di Serenella Mattera
“Lo abbiamo detto dall’inizio: non vogliamo essere l’ennesimo partitino autoreferenziale della sinistra ma il lievito di un grande partito della sinistra popolare, in una grande alleanza” che deve includere il Movimento 5 Stelle. Federico Fornaro è capogruppo di LeU alla Camera e dirigente di Articolo Uno, il partito fondato con Pier Luigi Bersani nel 2017 dopo l’uscita dal Pd.
“Un mondo nuovo, una sinistra grande”, è il titolo del congresso che oggi rieleggerà segretario Roberto Speranza. Qual è la vostra proposta?
“Con umiltà vogliamo dare il nostro contributo alla costruzione di una grande sinistra plurale e popolare che sia in grado di confrontarsi con le sfide della modernità, in una fase contrassegnata da una diffusa crisi delle democrazie, particolarmente colpite da due eventi straordinari e eccezionali, non prevedibili, la pandemia prima e la guerra adesso. Una sinistra che si ponga come obiettivo quello di ricucire le lacerazioni profonde che ci sono nella nostra società, perché l’Italia è una nazione percorsa da troppe fratture sociali, tra ricchi e poveri, e territoriali, tra città e campagna, e nei grandi centri urbani tra Ztl e periferie. È un passo scivolare verso modelli di democrazia illiberale e disordine sociale. Dobbiamo essere molto attenti e lavorare per uscire da questa situazione di crisi da sinistra, non da destra”.
La grande sinistra plurale coincide con il campo largo che immagina Enrico Letta?
“Il campo largo è un’alleanza che deve ricomprendere – come noi, anche inascoltati, abbiamo sempre sostenuto – il Movimento 5 stelle, per poter essere competitivi col centrodestra. Ma noi poniamo una questione differente: al campo largo serve un baricentro di sinistra forte, una soggettività molto radicata sul territorio e in grado di parlare a larghe fasce della popolazione. Nel 2017 quando nascemmo dicemmo con chiarezza che non volevamo essere l’ennesimo partitino autoreferenziale della sinistra ma il lievito di una grande sinistra popolare. Nei prossimi mesi vorremmo vedere se ci sono le condizioni per realizzare un confronto serrato col Pd e altri soggetti disponibili a lavorare per un grande partito in una grande alleanza”.
Si è più volte ipotizzato un vostro ritorno al Partito democratico. È questo l’approdo?
“Io credo che lo verificheremo sul campo. È fondamentale avere la consapevolezza e anche l’umiltà di riconoscere che in questo momento tutti i contenitori della sinistra, compreso quello più grande, sono insufficienti proprio per affrontare le sfide enormi che abbiamo davanti. Questo non vuol dire non tener conto dei rapporti di forza e delle differenze organizzative di consenso, ma con le Agorà il Pd ha dato un segnale di potersi aprire, confrontarsi, per provare a fare un salto in avanti. Ora a mio giudizio dobbiamo dare con chiarezza il segno che un percorso inizia e si pone come obiettivo questa costruzione”.
Con Sinistra italiana le strade si sono definitivamente separate?
“Sinistra italiana, non partecipando all’esperienza del governo Draghi, ha compiuto una scelta chiara e netta in un’altra direzione, una scelta da rispettare. E’ evidente che questo li proietta verso una dimensione di una sinistra minoritaria, ma è giusto che ci sia una rappresentanza della sinistra radicale nella coalizione”.
Dove si colloca Articolo Uno nel dibattito sull’Ucraina che ha diviso la sinistra e l’Anpi?
“Sono profondamente convinto della necessità che di fronte a eventi drammatici come questi, che sollecitano le coscienze di tutti, occorra avere rispetto delle convinzioni di ciascuno. Ma non si può perdere l’essenza della situazione drammatica che abbiamo di fronte: c’è un’aggressione in spregio a tutto il diritto internazionale, da parte della Russia di Putin, a uno stato democratico, l’Ucraina. Se si parte da questa consapevolezza si possono fare sia analisi su quel che non si è fatto per prevenire, sia su quel che si può fare il prima possibile per far cessare le armi. A mio parere occorre una distinzione di ruoli sul fronte occidentale, la Nato deve fare la Nato con la deterrenza militare in chiave difensiva e l’Ue non può abdicare a un ruolo politico nella ricerca di vie diplomatiche per raggiungere la pace. Non ci arrendiamo all’idea che la prospettiva sia solo di guerra: si deve lavorare per uno scenario di pace nel più breve tempo possibile”.
Tornando al quadro politico italiano: pensa ci siano ancora margini per cambiare la legge elettorale?
“Come insegna la storia degli ultimi anni, la legge elettorale può essere cambiata anche in poche settimane, i tempi ci sarebbero. Ma non vedo una volontà del centrodestra di governo, Lega e Fi, di affrontare la questione. In questa fase politica andrebbe posta massima attenzione alla rappresentanza e bisognerebbe prendere atto che le alleanze pre voto non hanno funzionato in Italia. Il sistema proporzionale, con correttivi di governabilità, è la risposta giusta, su questa auspichiamo si possa lavorare”.
La sua riforma costituzionale per eleggere i senatori su base nazionale e non più su base regionale è ferma alla Camera. Ci sono ancora margini per approvarla?
“Credo possa andare in aula nei prossimi 15 giorni. C’è la contrarietà di Forza Italia e Lega però l’auspicio è che ci possa essere un confronto in Aula sereno e si possa andare poi a una prima lettura del Senato e anche provare a verificare se c’è una convergenza più larga. Questa riforma a priori non favorisce questa o quella coalizione ma cerca di dare una risposta a una questione di ingovernabilità, perché le attuali leggi elettorali non sono riuscite a determinare un’identica maggioranza alla Camera e al Senato. Oggi avendo anche portato a 18 anni il voto per il Senato c’è bisogno di una legge molto simile per le Camere, in modo da poter avere una situazione di governabilità per chi vince le elezioni e non dover confrontarsi con l’instabilità cronica”.