Gotor: diteci ora cosa farete per la scuola e l’università

Politica e Primo piano

Pubblicato su Huffington Post

di Miguel Gotor

Il problema di oggi non è solo il quando si riparte, ma soprattutto il come lo si farà, perché l’epidemia ha fatto emergere un policentrismo deliberativo tra governo, regioni e comuni che, seppure rappresenta da secoli un carattere originario della statualità italiana, rischia di rasentare l’anarchia e la bulimia comunicativa e decisionale. Una sola cosa è da evitare: una riapertura caotica (i più diplomatici scrivono «in ordine sparso») perché essa costituirà il brodo di coltura ideale per il virus, nel caso in cui si riaffaccerà con una seconda ondata epidemica, come purtroppo l’esperienza insegna che non è possibile escludere.

Dentro la decisione di come ripartire, la scuola e l’università costituiscono uno snodo nevralgico per i milioni di cittadini direttamente e indirettamente coinvolti, ma non sembra che lo si stia affrontando con la necessaria tempestività e lungimiranza. Infatti, è del tutto evidente che, per preparare la riapertura a settembre del prossimo anno scolastico e del nuovo anno accademico, è ora che vanno decisi e programmati gli interventi da realizzare nei tre/quattro mesi estivi che abbiamo davanti, perché poi sarà troppo tardi.

Bisogna andare oltre la sterile contrapposizione di carattere emergenziale tra le ragioni della sanità e quelle produttive e definire, dopo due mesi di faticoso ma inevitabile confinamento abitativo, un discorso pubblico che delinei un orizzonte, partendo dal presupposto che ci attende una fase psicologica e sociale (nessuno purtroppo sa quanto lunga) di convivenza con il virus, che si protrarrà sin quando non sarà individuato un medicinale in grado di alleviarne le conseguenze o addirittura un vaccino per debellarlo.

Si diceva della scuola: rispetto ad altri Paesi, ormai ugualmente colpiti dall’epidemia come la Spagna e la Francia, l’Italia ha già deciso che l’anno scolastico in corso si sia già concluso. Ma all’apertura del prossimo anno scolastico mancano cinque mesi e il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina ha il dovere di iniziare immediatamente a pensare a quell’appuntamento e a organizzarlo concretamente ottenendo i finanziamenti necessari.

I problemi principali sono due. Il primo riguarda la didattica a distanza che ha aperto un’enorme questione di disuguaglianza pedagogica. Ci sono seri problemi strutturali di connessione con banda larga, di formazione dei docenti sul piano informatico e sulle tecniche, affatto diverse, di quel tipo di didattica, di disponibilità di computer per le famiglie (soprattutto nei casi in cui anche i genitori o un altro figlio li utilizza per lavorare o per studiare), di difficoltà a organizzare e gestire un tempo famigliare stressato, soprattutto per i bambini che frequentano le elementari e hanno bisogno di essere seguiti dai genitori per accedere all’insegnamento.

La didattica a distanza è un’opportunità che sta rappresentando un’occasione di digitalizzazione accelerata per moltissimi cittadini, ma lo è soprattutto – non riconoscerlo sarebbe da ipocriti – per chi è già socialmente privilegiato, mentre aumenta la forbice – ossia non si limita a riprodurla – per chi è svantaggiato o ha delle disabilità e resta del tutto escluso oppure collegato a intermittenza. Esiste un’Italia iperconessa e un’altra, nelle tante periferie sociali e culturali dal nord al sud della penisola, che è ancora senza computer o non raggiunta dalla banda larga.

Serve da subito un piano straordinario d’investimento per affrontare questo problema sia per quanto riguarda la spesa delle famiglie sia per ciò che concerne la formazione degli insegnanti, ma soprattutto è necessario denunciare e combattere l’ideologia di quanti ritengono che la didattica a distanza possa essere sostitutiva di quella frontale. Non una scelta obbligata dall’emergenza, ma un’irripetibile occasione per adeguarsi coattivamente ai tempi nuovi, decantando «le magnifiche sorti e progressive» di un mondo de-materializzato e de-relazionato che non solo ci attende, ma sarebbe già tra noi. Non uno strumento, quindi, ma un fine che, come ha giustamente sottolineato lo storico Alberto Melloni, «entusiasma chi ha una concezione “trasmissiva” del sapere immaginato come un pacco da recapitare via web facendo parti uguali tra disuguali», la più grave delle ingiustizie.

