Pubblicato su Domani
di Maria Cecilia Guerra
La proposta di legge, unitaria, delle opposizioni è molto di più di una proposta sul salario minimo. Ha l’ambizione di dare attuazione all’articolo 36 della Costituzione, che richiede che al lavoratore sia riconosciuta una retribuzione giusta, proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto, e che garantisca a lui e alla sua famiglia una esistenza dignitosa e libera.
Oggi, un lavoratore con un salario molto basso, per ottenere il rispetto dell’articolo 36 della Costituzione deve rivolgersi al giudice del lavoro. Un procedimento lungo e costoso che il singolo lavoratore difficilmente intraprende e che, in ogni caso, affida la determinazione di cosa debba intendersi per giusta retribuzione alla discrezionalità del giudice.
Nella proposta di legge si sancisce che la retribuzione giusta è rappresentata dal trattamento economico complessivo definito per il lavoratore, in relazione alla sua qualifica, dal contratto collettivo siglato, nel settore a cui appartiene, dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative. Questo significa valorizzare la contrattazione, nel suo ruolo di rappresentanza e difesa dell’insieme dei lavoratori, ed evitare la contrattazione pirata, in cui sigle sindacali create ad hoc firmano accordi al ribasso che favoriscono lo sfruttamento.
Ci sono però settori in cui il sindacato è più debole, anche a causa della frammentazione del tessuto produttivo. La pratica del dumping salariale, il ricorso ai bassi salari come strumento di competitività, è più difficile da contrastare. Per questo motivo è necessario prevedere che il trattamento economico minimo tabellare non possa scendere sotto i 9 euro all’ora. Una cifra che tiene conto della forte erosione indotta dall’inflazione su salari già compressi. Si tratta di un limite inferiore a cui neppure la contrattazione delle sigle comparativamente più rappresentative può derogare. Questo livello minimo, definito per legge in sede di prima applicazione, deve poi essere aggiornato periodicamente da una apposita commissione, istituita dal ministro del Lavoro, di cui fanno parte rappresentanti istituzionali e delle parti sociali più rappresentative.
Ma il disegno di legge non è neppure solo sul salario. Lo sfruttamento economico, le paghe basse, i compensi miserevoli riguardano infatti, oltre ad ampie fette di lavoro dipendente, anche i contratti di collaborazione, molti contratti d’agenzia e contratti d’opera. Anche a questi contratti, quando è possibile stabilire una relazione tra prestazione effettuata e tempo impiegato per effettuarla, si applica la giusta retribuzione come definita sopra.
Per tutte queste figure di lavoratori e, soprattutto, lavoratrici (visto che è noto dall’esperienza degli altri paesi che il salario minimo ha un impatto di genere molto positivo, poiché le donne soffrono in proporzione maggiore per le basse paghe), la giusta retribuzione e cioè, come detto, il trattamento complessivo previsto dalla contrattazione con il vincolo di una soglia minima inderogabile di 9 euro all’ora, diventa esigibile in via amministrativa, attraverso l’istituto della diffida accertativa, dietro disposizione dell’Ispettorato del lavoro. Non c’è più quindi la necessità di andare in giudizio per vedere riconosciuto un diritto costituzionale che potrà poggiare su parametri certi.
La normativa proposta lascia dodici mesi di tempo ai datori di lavoro che pagano retribuzioni basse per adeguarsi ai nuovi livelli, e li accompagna in questo percorso con il riconoscimento, per un periodo transitorio, di un sostegno economico pubblico che li aiuti a sostenere i maggiori costi.
La strada è tracciata. La proposta dà peso e valore massimo alla contrattazione davvero rappresentativa, a tutela dei lavoratori e dei datori di lavoro. Intraprende un cammino condiviso che rimette al centro la dignità del lavoro e la volontà di contrastare un modello di sviluppo fondato sulla compressione dei salari. Si apre ora il confronto con la maggioranza che ha appena approvato un decreto lavoro che va decisamente nella direzione opposta.