Guerra: non si tagli il rdc alle famiglie che a luglio avranno l’assegno unico

Economia e Primo piano

Intervista a Repubblica.it

di Rosaria Amato

Le famiglie con figli sono più povere delle altre, e le difficoltà aumentano in corrispondenza al numero dei figli: lo confermano i dati diffusi dall’Istat, che mostrano un forte aumento della povertà assoluta a causa della pandemia. Ecco perché, afferma la sottosegretaria all’Economia Maria Cecilia Guerra, è iniqua la norma che prevede che le famiglie che dal primo luglio avranno l’assegno unico subiscano una forte riduzione della parte di reddito di cittadinanza riferita ai figli. “Le due misure non dovrebbero escludersi a vicenda, dovrebbero anzi essere rafforzate per le famiglie in maggiori difficoltà”.

Le due misure in effetti sono cumulabili in buona parte.

“Sono cumulabili, ma non per la parte di sostegno dei figli. Credo che non sia una scelta giusta, perché i due istituti hanno una finalità diversa, una è una misura di sostegno della povertà, che tiene conto della condizione economica familiare. Mentre l’assegno unico per i figli ha la funzione di sostenere e di dare un valore sociale alla genitorialità, e dovrebbe quindi essere il più possibile universale, rivolto a tutti coloro che hanno figli minori, al contrario del reddito che è una misura selettiva che tiene conto della condizione economica. L’assegno unico ha lo stesso valore della sanità, o dell’istruzione: è universale anche se può essere previsto un contributo maggiore da parte di chi sta in condizioni economiche migliori. Ecco perché prevedere una forma di compensazione tra i due istituti significa snaturarli. La povertà dei minori è molto rilevante in Italia, da sempre, e cresce man mano che aumenta il numero dei figli. Bisognerebbe piuttosto pensare a un potenziamento del reddito per chi si trova in questa situazione”.

L’assegno unico è una misura sperimentale, che entrerà a regime in via definita dal primo gennaio dell’anno prossimo. Ci sono margini di intervento per eliminare questa anomalia a svantaggio delle famiglie più povere?
“Il problema era già stato sollevato ai tavoli in cui la misura è stata disegnata. La legge delega sull’assegno unico va nella direzione indicata dal governo, prevede già questa possibilità di scomputare dal reddito la quota legata ai figli, e io infatti sono critica anche nei riguardi della legge delega, che però non obbliga a seguire questa direzione. Spero che quindi questa norma non venga riproposta anche per la misura a regime, dal primo gennaio, bisognerebbe fare una riflessione più profonda in vista delle norme attuative”.
I dati Istat ci dicono anche che i genitori che crescono da soli i figli si trovano in difficoltà maggiori.
“L’assegno unico tiene conto della monogenitorialità, e cresce al crescere del numero dei figli, però in effetti anche questo è un problema nel problema che andrebbe affrontato con misure specifiche”.
Il reddito di cittadinanza ha in parte limitato le conseguenze peggiori della pandemia, eppure viene criticato da esponenti politici e imprenditori, che lo accusano di “far rimanere a casa” potenziali lavoratori.
“Il primo appunto che farei è che noi abbiamo dai dati l’evidenza che lavorare non significhi necessariamente uscire dalla povertà. Aumentano anche i working poors, persone che lavorano ma non guadagnano abbastanza per sostenere in modo dignitoso se stessi e la propria famiglia. Tra gli operai l’incidenza della povertà assoluta è del 13,2% per esempio”.
E poi c’è anche chi non riesce a trovare un lavoro, o non è in condizione di lavorare.
“Nelle famiglie povere ci sono spesso anziani, malati, bambini, e quindi ci sono familiari che devono rimanere a casa perché impegnati nel lavoro di cura. Non tutti possono andare a lavorare, magari spostandosi a 300 chilometri da casa propria. Si parla tanto della difficoltà di trovare lavoratori stagionali: la retribuzione lorda mensile contrattuale di un cameriere a tempo pieno dovrebbe essere di 1542 euro, perché qualcuno dovrebbe preferire i 500 euro del reddito di cittadinanza? Il problema è che intanto chi offre un lavoro stagionale dovrebbe chiarire a che condizioni lo offre. Ma anche se si rispettassero rigorosamente tutte le condizioni di legge, come fanno a trasferirsi per un lavoro che dura pochi mesi persone che hanno la responsabilità di figli minori, per esempio? Se poi si vuole raccontare dei percettori di reddito come degli imbroglioni certo ci sono casi di questo tipo, che vanno perseguiti, come vanno perseguiti anche i casi di coloro che non denunciano i propri redditi e magari accedono a benefici a cui non hanno diritto. Nel nostro Paese c’è uno stigma fortissimo nei confronti della povertà, si pensa che se uno è povero lo è per colpa sua. E invece proprio la pandemia ci dimostra come chiunque possa cadere in povertà da un giorno all’altro, per la perdita del lavoro, o una separazione”.

Dai dati Istat emerge una fortissima condizione di svantaggio delle famiglie di immigrati.

“E’ vergognoso il paletto che abbiamo messo sul reddito di cittadinanza, erogabile solo a chi vive da almeno dieci anni in Italia, è contrario alle norme europee e anche al dettato costituzionale. Con il reddito di emergenza il governo infatti ha modificato questo criterio, per permettere di sopravvivere anche a persone straniere che lavorano e vivono in Italia e che hanno una famiglia da mantenere. Questa previsione del reddito di cittadinanza è incivile”.