Il secondo problema è che non si può programmare la riapertura del tessuto economico e produttivo del Paese senza considerare gli effetti che avrà nella vita quotidiana di centinaia di migliaia di famiglie che hanno figli in età scolare e prescolare. Ricapitoliamo: i genitori, dal 4 maggio in poi, dovranno tornare a lavorare a tempo pieno, ma i loro figli con chi passeranno il loro tempo e chi li affiancherà, se frequentano le elementari, affinché possano continuare a svolgere l’insegnamento a distanza? I nonni, sono e saranno comprensibilmente fuori gioco perché soggetti a rischio, i campi verdi e i centri estivi chiusi per evitare agglomerati pericolosi. Si dirà: ci sono le baby sitter, ma con costi molto elevati e soltanto per quella minoranza che se le potrà permettere. Insomma, come ha scritto Saverio, di sette anni, in una lettera al presidente della Repubblica: «Ma perché dovrebbero riaprire le aziende e le scuole no? Se i genitori vanno al lavoro e noi non possiamo stare dai nonni, dove si sta?».

Da questa semplice domanda emerge da subito la necessità di organizzare, con un investimento mirato, un piano di riapertura delle scuole, ovviamente adeguato al rispetto della distanza sociale e delle norme igieniche richieste che lo Stato dovrà garantire. Il che significa assumersi politicamente delle responsabilità decisionali ora e non rimandarle a un secondo imprecisato momento come alcune autorevoli dichiarazioni dei vertici tecnici delle strutture sanitarie nazionali intervistati in queste ore autorizzano a pensare che si voglia invece fare. In altri Paesi si stanno programmando sin da ora una divisione delle classi per ore, lo scaglionamento degli orari di ingresso e di uscita degli alunni spalmati sulla mattina e sul pomeriggio, l’allestimento di spazi all’aperto, l’utilizzo di palestre, l’impiego di cinema e di teatri vuoti, una riapertura graduale e differenziata regione per regione perché è ormai del tutto evidente che non si può equiparare e pretendere di normare con un’unica e uniforme azione legislativa una scuola elementare in provincia di Lodi con una in provincia di Sassari. Ovviamente, essendo già pronti a inserire la retromarcia nel caso in cui il numero dei contagi in ambiente scolastico dovesse crescere.

Bisogna, quindi, sin da ora lavorare, anche sul piano organizzativo, per garantire, da settembre, la distanza tra gli alunni nelle classi e aumentare i docenti con un inserimento straordinario, come è stato fatto per gli infermieri e i medici, così da affrontare una volta per tutte il problema delle cosiddette «classi pollaio». In concreto ciò significa iniziare a distinguere sin da ora le scuole che potranno consentire quella distanza a causa dell’ampiezza degli spazi di cui dispongono da quelle, invece, che necessitano di interventi urgenti di adeguamento che si potranno svolgere nei due mesi estivi (ma i relativi bandi vanno programmati ora!), tra l’altro cogliendo l’occasione per rimettere in moto l’economia in un settore produttivo nevralgico come l’edilizia.

Per quanto riguarda l’università è necessario da subito intervenire con un apposito emendamento al decreto in discussione al Senato per rinviare di almeno sei mesi le scadenze relative all’abilitazione scientifica nazionale dei professori perché è del tutto evidente che il blocco di una serie di attività produttive (tipografie, case editrici, archivi, biblioteche, laboratori, scavi archeologici) ha impedito ai candidati di rispettare le “mediane” che avevano programmato di avere per superare la selezione.

Inoltre, in queste settimane sta emergendo un enorme problema riguardante la serietà e la correttezza delle prove di esame (in particolare quelle scritte, ma anche quelle orali non sono esenti da criticità soprattutto in presenza di grandi numeri) che soltanto la buona volontà e la necessaria flessibilità e indulgenza dei docenti sta consentendo di superare. Le linee guida sin qui elaborate per gli esami a distanza appaiono insufficienti a garantire un dignitoso svolgimento delle valutazioni. Agli appelli estivi mancano due mesi e sarebbe importante concentrare il massimo degli sforzi perché, con appositi interventi informatici, si possa già allora tornare a garantire uno standard di qualità accettabile agli esami, ma anche programmando (con opportuni investimenti, scaglionamenti degli studenti e protezioni) la ripresa degli esami in presenza da settembre in poi.

Stabilire adesso delle gerarchie di intervento riguardanti la scuola e l’università, programmarle a maggio e giugno e renderle esecutive a luglio e agosto significa semplicemente avere a cuore il presente e il futuro dell’Italia. Se non ora, quando?