Intervista a Il Sole 24 Ore
di Manuela Perrone
“Tra i settori beneficiari del Recovery Fund in Italia deve esserci assolutamente quello delle attività di cura: è questa la chiave, più che la detassazione o gli incentivi alla maternità, per riequilibrare dal punto di vista del genere la partecipazione al mercato del lavoro e colmare un gap insostenibile”. Non ha dubbi Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria all’Economia e docente di Scienza delle finanze all’Università di Modena e Reggio Emilia: è un’occasione storica per sottrarre le donne alla “schiavitù del lavoro non retribuito”.
A luglio erano donne 80mila degli 85mila occupati in più rispetto a giugno. Come va letto questo dato?
Insieme agli altri. Il tasso di occupazione femminile è del 48,9%, sceso cioè sotto il 50% dove eravamo arrivati faticosissimamente, con un differenziale di circa 18 punti rispetto all’occupazione maschile. I dati tendenziali, luglio 2020 su luglio 2019, mostrano che l’occupazione femminile è calata del 2,8%, quella maschile del 2,1%. Tutto conferma che la pandemia è stata particolarmente pesante per il lavoro delle donne, concentrato com’è nei settori più danneggiati dal lockdown e più esposti al rischio di infezione.
Ora c’è il Recovery Fund…
L’uguaglianza di genere deve esserne un pilastro. Sono perfettamente in linea con il movimento #halfofit, lanciato dall’eurodeputata verde tedesca Alexandra Geese: il Recovery Plan deve avere un’impostazione non cieca nei confronti delle problematiche di genere. In particolare è cruciale che tra i settori beneficiari delle misure di sostegno ci sia quello delle attività di cura. Perché è caratterizzato da una fortissima presenza di forza lavoro femminile. E perché la cura dei fragili (bimbi, anziani non autosufficienti, persone con gravi disabilità), se non sostenuta dall’intervento pubblico, è appaltata alle donne nel chiuso delle case ed è la principale causa del gap di partecipazione al mercato del lavoro e della sua qualità.
Detassazione, congedi e assegno unico non servono?
Tutto serve. Ma la minore partecipazione delle donne non dipende da un fattore biologico. Dipende dal fatto che il lavoro di cura informale troppo spesso non è compatibile con la vita sociale e di lavoro.
In quali progetti concreti deve a suo avviso declinarsi?
Infrastrutturazione sociale, a partire dagli asili nido, già ben presenti nei progetti del governo. Ripensamento della rete per gli anziani non autosufficienti, abbandonando un’ottica meramente sanitaria. Disabilità: è ricaduto sulle donne il peso della chiusura dei centri diurni durante il lockdown. Questi ambiti riguardano la qualità della vita dell’intera comunità e avrebbero un effetto eccezionale sulla liberazione di tempo delle donne e sulla possibilità di impiego: il famoso doppio dividendo. Se non cogliamo un’occasione come il Next Generation Eu vuol dire che abbiamo uno strabismo di genere: guardiamo soltanto agli uomini.
Un piano da quanti miliardi?
Da alcune decine di miliardi. La sensibilità c’è, è trasversale. Ma occorre aggredire il punto cruciale: la schiavitù al lavoro di cura.