Intervista a La Stampa
di Paolo Baroni, inviato a Rimini
«La cosa più grave di questa riforma è che non affronta il fatto che chi ha reddito dal lavoro paga tutto e paga progressivamente, mentre tutti gli altri pagano spesso in parte e con aliquote molto basse. Una differenziazione troppo forte, senza contare che quando ad un contribuente si applica un prelievo sostitutivo dell’Irpef, questo sostituisce anche le addizionali. Con il risultato che chi beneficia di questi regimi non dà un euro al suo comune e alla loro regione». Maria Cecilia Guerra, economista, ex sottosegretaria al Mef ed oggi deputata Pd – a Rimini per presentare alla Camera del lavoro l’ultimo volume di Vincenzo Visco su «La guerra delle tasse» – è molto critica con lo schema di riforma del governo. «Il nostro sistema fiscale è stato balcanizzato ed è stato frammentato al punto tale che non c’è più nessun senso – spiega -. Le aliquote sono distribuite in maniera del tutto casuale, per cui c’è chi paga il 15, chi paga il 26 e chi paga il 43%, per sorte e non perché uno è più ricco o più povero. È una ingiustizia troppo profonda: non si può reggere il nostro patto sociale su un sistema del genere».
Dell’ipotesi di ridurre le aliquote Irpef e poi estendere la Flat tax, quindi, che ne pensa?
«Questa è una parte delle riforma che verrà posticipata molto tempo in avanti, perché se la si vuole fare davvero comporta costi molti alti e quindi non sarà certo la prima cosa che verrà fatta».
Nel merito?
«Il processo che si immagina non è tanto lineare: si parte col ridurre il numero degli scaglioni e come al solito questa viene venduta come una idea di semplificazione fiscale. Ma che gli scaglioni siano 2, 3 o 5 la complessità del sistema resta la stessa. È una bugia che questo intervento semplifichi. In realtà ridurre il numero degli scaglioni appiattisce l’imposta e quindi riduce la sua capacità redistributiva».
E la flat tax quando mai andrà a regime che effetti produrrà?
«Sarà una imposta che per quelli che fanno parte della fascia più povera dei contribuenti non cambia quasi niente, perché l’imposta viene molto affievolita se non annullata per effetto di deduzioni e detrazioni; la fascia centrale pagherà in proporzione alla nuova imposta, mentre quelli delle fasce più alte avranno il guadagno maggiore. Perché per loro è maggiore la distanza tra l’imposta che pagano sulla porzione più alta del loro reddito e quella che sarà l’imposta flat».
In prospettiva ci può essere un problema di tenuta dei conti?
«Dipende dall’aliquota flat che sarà fissata. Generalmente però un intervento del genere comporta perdite molto significative e quindi compromette il finanziamento dei beni pubblici essenziali, a partire dalla sanità. Questo bisogna averlo chiaro: sono decenni ormai che ci viene raccontato che verranno mirabilmente ridotte le tasse e poi ci si arresta di fronte a questo dato oggettivo».
Alcuni paesi ce l’hanno già…
«Nell’Europa orientale alcuni paesi l’hanno introdotta, ma non ci sono arrivati all’indietro come stiamo facendo noi bensì partendo da zero: hanno introdotto una imposta unica dove prima non c’era, allargando la base imponibile. Per loro è stata una conquista non è stato un arretramento. Però sono paesi che hanno un sistema di welfare 8-9 punti di Pil più basso del nostro».
I sindacati protestano perché sparisce quella proporzionalità indicata in Costituzione…
«Formalmente la proporzionalità viene salvata introducendo una deduzione di base. Però il problema è che si ragiona solo sull’Irpef che ormai è una imposta che grava solo sui lavoratori dipendenti e pensionati. La progressività è una cosa seria: dovrebbe riguardare anche gli altri redditi, mentre il nostro sistema fiscale è scarsamente progressivo proprio perché gli altri prelievi, redditi da capitale, d’impresa, da lavoro autonomo, quelli prodotti dagli immobili e tutti gli altri, sono fuori dalla progressività e determinano un prelievo fortemente differenziato».
Una parte delle risorse si può ricavare mettendo ordine alle famigerate «spese fiscali»?
«Certamente un intervento si può fare, ma è sempre interno all’Irpef. Ancora una volta è una redistribuzione tra le persone che pagano questa imposta, per cui se si fa un intervento del genere è importante che serva a ridurre le tasse a lavoratori e pensionati non su rentier e imprese».