che altro di sfoltire le ambizioni dei vari gruppi focalizzandosi proprio sul tema del salario minimo perché il tema è troppo rilevante. La discussione era già calendarizzata per il 27 luglio. Noi ora presentiamo questo disegno di legge e chiediamo che venga adottato come testo base. Poi si arriverà alla fase emendativa, che ora compete solo alla maggioranza, e poi si va in Aula. Può darsi che slitti a settembre. Essendo un tema così rilevante la maggioranza farà fatica a non discuterne come invece ha fatto sulla legge sulle madri in carcere o il voto degli studenti fuori sede. Dovranno dirci perché sono contrari.
La Cisl è storicamente contraria sostenendo che la legge non deve intervenire in materie di contrattazione ma le parole di Sbarra si sono subito saldate a quelle della ministra Calderone.
Sapevamo della posizione della Cisl però credo che ci sia uno spazio di confronto perché la loro preoccupazione è proprio non comprimere il ruolo del sindacato e noi non lo facciamo perché lasciamo grande centralità e spazio alla contrattazione. Quanto al governo non è ancora una vera posizione perché hanno parlato al buio, non sono entrati nel merito. Meloni sostiene la tesi che non ci vuole il salario minimo ma la riduzione del cuneo fiscale: questi sono due temi che non vanno contrapposti, ci vogliono entrambi. Il nostro slogan è: il lavoro va pagato.
L’indicazione dei 9 euro l’ora magari un anno fa sarebbe stata avanzata. Ora l’inflazione è alta ed erode i salari. In più Potere al popolo raccoglie firme per avere 10 euro l’ora con indicizzazione totale. Il tutto mentre in giro per l’Europa il salario minimo è di 12 euro in Germania e 11 in Francia.
Innanzitutto bisogna dire che il salario minimo è il salario base senza gli scatti di anzianità, benefit: il cosiddetto Trattamento economico minimo (Tem) previsto nella contrattazione. Se guardiamo l’indicazione della Direttiva europea sarebbe di stare fra il 50% del salario medio e fra il 70 e il 60% del salario mediano. Dunque 9 euro l’ora attualmente è abbastanza alto. Il problema è che in Italia per decenni c’è stata una compressione dei salari senza puntare su innovazione, tecnologica ed ecologica. Noi prevediamo che l’aggiornamento del salario sia annuale e sia gestito dalle parti sociali. Prevedere l’indicizzazione automatica invece ingesserebbe la contrattazione.
Da parte soprattutto della Cgil si chiede di legare la proposta a una legge sulla rappresentanza.
Senza fare una legge sulla rappresentanza di fatto otteniamo in via indiretta, cioè tramite l’articolo 36 invece che l’articolo 39 della Costituzione, l’applicazione erga omnes dei contratti delle organizzazioni comparativamente più rappresentative. Ovvio che poi bisognerà arrivare a una legge sulla rappresentanza vera e propria. Intanto abbiamo cominciato a batterci contro il precariato e il part time involontario e i voucher, le collaborazioni, le false partite Iva, le prestazioni occasionali, anche i contratti di lavoro autonomo che però possono essere ricondotti a un salario orario perché la prestazione richiesta può essere collegata al tempo necessario a effettuarla.
Proviamo a spiegare come funzionerebbe la legge. Prendiamo a esempio un lavoratore della Vigilanza privata che ha appena visto rinnovare dopo 8 anni il suo contratto ma a 6 euro l’ora. Con la cosiddetta «diffida accertativa» potrà arrivare a 9 euro l’ora?
Se un lavoratore è sotto i 9 euro l’ora, anche se ha un contratto nazionale firmato dai sindacati – se la legge passasse – potrà chiamare gli Ispettori del lavoro che, in via amministrativa con un istituto che si chiama «diffida accertativa» che vuol dire semplicemente “ho verificato che tu non sei in regola con la legge sul salario minimo” entro un anno, se non cambieranno il contratto nazionale, imporrano al datore di lavoro di pagarlo 9 euro l’ora. Abbiamo messo anche un minimo di supporto economico pubblico temporaneo per i settori più in difficoltà.