Documenti: la dichiarazione di voto di Rostan sul reddito di cittadinanza

Politica e Primo piano

Signor Presidente, negli ultimi dieci anni abbiamo tutti smarrito il vocabolario della politica di fronte al Paese reale, piegato dalla crisi, sfiancato dalla paura.

C’è chi ha deciso di speculare sulle ferite aperte, di tenerle vive in modo da guadagnarci il più possibile consenso, e c’è chi, dall’altra parte, non ha saputo capire, non ha trovato le parole giuste, perdendo la strada prima ancora delle elezioni.

L’Italia è un paese che da molti anni, ormai, vive una sofferenza profonda nei suoi ceti più popolari, che sono poi la spina dorsale della nostra identità.

I numeri Istat ci hanno consegnato dall’ultima rilevazione un quadro drammatico: 5 milioni di persone in povertà assoluta. Significa che non posso permettersi le spese minime per una vita dignitosa: casa, salute, vestiario. Quasi due milioni di famiglie, con molti minori. Nel 2005 erano il 3,3 % della popolazione. Nel 2017 l’8,4 %.

Da due milioni a cinque.

Naturalmente la maggior parte nel Mezzogiorno, con una inversione di tratto. Nel passato a finire in indigenza erano soprattutto gli anziani. Ora, no. Sono soprattutto famiglie e minori, segno che questa povertà attraversa drammaticamente il lavoro, la vita quotidiana, e si scarica sul tessuto sociale come una macchia d’olio, moltiplicando i suoi effetti nelle generazioni, sottraendo pezzi di futuro.

Altre dieci milioni di persone sono in povertà relativa, che in una famiglia di due persone significa tirare avanti con in media meno di mille euro al mese. Magari riesci a mettere un tetto sulla testa, forse un piatto a tavola. Di certo ti sono negate condizioni essenziali di dignità: ti neghi le cure, rinunci a quasi tutto.

C’è un popolo intero in condizioni di sofferenza, di fronte al quale appare davvero stridente sentire parlare di gente sul divano, di fannulloni, o di furbetti da stanare, come si è sentito in queste settimane.

È evidente che nessuno muore di fame, per fortuna, ed è chiaro che ognuno di questi poveri – assoluti o relativi – si appoggia a una rete ampia di sostegno, a volte familiare, altre sociale. Si ricorre alla Caritas, ai genitori, ai nonni, ai negozi di vicinato, alla carità. Talvolta anche a lavoretti di fortuna, che definire in nero è perfino generoso.

Ovviamente in questo magma si nasconde anche qualche area di illegalità, e mi pare inevitabile. Ma leggere tutto il disagio degli italiani, tutta la povertà, come la formazione di un esercito di furbi e delinquenti, che non ha voglia di fare niente, che viola la legge, ed è caccia di sussidi appartiene, nella migliore delle ipotesi, a quello smarrimento di senso e della parola, allo spegnimento dello sguardo sulla realtà, che riguarda la politica e il dibattito pubblico.

La povertà esiste, è qui fuori, ha tanti volti: è un mondo complesso, articolato, che intreccia disagio a disagio. Ma c’è. E chi come noi è deputato a compiere scelte in rappresentanza dei cittadini, deve farsene carico.

È per questa unica ragione che dal mio gruppo parlamentare non sono mai arrivate in queste settimane di discussione, prima al Senato poi alla Camera, parole irridenti sul provvedimento che stiamo affrontando.

C’è grande rispetto e grande attenzione verso il tentativo che contiene questo provvedimento. Quando un Governo prende 7 milioni di euro e li mette sulla povertà, la sinistra non alza le spalle ma si apre al confronto.

E noi di Liberi e Uguali questo abbiamo fatto. Con rigorosa attenzione abbiamo ascoltato le audizioni nelle commissioni congiunte, annotando le osservazioni. Con precisa indicazione abbiamo provato a modificare il provvedimento nelle direzioni che ritenevamo giuste, per indirizzarlo bene. E con lo stesso spirito affrontiamo questo dibattito in Aula, che sfrondiamo di qualunque supponenza e cerchiamo di riempire di analisi e contenuto, anche critico. Purtroppo siamo costretti farlo con la Fiducia, quindi di nuovo senza la possibilità di intervenire nel merito con correttivi e proposte, di nuovo con un dibattito strozzato.

Ci interessa, però, l’anima di questa legge, mentre non ci piace per nulla né la modalità con cui si conduce la discussione né il dettaglio operativo delle misure.

