D’Attorre: per sostenere Draghi serve la politica, non l’antipolitica

Politica e Primo piano

Pubblicato su Huffington Post

di Alfredo D’Attorre

C’è un’unica cosa più insopportabile della sfacciata irresponsabilità con cui Salvini e altri stanno nella maggioranza di governo comportandosi a ogni curva come se stessero all’opposizione. È lo stucchevole coro mediatico che contrappone la saggezza illuminata di Draghi all’indistinta rissosità e inaffidabilità dei partiti, facendo di tutta l’erba un fascio.

Sappiamo in Italia che l’antipolitica e l’antiparlamentarismo hanno radici salde e antiche, nel popolo e ancor di più nelle élite, e obiettivamente l’attuale Parlamento, con i ripetuti cambi di maggioranza e la sua distanza ormai profonda dagli equilibri politici reali nel Paese, è un bersaglio fin troppo facile. Ma l’idea di rilanciare l’azione del governo giocando la carta dell’antipolitica, che diversi settori del sistema mediatico sembrano suggerire al Presidente del Consiglio dopo la vicenda del Quirinale, è pericolosa e inefficace, come un semplice sguardo alla storia più o meno recente del nostro Paese dovrebbe suggerire. E ci sono buone ragioni per confidare che una persona accorta come il Presidente del Consiglio se ne tenga rigorosamente alla larga.

Pericolosa perché una ulteriore delegittimazione complessiva di tutto il sistema politico, e di tutte le forze che attualmente sostengono il governo, non ci regalerà nel 2023 “equilibri più avanzati”, come si sarebbe detto una volta, ma presumibilmente solo un successo della Meloni e il sorgere di altri movimenti di protesta.

Inefficace perché Draghi non riuscirebbe comunque a reggere il timone del governo per quasi un anno e a raggiungere risultati utili per il Paese alimentando una contrapposizione con tutte le forze che dovrebbero sostenerlo in Parlamento. Né si può pensare che nell’anno che precede le elezioni i partiti rinuncino a fare politica e a parlare all’elettorato.

Dopo lo spartiacque del Quirinale, il punto è, invece, costruire un patto politico tra il capo del governo e le forze disponibili a sostenerlo con serietà. Un patto che consenta a queste ultime di stare lealmente nella maggioranza evitando due rischi alla lunga insostenibili. Il primo è quello di stare in una coalizione di governo in cui chi non rispetta gli impegni e si smarca a ogni difficoltà non solo non paga pegno, ma anzi viene accomunato di fronte all’opinione pubblica alle forze che antepongono la responsabilità alle ragioni della propaganda. Il secondo è che il leale sostegno al governo impedisca a queste forze di costruire un proprio profilo e una propria proposta al Paese in vista delle elezioni dell’anno prossimo.

Quest’ultimo è probabilmente il punto più delicato e richiede una messa a punto realistica dell’agenda di governo per il 2022, in grado di individuare le priorità vere e di tracciare una distinzione onesta tra le cose che una maggioranza così eterogenea può affrontare e quelle che è inevitabile lasciare alla prossima legislatura. Ad esempio, si può davvero credere che questa maggioranza sia in condizione di approvare una profonda e organica riforma del fisco, ossia di trovare l’accordo sul tema su cui più nitidamente passa (o dovrebbe passare…) la distinzione tra destra e sinistra? Allora è forse più ragionevole provare ad approvare la delega fiscale circoscrivendone la portata agli adempimenti richiesti dall’Unione europea per il PNRR (comprese le basi per la riforma del catasto). Mentre ci sono altri temi – dalla politica industriale all’energia, dalla riforma delle regole di bilancio europee alla politica estera – su cui il governo può e deve muovere passi importanti di qui fino alle elezioni, chiedendo ai partiti che lo sostengono di mettere da parte posizioni puramente identitarie.

Ai fini di questo patto politico per l’ultimo anno di legislatura, il passaggio del Quirinale un vantaggio l’ha avuto. Ammesso che ce ne fosse bisogno, il Presidente del Consiglio ha potuto misurare la linearità e la serietà dei suoi interlocutori. Non tutti i leader e tutti i partiti si sono comportati allo stesso modo, né durante quel passaggio né durante il primo anno di governo. E chi ha avuto fin qui un comportamento lineare e responsabile non può essere accomunato a una canea indistinta contro “la politica”, ma deve essere messo nella condizione di cooperare lealmente nel 2022, senza che questo pregiudichi la possibilità di presentarsi nel 2023 in modo credibile davanti agli elettori. Peraltro, un trasparente patto politico con le forze disponibili a rinnovare un sostegno serio al governo avrebbe anche l’effetto di mettere Salvini di fronte a una scelta di fondo, verificando fino in fondo la possibilità di quella evoluzione positiva della Lega, che molti auspicano, ma di cui si fa fatica ancora a scorgere segni concreti.

Un anno fa, con le parole di Mattarella, questo governo è nato “senza una formula politica”. Dopo dodici mesi, se non di una formula, il governo ha ora bisogno almeno di una bussola politica. Con meno di questo, rischiamo di ritrovarci non solo un ultimo anno di legislatura meno efficace dal punto di vista dei risultati, ma anche macerie politiche. Quelle che inevitabilmente produce l’antipolitica quando vince.