D’Attorre: la sinistra può arrivare al 30%. Come se ci fosse il proporzionale

Politica e Primo piano

Pubblicato Su Huffington Post

di Alfredo D’Attorre

Era prevedibile che lo stress test del Quirinale scuotesse dalle fondamenta il fragile sistema politico italiano, producendo incrinature profonde nei partiti e negli schieramenti. Se questo dato è assolutamente evidente nel centrodestra, anche nel cosiddetto “campo progressista” alcuni interrogativi si sono rafforzati, specie rispetto alla tenuta del M5S nell’ultimo anno di legislatura.

Molti (quorum ego) pensano che la soluzione più razionale per superare questa impasse del sistema politico e affrontare la sua necessaria riorganizzazione sia una riforma elettorale in chiave proporzionale. Ma, nella situazione data, per fare la legge elettorale senza mandare gambe all’aria il governo, bisognerebbe convincere Salvini, o che lui si convincesse da solo. È vero che molte motivazioni razionali potrebbero spingere Salvini a compiere questo passo, ma, se c’è una cosa che la vicenda del Quirinale ci ha insegnato, è che attualmente scommettere sulle motivazioni razionali delle scelte di Salvini non è necessariamente un atto razionale. L’attuale presidente del Consiglio ne sa qualcosa.

Non è affatto detto perciò che negli ultimi mesi della legislatura si riesca a superare il pessimo Rosatellum. È evidente che ciò pone adesso un problema di strategia anzitutto alla forza che, tra quelle maggiori, è uscita meglio sia dalle elezioni amministrative dello scorso autunno, sia dall’elezione del presidente della Repubblica. Come può evitare il Pd un anno di logoramento, in cui il sistema elettorale vigente spinge a lavorare sulla costruzione di “campo largo” che – dai centristi al M5S – rischia di presentare molte più spine che rose?

La risposta sta forse in una vecchia formula della filosofia classica tedesca, l’«als ob», il «come se», caro anzitutto a Kant. Di qui alle prossime elezioni politiche, il Pd – assieme alle forze che come Articolo Uno hanno deciso di partecipare alla costruzione del programma tramite le Agorà – dovrebbe fare come se il proporzionale ci fosse già. Questo significa impegnare i prossimi mesi non a seguire i contorcimenti dell’area centrista o a sperare che il M5S regga in qualche modo fino alle elezioni, ma a costruire un progetto per l’Italia, all’altezza degli sconvolgenti cambiamenti degli ultimi anni e delle sfide gigantesche che il Paese sarà chiamato ad affrontare nei prossimi.
Un progetto che mostri i tratti della consapevolezza, del realismo e della capacità di cambiare, tre caratteristiche che mancano drammaticamente all’attuale dibattito politico. Se dalle Agorà uscisse un “nuovo Pd” in grado di apparire certo come la forza più leale e responsabile nel sostegno a Draghi fino all’uscita dall’emergenza, ma assieme come quella più determinata e credibile nel costruire un orizzonte per il dopo, non è affatto detto il recupero dei milioni di voti finiti nell’astensionismo nell’ultima tornata elettorale debba essere affidato ad alleati sempre più in difficoltà. Specie se almeno sui nodi fondamentali – lavoro, fisco, politica industriale e ruolo pubblico nell’economia, energia, transizione ambientale – diventasse percepibile un nuovo programma per la crescita e la giustizia sociale, che certo non può rimanere fermo alla nostalgia degli alleati per misure come bonus, superbonus e cashback per tutti senza limiti di reddito, dal profilo redistributivo quantomeno dubbio.

Un soggetto che non si accontentasse di navigare attorno al 20% di consensi ormai consolidati, ma si ponesse l’obiettivo di recuperare i consensi persi nel mondo del lavoro e della produzione per tornare a puntare l’obiettivo del 30%, potrebbe poi impostare in termini ben diversi anche il tema degli apparentamenti elettorali. È chiaro che, se rimarrà in vigore il Rosatellum, bisognerà mettersi d’accordo nella quota di collegi uninominali con il M5S e una parte almeno dei centristi (sarà necessario soprattutto per loro…). Ma un conto è farlo essendo diventati il centro di gravità del sistema politico, capace di affermare la propria agenda e la propria visione del Paese, altro è arrivarci affidando la propria identità al faticoso assemblaggio di liste elettorali litigiose e in affanno.

E a quel punto anche la candidatura della leadership del nuovo Pd alla guida del governo apparirebbe molto più credibile, forte di un progetto e di un consenso autonomo, anziché affidata all’equilibrio inevitabilmente precario di una coalizione composta sia da chi non ha altra chance che aggrapparsi a Draghi per l’eternità (anche a rischio di essere platealmente smentito dal diretto interessato), sia da chi magari come il M5S immagina di uscire dalle proprie difficoltà muovendosi nell’ultimo anno di legislatura più da forza di opposizione che di governo.

Insomma, se vogliamo evitare che la permanenza del Rosatellum riduca le elezioni alla mera contrapposizione fra due coalizioni poco credibili e aumenti ancora l’area dell’astensionismo, occorre che almeno la sinistra di governo faccia come se il proporzionale ci fosse già.