Troppi punti deboli in questo provvedimento, troppe contraddizioni, troppa fretta aggiungerei, a cominciare proprio dalla forma del decreto. C’è urgenza di misure contro la povertà? Certo. Ma non c’è urgenza di farle assolutamente prima delle elezioni europee. Si poteva scegliere un altro strumento, invece della solita tenaglia del decreto legge, su cui poi calare l’immancabile scure della Fiducia.

Si poteva prendere quel poco di tempo necessario per fare le cose in modo più efficace.

Si poteva aprire una discussione vera, sincera, per arrivare al provvedimento più adatto ai bisogni del Paese. Invece di questo guazzabuglio che rischia di diluire nel caos della fretta una intenzione che, nel suo spirito fondatore, poteva anche essere giusta.

Cosa non va in questo provvedimento?

Mi limito alla parte relativa al Reddito di cittadinanza, che più da vicino ha riguardato la commissione di cui sono componente. Non va, innanzitutto, la confusione sull’identità della misura, che è con tutta evidenza un’azione di contrasto alla povertà.

Che c’è di male a dirlo? Sembra quasi che ci si vergogni a parlare di assistenza. Ma l’assistenza ai poveri è una cosa degna e giusta. Il welfare è un cardine della nostra Carta costituzionale. Sostenere le persone che non ce la fanno è un merito, se lo si fa in modo corretto. E si fa in modo corretto se si ha la capacità di costruire progetti individuali di uscita dal disagio.

Parafrasando l’incipit di un famoso romanzo russo direi che ogni persona è povera allo stesso modo ma ognuno lo diventa a modo suo.

Sulla povertà si sommano vicende umane, esistenziali, familiari. Ci sono disagi legati alle dipendenze, a problemi psichici, ad analfabetismo, marginalità, che a loro volta portano spesso fuori dal mondo del lavoro, o per strada, e conducono in un imbuto dove ogni luce si spegne e ogni direzione sembra smarrita.

A queste persone è utile dare un po’ di soldi. Ma non solo questo. Ci vogliono politiche nel sociale che si facciano carico della pre-condizione e attivino su quel contesto un’azione mirata, in modo da almeno tentare di tirare fuori quella persona dal disagio: far mandare i figli a scuola, prendere una patente di guida, costruire un percorso di uscita da una dipendenza, prendere un titolo di studio, curare una patologia. A chi è povero, insieme al sacrosanto aiuto, si deve offrire un’analisi, un accompagnamento, un obiettivo, un sostegno.

Sogno una società che non abbia più bisogno di carità, diceva don Tonino Bello. Il grande obiettivo di chi lavora nel disagio è costruire il proprio superamento, cioè la cancellazione di quel problema.

Invece, erogando il sussidio e non accompagnandolo con alcuna politica sociale, si lascia inalterato il problema – forse si vuole proprio questo? – e si mette sulla ferita non una cura ma un panno caldo. Dà sollievo, certo, ma non guarisce.

Poi c’è il grande equivoco del lavoro, che si spalma su questo provvedimento spacciandolo per una misura di contrasto alla disoccupazione mentre con tutta evidenza la disoccupazione si combatte creando domanda di lavoro, quindi attivando investimenti, agendo su un fronte per il quale da questo governo non si è visto nulla.

Di sicuro nella società italiana c’è il problema di una povertà che nasce dalla mancanza di lavoro o – direi meglio – dalla mancanza di salario adeguato, perché spesso si lavora male, con stipendi da fame, con ampi vuoti tra un impiego e l’altro, con lavoretti occasionali, con il dramma di un profilo, quello del lavoratore povero, che pur essendo occupato non arriva alla fine del mese.

Questa misura costruisce una grande retorica sul lavoro. Ma nulla fa.

Le tre proposte di lavoro fanno sorridere, se dietro non ci fossero drammi umani. Ci sono zone del Paese dove tre proposte di lavoro non si vedono in tutta una cittadina o in tutta una vita. Il racconto che anche voi della maggioranza andate facendo quando parlate di pene severe, di controlli di polizia, di assegno annullato in caso di rifiuto del lavoro nasconde l’idea che in fondo chi vuole lavorare, qualcosa lo trova, e chi non lo trova è perché vuole fare il furbo.

