Il progetto di integrazione europeo si trova a fronteggiare una sfida decisiva per la sua sopravvivenza e il suo sviluppo, che richiede il coraggio di decisioni lungimiranti.
Di fronte a un’emergenza sanitaria ed economica senza precedenti e di portata globale, emerge con maggiore evidenza l’inadeguatezza dell’attuale assetto istituzionale dell’unione economica e monetaria europea. Questo problema si era già manifestato in occasione della crisi finanziaria globale del 2007-2008, trasformatasi ben presto in una crisi dei debiti pubblici di diversi Paesi dell’eurozona, tra cui l’Italia. Ciò è avvenuto per l’assenza – unico caso tra le grandi economie del pianeta – di un “prestatore di ultima istanza”, problema a cui poi soltanto nel 2015 ha rimediato, in forma parziale e diversa, il lancio del QE da parte della BCE guidata da Mario Draghi.
Questo limite strutturale della moneta unica europea, unitamente all’assenza di un qualsiasi budget fiscale comune dell’eurozona, è destinato, se non corretto, a produrre stavolta conseguenze ben più gravi, a fronte a una crisi che, per natura, durata ed estensione, si preannuncia molto più dura di tutte le precedenti e che richiederà enormi iniezioni di liquidità nel sistema economico e produttivo.
Come dimostra ciò che stanno già facendo tutte le altre grandi economie mondiali (USA, Cina, Giappone, UK eccetera), questo è un compito che nessuno Stato può affrontare senza una massiccia creazione di liquidità e monetizzazione del debito da parte della Banca Centrale.
Tuttavia, rispetto alla libertà di movimento delle altre banche centrali, la BCE ha un mandato limitato, che non le consente di intervenire nel caso di una crisi “estrema”, quando, cioè, l’Unione o i singoli Stati non fossero in grado di collocare titoli di nuova emissione, o alcune banche si trovassero in situazione di possibile insolvenza. Perciò va posto il problema di adeguare lo statuto della BCE in modo da renderlo simile a quello della FED, o per lo meno di sospendere i limiti che oggi impediscono alla BCE la piena libertà di intervento anche in caso di necessità.
Il problema principale che le economie europee (diversamente da quella americana, cinese, giapponese, inglese) dovranno affrontare, data l’attuale impossibilità di monetizzare direttamente gli extra-debiti emessi dai singoli Paesi per fronteggiare la crisi, consiste nell’accumulo massiccio di nuovo debito che, se non adeguatamente gestito, comporterebbe politiche di austerità prolungata in tutti i Paesi dell’Unione.
Per collocare il nuovo debito all’esterno dei bilanci nazionali, una misura efficace e complementare potrebbe essere il recupero della proposta avanzata diversi anni fa da Vincenzo Visco, ma anche dal comitato di “saggi” che consiglia il governo federale tedesco, di collocare il nuovo debito in un apposito contenitore in cui la scadenza dei debiti sia molto lunga (30-50 anni), i tassi di interesse molto bassi, sia prevista la garanzia congiunta degli Stati europei, ma rimanga la responsabilità di rimborso a carico dei singoli Stati. Più di recente, alcuni economisti hanno proposto anche l’emissione di un prestito irredimibile (che quindi non crea debito da rimborsare) che andrebbe acquistato dalla BCE.
Non si tratta di condividere i debiti del passato, ma di mobilitare risorse per il futuro di dimensioni paragonabili a quelle attivate da Paesi come USA e Cina, e che potrebbero raggiungere percentuali molto elevate del PIL europeo.
I pregiudizi tradizionali dei Paesi del Nord Europa vanno superati con senso di responsabilità da parte di tutti, guardando al futuro e non al passato, e superando il sospetto che i Paesi del Sud vogliano appropriarsi delle risorse degli altri membri dell’Unione.
Nell’immediato, gli interventi di emergenza posti in essere dalla BCE, posti in essere anche grazie all’incisivo intervento delle istituzioni italiane, sono stati positivi ed innovativi anche rispetto al QE di Draghi, e sono per il momento in grado di garantire la tenuta della moneta unica e il contenimento degli spread.
Tuttavia, siccome la drammatica dimensione e la durata dei problemi posti dall’emergenza impongono di affrontare i nodi irrisolti dell’eurozona, è pienamente condivisibile e da sostenere la posizione assunta dal Presidente del Consiglio Conte sul ricorso a strumenti come il MES, giudicati giustamente “totalmente inadeguati rispetto agli scopi da perseguire”, sia per le condizionalità – funzionali a crisi finanziarie di altra natura e origine – che i Trattati europei inevitabilmente impongono e che possono anche essere inasprite in corso d’opera dai creditori, sia per la limitata durata e la scarsa dimensione quantitativa dei prestiti attivabili.
Le risorse versate dagli Stati al MES vanno semmai re-indirizzate e utilizzate in un tutt’altro quadro normativo, coerente il carattere simmetrico dell’attuale crisi (da questo punto di vista sarebbe positivo il rafforzamento del fondo di garanzia della BEI per i prestiti alle piccole e medie imprese dell’eurozona) e con l’obiettivo di una mutualizzazione di una parte significativa dell’extradebito necessario per affrontare l’emergenza (i cosiddetti eurobond o coronabond, secondo la proposta contenuta nel documento promosso dal nostro governo e sottoscritto da altri otto Paesi dell’eurozona, compresa la Francia).
Riguardo uno strumento come il SURE, se da un lato è apprezzabile l’intento della Commissione europea di affrontare finalmente il problema della disoccupazione, e non più soltanto quello dell’inflazione (dopo che per anni l’applicazione di parametri come l’output gap e il NAWRU avevano portato a considerare appropriati per Paesi come l’Italia e la Spagna tassi di “disoccupazione di equilibrio” abbondantemente sopra il 10%), e di facilitare le misure degli Stati a sostegno del reddito dei lavoratori colpiti dalla crisi, dall’altro questo strumento appare al momento piuttosto distante dall’obiettivo di un vero sussidio europeo di disoccupazione fondato su un budget comune e trasferimenti automatici, in quanto ancorato alla logica di un prestito e quindi di un ulteriore debito da ripagare, peraltro legato alla concessione di garanzie liquide da parte degli Stati che chiedono l’utilizzo dei fondi.
Per questo chiediamo che il governo italiano insista con determinazione sulla linea indicata dal premier Conte e dal ministro Gualtieri, impegnati in una complessa e difficile negoziazione: per l’Europa non più è il tempo di toppe e di finte soluzioni, è il momento di una svolta all’altezza della crisi epocale che dovremo affrontare, anche perché da questa emergenza l’Unione Europea può uscire solo rilanciando e rinnovando quello spirito di solidarietà e comunità che è stato alla base della nascita del progetto europeo.
Esprimiamo, infine, una forte preoccupazione per la debole reazione delle istituzioni europee all’inquietante involuzione democratica in atto in uno degli Stati membri, l’Ungheria. L’emergenza va affrontata riformando in profondità la governance e le politiche economiche dell’Unione, non certo comprimendo lo spazio delle libertà e dei diritti di partecipazione democratica, che devono rimanere il cuore del progetto europeo di cooperazione. Non può esserci alcun baratto tra libertà e sicurezza: consideriamo incompatibile con la nostra idea di Europa chi limita il pluralismo politico, la libertà di stampa, i diritti fondamentali delle persone.