di Maria Cecilia Guerra
Con il decreto sul superbonus e gli altri crediti di imposta il governo ripropone la stessa strategia che ha adottato dapprima col decreto rave e poi con il decreto carburanti: adotta un provvedimento di urgenza, come tale immediatamente operativo, che presenta da subito gravi criticità, ma, al tempo stesso, consapevole di tali criticità, si dice disposto a modificarlo e ad aprire al confronto.
È infatti annunciato un incontro con le associazioni di categoria interessate per lunedì prossimo.
Il decreto interviene bloccando totalmente la cedibilità di tutti i crediti di imposta, prevalentemente, ma non solo, nel campo dell’edilizia, fra cui il superbonus, che dovessero maturare in epoca successiva alla sua entrata in vigore.
È indubbio che la cedibilità indiscriminata dei crediti di imposta ha creato problemi di finanza pubblica, ampliando e rendendo meno prevedibile il costo delle misure di incentivo adottate. È indubbio anche che ha aperto alla possibilità di truffe, che ammontano ormai a più di 4 miliardi di euro, determinando interventi di sequestro da parte della magistratura e interventi normativi restrittivi che hanno portato al blocco della disponibilità di molti istituti di credito ad acquisire nuovi crediti.
Ma è altrettanto indubbio che il nuovo decreto si mostra del tutto inadeguato a dare soluzioni credibili per entrambi i problemi che dovrebbero invece essere compiutamente affrontati.
Il primo problema riguarda il come dare stabilità alle misure di efficientamento energetico degli edifici e più in generale alla loro ristrutturazione (ad esempio in funzione antisismica o per superare le barriere architettoniche). Decisioni che vanno accompagnate da valutazioni approfondite sugli effetti macroeconomici di sostegno al Pil, sugli effetti ambientali e di efficientamento energetico, ma anche sugli effetti distributivi (fra contribuenti più ricchi e contribuenti più poveri) e selettivi (edilizia popolare, condomini, abitazioni monofamiliari, seconde case) cui le misure su cui si interviene erano dirette. Il decreto invece non dà prospettive certe alle imprese che operano nel settore, con riflessi sociali evidenti anche in termini di occupazione. Proprio in un momento in cui, anche a fronte delle presumibili decisioni europee sull’efficientamento energetico delle case, il tema diventa invece cruciale. Non si valutano neppure le gravi ricadute di queste decisioni sulla ricostruzione delle zone del centro Italia così duramente colpite dal sisma e che su queste misure di sostegno hanno fatto sino ad ora largamente affidamento.
Il secondo, se possibile ancora più urgente, problema riguarda la necessità di prospettare soluzioni credibili per le migliaia di famiglie e imprese che, avendo agito nel pieno rispetto della normativa, si trovano ora con crediti incagliati, e cioè con lavori iniziati e esborsi sostenuti o rispetto ai quali esistono impegni, senza avere più la certezza che i loro crediti potranno essere incassati. I soggetti più colpiti sono tutti quelli che non possono ottenere l’incentivo sotto forma di detrazione fiscale, perché non hanno un debito Irpef contro cui farlo valere. Si tratta delle famiglie a più basso reddito, ma anche dei lavoratori autonomi nel regime della flat tax. Si tratta delle migliaia di piccole imprese che hanno concesso sconti in fattura. Tutti soggetti che possono godere dell’incentivo solo cedendo i loro crediti a terzi.
A questi soggetti il decreto toglie una speranza e allunga un pannicello caldo.
Toglie una speranza perché impedisce agli enti territoriali (in primo luogo regioni e province autonome) che si stavano muovendo in questa direzione, di acquistare i crediti incagliati. Questi acquisti avrebbero ampliato di molto la possibilità di smaltimento dei crediti, con riflessi sulla finanza pubblica, che hanno spaventato il governo, ma che potevano invece essere guidati con una disciplina coerente che ne stabilisse limiti, tempi e modalità.
Allunga un pannicello caldo, cercando di meglio definire la responsabilità in solido dei cessionari (coloro che acquistano i crediti). Responsabilità riconosciuta dalla normativa previgente solo in caso di dolo o colpa grave, ma che ora viene esclusa a fronte dell’acquisizione diretta da parte del cessionario, o indiretta attraverso una dichiarazione della banca cedente, di una complessa e compiuta documentazione attestante la bontà del credito acquisito. Una misura non risolutiva che, pur potendo creare qualche spazio di cedibilità in più per i vecchi crediti, aggrava gli oneri in capo al cessionario e avrà quindi anche l’effetto di aumentare il costo del servizio a carico del soggetto che cede il credito (famiglie e imprese).
Questa drammatica insufficienza nella risposta prospettata affiderà al passaggio parlamentare l’individuazione di eccezioni, volte a salvare questa o quella particolare situazione, questa o quella particolare categoria, permettendo così alle forze politiche, specie di maggioranza già oggi pronte a contraddire le scelte che hanno condiviso in sede del governo di cui fanno parte, di acquisire meriti agli occhi di famiglie e imprese giustamente disperate, rinunciando invece a proporre una soluzione di sistema, che risponda a minimi criteri di razionalità ed equità.
Il confronto con le parti sociali e con le forze politiche era meglio aprirlo prima e non dopo l’emanazione del decreto.