Gotor: la lezione di Aldo Moro, il grande rimosso nazionale

Politica e Primo piano

Intervista a Il Mattino

di Generoso Picone

Miguel Gotor è convinto che i 55 giorni da via Fani a via Caetani rappresentino un luogo paradossale della memoria italiana «una grande rimosso nazionale, un fastidioso inciampo che obbliga in occasione degli anniversari a riaprire la finestra sulla vicenda». Lui, docente di Storia moderna all’Università di Torino, ex senatore Pd e tra i fondatori di Articolo 1-Mdp, nel 2008 ha curato «Lettere dalla prigionia» e nel 2011 ha pubblicato «Il memoriale della Repubblica. Gli scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l’anatomia del potere italiano», editi da Einaudi.

Gotor, anche in questa occasione le sembra che si stia verificando ciò?

Anche in questa occasione mi colpisce la ritualità delle posizioni e la loro sclerosi militante. Registro anche un’indifferenza tra formazione stereotipata del discorso pubblico e ricerca storica, che sulla vicenda Moro negli ultimi 10-15 anni ha fatto dei passi in avanti sul terreno della conoscenza. Questo doppio atteggiamento mi conferma nell’idea che ormai ci troviamo davanti a una grande nevrosi nazionale, una sorta di “blocco memorialistico” che credo abbia il suo momento di origine nella mancata sepoltura di Aldo Moro secondo i riti dell’ufficialità di Stato. Studiare il modo con cui un anniversario dopo l’altro la comunità nazionale ha rielaborato quel lutto senza fare per davvero i conti con esso e con la lotta armata che lo ha prodotto sarebbe un bellissimo argomento di indagine storica.

Lei ritiene che Moro doveva essere eliminato e annientato il suo progetto di allargamento dell’area di governo al Pci anche attraverso una sorta di guerriglia psicologica. Non le sembra di correre il rischio di seguire l’interpretazione complottista che lei stesso indica come un ostacolo all’analisi della figura del leader democristiano?

Non credo. Basterebbe conoscere un po’ di terrorismo e quindi di tecniche dell’antiterrorismo, anche in contesti diversissimi da quello italiano, per sapere che l’elemento della manipolazione dell’opinione pubblica mediante espedienti di “guerriglia” e “controguerriglia” psicologica erano e sono all’ordine del giorno e sempre determinanti. Un atto terroristico non ha mai una finalità chiusa in se stessa ma trae la sua energia dalla propria riproducibilità tecnica e comunicativa che è parte dell’azione destabilizzatrice posta in essere.

I giorni della prigionia rivelarono la presenza di molti nemici di Aldo Moro. Ma dove nasce davvero il piano che portò alla strage e al sequestro? Insomma, chi erano davvero i terroristi della Br?

Sono fra quanti ritengono che fossero ciò che hanno sostenuto di essere: soprattutto una “storia italiana”, ossia un pezzo della sua conflittuale evoluzione sociale che, a partire dai primissimi anni Settanta, si organizza in “Partito armato”, all’interno del quale le Brigate rosse conquistano una progressiva egemonia che andrebbe studiata nei tempi e nei modi in cui si realizza. Ovviamente, è inevitabile che se per quindici anni si porta avanti un progetto armato di destabilizzazione dello Stato che prevede la pratica dell’omicidio politico, la controparte – sia a livello nazionale sia internazionale – si organizzi e reagisca mediante procedure di infiltrazione e di manipolazione di quell’azione oppure provando a sfruttarla per proprie finalità politiche anche del tutto divergenti da quelle originarie del “partito armato”. Nella storia dell’occidente è sempre stato così dai tempi del terrore francese e e di quello decabrista russo in poi e non si capisce per quale motivo la vicenda italiana dovrebbe rappresentare un’eccezione.

Via Fani ha interrotto un percorso che avrebbe portato la società nazionale a nuovi approdi?

Non sono portato a idealizzare i processi storici che non sono avvenuti, ma a cercare di capire ciò che è stato. Il disegno di Moro era quello di allargare la base democratica e popolare dello Stato aumentando la responsabilizzazione civile e il coinvolgimento dei cittadini, un deficit antico della storia italiana, ma sempre presente e da porsi come obiettivo “nazionale” come dimostrano anche le vicende politiche degli ultimi anni. Senza dubbio l’operazione Moro è stata un intervento chirurgico a cuore aperto sul corpo italiano che ha prodotto dei costi e ha potuto approfittare delle divisioni fazionarie interne alle classi dirigenti nazionali, non solo politiche. L’obiettivo principale, ma non l’unico, era di allontanare i comunisti italiani (i cosiddetti “berlingueriani”) dall’area di governo e garantire la conferma dell’ordine internazionale stabilito a Yalta. I fatti ci dicono che gli eredi del Pci torneranno nell’area di governo soltanto nel 1996, ossia quasi vent’anni dopo, ma in un contesto internazionale e interno rivoluzionato dalla caduta del muro di Berlino e dalla fine della “Guerra fredda”.

Lei ha anche lavorato agli scritti e ai discorsi di Enrico Berlinguer: la loro scomparsa ha designato un vuoto. Possibile che non ci siano stati eredi?

Pur con tutti i suoi limiti e obiettive diversità storiche ritengo che l’esperienza dell’Ulivo e l’ispirazione originaria del Partito democratico traessero origine dal tentativo di mescolare quelle diverse culture politiche – comunista italiana, socialista, azionista, cattolico democratica, popolare e sociale, in un progetto comune riformista e di centrosinistra. Per questo oggi trovo semplicistica e troppo opportunistica l’analisi di quanti tendono a fare degli ultimi vent’anni di storia del centrosinistra italiano “di tutta un’erba un fascio”, da cancellare con un tratto di penna alla ricerca di idealistici e astratti “anni zero”. No, ritengo che l’esperienza di Matteo Renzi e la sua parabola abbia rappresentato un punto di rottura e di discontinuità – nei suoi aspetti negativi ma anche in quelli modernizzanti – che aveva l’obiettivo di disarticolare quell’ispirazione progressista e di centrosinistra. Purtroppo lo scopo è stato raggiunto, con la collaborazione attiva e spesso inconsapevole – questo è l’aspetto più grottesco – di quanti, facendo strame della memoria politica di Moro e di Berlinguer, hanno pensato, usando il loro nome, di averne qualcosa da guadagnare e invece sono rimasti con un pugno di mosche in mano. La sinistra e il centrosinistra italiano dovranno ripartire da questa dolorosa e persino umiliante consapevolezza,ma ci vorranno tempo, studio e una nuova leva dirigente.