Guerra: ecco come questo Paese ipoteca il futuro dei giovani

Politica e Primo piano

Pubblicato su La Stampa

di Maria Cecilia Guerra

Sui giovani stiamo sbagliando: non vediamo la china regressiva che ipoteca il loro futuro consegnandolo nella migliore delle ipotesi alla dipendenza dalla famiglia, nella peggiore alla povertà. A dircelo sono i dati che emergono dal Rapporto annuale dell’Istat, presentato venerdì scorso. Ci raccontano di un Paese sordo alle esigenze e alle aspettative delle nuove generazioni. 

Il dato da cui partire è la permanenza nella casa dei genitori. Una situazione che coinvolge 7 milioni di giovani, il 67,61% del totale, contro una media europea del 50%. Un fenomeno in forte crescita: 9 punti in più rispetto al minimo toccato nel 2010. Impressionante, se si considera che fra questi solo il 30% dei maschi e il 40% delle donne è impegnato in percorsi scolastici e ben il 43,1% dei maschi e il 30% delle donne è occupato.

L’Istat ci rende noto che questa permanenza nella casa dei genitori è sempre più in contrasto con un desiderio di autonomia che trova ostacoli soprattutto di tipo economico, in particolare legati al costo degli affitti. 

Non meraviglia che giovani che pure lavorano non possano affrontare i costi della vita indipendente quando si vede che 1 su 3 nel caso dei maschi e ben 4 su 10 nel caso delle femmine sono impiegati a tempo determinato (più del doppio dell’incidenza di questo tipo di occupazione nelle altre fasce di età). La classe di età dei giovani è poi quella in cui è maggiore l’incidenza di retribuzioni orarie basse, e quella a cui appartengono più del 50% dei lavoratori dei gruppi a maggior vulnerabilità lavorativa identificati dall’Istat: il gruppo 1 e 2, con livelli retributivi annui pari in media, rispettivamente, a poco più di 5 mila e 200 euro, e 10 mila e 700 euro. Un dato che si sposa con quello della povertà assoluta, la cui incidenza fra i giovani, quadruplicata dal 2005, è ora all’11,1%.

A questi dati è utile affiancare quelli sui Neet, che sono il 23,1% dei giovani di età fra 15 e 29 anni, dieci punti sopra la media Ue, e quelli sul crollo dei nati da donne di età inferiore ai 30 anni: -18% nel periodo 2001-2011 e -36% nel decennio successivo. 

E dunque cosa fare? Due strategie vanno subito messe a terra: intervenire sulla qualità dell’accesso al mercato del lavoro (con politiche dirette a ridurre l’incidenza dei lavori caratterizzati da bassa intensità di lavoro e basse retribuzioni); investire su politiche per la casa e di edilizia pubblica, specificamente rivolte a favorire non già, come pure si sta facendo, l’acquisto della casa, quanto il più banale e più necessario pagamento dell’affitto da parte di giovani che devono uscire dalle case dei genitori.