di Federico Fornaro
Le elezioni regionali in Lazio e Lombardia confermano l’affermarsi sulla scena politica della figura degli elettori intermittenti che si affianca a quello dell’astensionista cronico. Sono cittadini consapevoli che di volta in volta decidono se e chi votare in un contesto generale di sfiducia, di rancore e di disaffezione nei confronti della politica e delle istituzioni a livelli mai visti nella storia repubblicana.
Se nella cosiddetta prima repubblica il non recarsi ai seggi era un comportamento limitato a un esigua minoranza di persone ai margini della società, a partire dalla seconda metà degli anni ottanta si è manifestato un costante declino della partecipazione elettorale, andato di pari passo con una perdita di radicamento e di orientamento al voto da parte dei partiti politici.
Nella sostanziale indifferenza della politica lo scorso 25 settembre 2022 si è battuto sia il record negativo dei votanti (63,79 per cento) sia quello del maggior scostamento rispetto alle precedenti elezioni politiche (- 9,15 per cento).
Se, poi, i dati li leggiamo non con la lente consolatoria delle percentuali, preferendogli i freddi numeri assoluti, l’astensionismo assume dimensioni critiche non solo per il sistema politico, ma per la stabilità dell’intero edificio della democrazia italiana.
Senza voler sminuire l’oggettiva portata della netta vittoria del centrodestra in Lazio e della riconferma in Lombardia, il raffronto con le elezioni politiche del 2022 e con le ultime regionali del 2018 ci restituisce una lettura più complessa del voto.
In Lazio, ad esempio, i votanti passano dai 3.181.235 del 2018 ai 2.762.648 del 2022 per crollare al 1.917.124 del 2023. In cinque anni si perdono per strada 1.264.111 elettori, circa il 40 per cento in meno.
Analogo trend dei votanti in Lombardia: 5.762.459 (2018), 5.260.161 (2022) e 3.339.019 (2023); con un decremento tra il 2023 e il 2018 di 2.423.400 elettori (- 42,0 per cento).
Se restringiamo l’arco temporale del raffronto (al netto della differente natura della competizione) ai 5 mesi che dividono le politiche del 25 settembre dello scorso anno dalle regionali del 12-13 febbraio 2023, emerge in tutta la sua forza l’elettore intermittente.
In Lazio 845.524 persone (circa il 30 per cento degli elettori 2022) erano andati regolarmente a votare a settembre e non si sono presentate ai seggi per le regionali. In Lombardia questo fenomeno di intermittenza vale 1.921.142 di voti in meno (circa il 36 per cento dei votanti 2022). In estrema sintesi circa un elettore su tre delle politiche dell’autunno 2022 ha disertato le urne.
L’analisi fondata sulle percentuali sui voti validi (assolutamente corretta da un punto di vista formale perché è su questi dati che si calcola la trasformazione dei voti in seggi, al netto del premio di maggioranza), oscura però le rilevanti perdite di consenso reale dei presidenti e di alcuni partiti.
Vincitori e sconfitti
Ecco che il grande vincitore delle regionali in Lombardia, il Presidente Attilio Fontana, perde in cinque anni 1.018.892 voti passando dai 2.793.369 del 2018 al 1.774.477 del 2023, mentre in percentuale sui voti validi l’aumento è del 4,92 per cento.
Per parte sua, il campo largo guidato da Pierfrancesco Majorino che partiva da un bacino elettorale di 1.633.373 voti andati a Giorgio Gori e ai 974.983 del pentastellato Dario Violi, si ferma a 1.101.417 voti.
Il Lazio, invece, Francesco Rocca riesce a confermare sostanzialmente il dato di consensi che erano stati raccolti da Stefano Parisi: 935.604 contro 964.757. Zingaretti, vincitore per il centrosinistra nel 2018, aveva ottenuto 1.018.735 voti, mentre il suo assessore Alessio D’Amato non va oltre i 581.031. Ancora più impietoso il confronto tra gli 835.137 voti della candidata presidente M5s nel 2018, Roberta Lombardi e i 186.562 di Donatella Bianchi nel 2023.
Un ultimo raffronto è giusto dedicarlo ai cambiamenti della geografia politica dei due nuovi consigli regionali. In Lombardia, nel centrodestra Fratelli d’Italia passa da 3 a 22 seggi, mentre la Lega dimezza gli eletti (14/28) e a Forza Italia va ancora peggio (6 consiglieri nel 2018 contro i 14 del 2023). La lista Fontana, invece, cresce da 1 a 5 consiglieri e Noi con l’Italia conferma un seggio.
Nel centrosinistra, invece, il Pd aumenta di due seggi (da 15 a 17), la lista civica collegata al candidato presidente conferma 2 eletti, Verdi e Sinistra conquistano un seggio, mentre i Cinque stelle calano da 13 consiglieri uscenti a 3. Il terzo polo avrà 7 consiglieri.
Anche nel Lazio il partito di Giorgia Meloni aumenta di oltre sette volte la rappresentanza in consiglio regionale (22 rispetto a 3 del 2018), la Lega flette da 4 a 3 seggi e Forza Italia dimezza (3 contro 6).
La perdita della regione pesa negativamente, invece, sul Pd (10 seggi contro i 18 del 2018), a cui si devono sommare i 3 seggi che andarono alla lista Zingaretti (1 nel 2023 alla lista D’Amato). Due seggi andranno alla lista Azione-Italia Viva e uno a Verdi-Sinistra (nel 2018 un seggio andò a LeU). Perde la sua rappresentanza + Europa.
Infine, il Movimento 5 Stelle avrà 4 consiglieri rispetto ai 10 di cinque anni fa e gli alleati del Polo Progressista di sinistra & ecologista ottengono un eletto.
In definitiva, queste elezioni regionali confermano un allarmante e costante declino nella partecipazione elettorale e una incombente presenza dell’elettore intermittente, sempre più decisivo anche quando, come in questo caso, preferisce il divano alle urne.