Mi dispiace deludervi ma non è così. Ve lo diranno i 3mila navigator, a cui toccherà caricarsi mediamente 12mila persone ciascuno, a cui trovare nientemeno che 3 lavori per ognuno. Poverini. Oltretutto saranno assunti con Contratti di collaborazione della durata di 24 mesi: con il decreto dignità dicevate di aver abolito il precariato, con questo nuovo decreto lo riscoprite perché create 3mila nuovi precari. Immagino che se un navigator trovasse un lavoro a tempo indeterminato a uno dei suoi 12mila assistiti, avrebbe la tentazione di pigliarselo lui, prima di ogni cosa.

Se invece dei 3mila navigator, di cui non si capisce la funzione, il senso, la ragione, il profilo, aveste assunto 3mila assistenti sociali, si sarebbe già capita di più.

C’è poi il tema della residenza. Qui si sfiora l’assurdo. Dieci anni di residenza in Italia per avere accesso al sussidio. Lo si fa per tagliare fuori gli stranieri. Ma si tagliano fuori anche gli italiani che sono andati all’estero e sono tornati. E si taglia fuori quel mondo disperato dei senza fissa dimora, il che, per una misura che si vuole fare carico della povertà, è un non senso assoluto.

I poverissimi, i disperati, quelli che dormono sotto pile di coperte alla stazione, quelli storditi dalla strada, dall’alcol, dalla droga; quelli spesso in preda a un disagio psichico che gli fa rifiutare anche il sostegno, chi li aiuta?

Abbiamo provato, con i nostri emendamenti ad aprire una linea di ragionamento dentro una questione indubbiamente complessa: abbiamo proposto di passare dal Registro comunale dei senza fissa dimora e una presa in carico sotto la responsabilità dei servizi sociali o di organizzazione riconosciute. Purtroppo senza esito positivo.

Quella marea di disagio estremo, di marginalità assoluta, di povertà che fa male al cuore e agli occhi, e che con il vostro istinto securitario vorreste semplicemente spazzare dai salotti delle città, non ha diritto di cittadinanza in questo provvedimento.

Così come, ma questo si capisce dal dominio leghista anche su una misura voluta dai 5stelle, colpisce la durezza con cui si rende complicatissimo l’accesso a questa misura per gli stranieri presenti sul nostro territorio.

Altre obiezioni potrebbero essere fatte anche su altri tratti punitivi, come il divieto di prelevare contanti dalla card oltre un limite, o il divieto di portarsi il risparmio al mese successivo, come se riemergesse l’idea di un povero che in realtà è un furbo e allora bisogna ingabbiarlo.

Su quota 100 mi limito a segnalare l’assurdo di combinare l’uscita dal lavoro col blocco del turn over nel Pubblico impiego fino a novembre: si sta traducendo nella prospettiva di chiudere i servizi. E paradossalmente i servizi più esposti sono quelli di cui più si ha bisogno sul profilo sociale e sanitario, quelli più faticosi: rischiano la chiusura molti servizi sociali comunali, molti reparti ospedalieri. Sono 40mila le uscite previste nei ruoli della Sanità, tra medici, infermieri, personale tecnico.

Come si erogano i servizi se queste persone non vengono immediatamente sostituite?

Domande a cui questo decreto non fornisce alcuna risposta.

Signor Presidente, come si vede sono tanti i motivi di obiezioni di merito a questo provvedimento. Lo avremmo voluto diverso e siamo molto preoccupati per le situazioni di caos e disagio che andrà a creare nel Paese. Non possiamo che votare contro, ovviamente, la Fiducia a un governo che è agli opposti per visione culturale, progetto sociale, idee e che per giunta si dimostra incapace sul piano operativo.

Ma, come dicevo all’inizio, resta dentro questo provvedimento una ispirazione di fondo – mettere molti soldi sulla povertà, sul disagio, per i ceti popolari – a cui ci sentiamo di fare un’apertura, almeno di principio, culturale, valutando la possibilità di un voto differente sul provvedimento in sé.

Non vogliamo respingere in toto un impegno finanziario importante su situazioni di disagio di cui si sente la necessità. Ne vogliamo apprezzare lo spirito, ne sosterremo la necessità politica, ne difenderemo il bisogno da cui questa legge emerge, ma non possiamo non sottolineare, insieme all’assoluta distanza politica da questo governo, a cui diciamo un no netto, anche l’insoddisfazione per un approccio ai temi del bisogno e della povertà, della disoccupazione e del lavoro, che avremmo voluto tutto diverso; per un insieme di azioni che ci sembrano contraddittorie, lacunose, parziali, in molti casi destinate all’insuccesso per come sono state pensate e peggio ancora organizzate.