Guerra: ora contratti di qualità, basta incentivi a chi assume part-time

Politica e Primo piano

Intervista a La Stampa

di Paolo Baroni

«La questione salariale? Si affronta varando una legge sulla rappresentanza e introducendo il salario minimo», risponde la sottosegretaria all’Economia Maria Cecilia Guerra (Leu), secondo la quale lo Stato dovrebbe smetterla di incentivare contratti di lavoro «deboli» come il part-time. Il problema inflazione/rinnovo dei contratti a suo parere poggia su tre elementi: «Il forte aumento dei prezzi in atto, che comporta una riduzione del potere di acquisto dei salari e/o una compressione dei profitti delle imprese, e la ripartizione dell’onere di questo peggioramento comporta sempre un conflitto redistributivo». Quindi «c’è una pressione sui salari dovuta ai tantissimi contratti in scadenza che non sono rinnovati da un periodo molto lungo». E poi c’è «il problema dell’incancrenimento del mercato del lavoro su cui si sono innestati elementi troppo rilevanti di fragilità con contratti molto frammentati, part-time, sottopagati».

Primo tema, l’inflazione.

«Non è banale dire che non si deve innescare una spirale salari-prezzi, ma al tempo stesso dobbiamo anche vedere se ci sono margini per non scaricare l’aumento dei costi tutto sui prezzi, oppure vedere se ci sono settori che presentano margini di profitto che possono essere compressi. Il governo di fronte al forte aumento dei prezzi dell’energia, comunque, non sta certo a guardare: è intervenuto e interverrà ancora con forza per cercare di attutire l’impatto di una variazione così forte che si spera contingente in questa forma così estrema, sia per difendere le famiglie sia per ridurre i costi per le imprese».

E cos’altro può fare?

«Governo e parlamento insieme devono affrontare urgentemente il tema della rappresentanza per dare ordine alla contrattazione e fare in modo che i contratti siano fatti da soggetti realmente rappresentativi. Poi bisogna porsi con forza il tema del salario minimo, che può essere un elemento di tutela per nuove professionalità e nuovi settori dove la contrattazione non arriva tempestivamente consentendo alle parti di confrontarsi ad armi pari. Cosa che oggi non è».

E la leva fiscale non si può utilizzare?

«Alcune parti del sindacato, e in maniera molto forte Confindustria, chiedono di affrontare le debolezze del mercato del lavoro con incentivi, come la detassazione degli aumenti salariali o i sostegni alle assunzioni, ma è sbagliato. Lo voglio dire con forza: noi dobbiamo affrontare il problema dove si pone, ovvero sul mercato primario. Perché è lì che si creano le distorsioni, è li che si deve agire con una politica distributiva giusta. Dopo lo Stato può intervenire facendo politiche di redistribuzione a favore delle fasce più deboli, ma non possiamo accettare – come sta avvenendo – una ripartenza tutta basata sulla compressione dei salari. Noi oggi attraverso la decontribuzione di fatto incentiviamo contratti di lavoro che sono deboli. Dal punto di vista delle donne, la cosa è evidentissima: l’ultimo studio del ministero del Lavoro sul lavoro povero ci dice che questo fenomeno in Italia interessa un lavoratore su 4, ma se si guardano solo le donne si sale quasi ad una su tre a causa di paghe orarie molto basse e del dilagare del part-time involontario».

Lei cosa propone?

«Di incentivare solo contratti di qualità, che rispettino i minimi salariali e che siano a tempo pieno. Questo perché credo che impostare il nostro sviluppo sul lavoro povero, su riduzione e compressione del costo del lavoro, non sia la via da seguire: non fa bene ai lavoratori e nemmeno alle imprese, che invece devono impostare la loro crescita sull’innovazione e la capacità di utilizzare le nuove tecnologie. Il governo deve ovviamente accompagnare questi processi, ed ha ragione Confindustria quando chiede di rafforzare le politiche industriali, ma per rafforzare la struttura non certo per portare sempre più in basso fette della popolazione. Che poi così impoverita com’è non è in grado di sostenere la crescita attraverso la domanda».