D’Attorre: la piazza pacifista va rispettata, ma bisogna fermare l’aggressore

Politica e Primo piano

Pubblicato su Huffington Post

di Alfredo D’Attorre

Le manifestazioni per la pace che si stanno tenendo in questi giorni in Italia e in Europa sono importanti. Indicano un sentimento delle opinioni pubbliche occidentali che è ancora profondamente contrario alla guerra come «strumento di risoluzione delle controversie internazionali», per usare le parole della nostra Carta. Si tratta di un sentimento genuino e diffuso, che costituisce un patrimonio prezioso per le democrazie europee. All’interno delle manifestazioni si mescolano naturalmente sensibilità differenti e anche critiche verso le decisioni che il nostro Paese e l’Unione europea hanno assunto in queste ore: non solo un pacifismo rigoroso e intransigente (che – come insegnava Max Weber un secolo fa – potrà magari essere considerato dai “realisti” un atteggiamento impolitico, ma quando è sincero e coerente va sempre profondamente rispettato), ma anche, sia pure in misura minore, orientamenti che interpretano ogni fatto della storia come una colpa degli Stati Uniti e dell’Occidente.

Che atteggiamento deve assume rispetto a queste piazze la sinistra di governo, quella ha fin qui sostenuto le difficili decisioni del governo in questo passaggio, compreso l’invio delle armi? Personalmente non penso che debba né disertarle e considerarle “perse”, né assecondarle in tutto in modo subalterno.

Anzitutto, la sinistra, quando ha fatto cose buone nella storia, è stata sempre rifiuto del pensiero unico e sguardo critico sul mondo. Il clima di maccartismo da operetta alimentato in alcuni settori dei media e perfino dell’Università non ha nulla a che vedere le autentiche sorgenti di senso di quell’Occidente che si vorrebbe difendere. Suggerire a un professore quali lezioni tenere, o un giornalista quali argomenti degli “avversari” riferire e quali no, è roba da Putin, non da eredi dell’Illuminismo e del razionalismo moderno. Trasformare ogni dubbio, ogni domanda (chi dotato di un minimo di spirito critico non ne ha in un tornante storico così sconvolgente?) in un cedimento alle autocrazie non è la via per sconfiggerle, ma per facilitare la loro egemonia culturale. E quindi è giusto che la sinistra stia ad ascoltare e confrontarsi dove ci sono inquietudini e tormenti sinceri (tutt’altra cosa rispetto agli imbarazzi odierni di chi considerava Putin il più grande statista contemporaneo o era gemellato con il suo partito…).

Allo stesso tempo, è doveroso mettere tutti di fronte alla cruda realtà di quello che è successo. Molte delle analisi che ho letto in queste settimane sulla miopia strategica dell’Occidente nel gestire la fase post ’89 e nello spingere verso il progressivo allargamento a Est della NATO sono fondate. Ma in nessun modo ci offrono la risposta su che fare oggi rispetto a un’aggressione e a una violazione del diritto internazionale di una gravità assoluta. Perché in nessun modo – per quanto seri siano stati gli errori dell’Occidente – possono costituirne una giustificazione. E, nella situazione data, l’obiettivo della sinistra, così come di ogni altra forza democratica e costituzionale, non può che essere uno: fermare l’aggressore e difendere l’aggredito. È vero che poco è stato fatto per costruire un assetto di sicurezza europeo condiviso con la Russia negli ultimi due decenni. Ma è ancora più vero che nessun assetto di sicurezza e di pace sarà possibile nel nostro continente, per un futuro molto più lungo, se una tale brutale violazione della sovranità nazionale e del diritto di autodeterminazione di un popolo europeo fosse accettata senza alcuna reazione. La sinistra di governo ha perciò il dovere di dire a quelle piazze che l’unità dell’Unione europea, la durezza delle sanzioni e il sostegno alla resistenza degli ucraini non sono l’alternativa alla ripresa del negoziato, ma sono l’unica via per riportare al tavolo della trattativa chi ha dimostrato di capire solo il linguaggio della forza.

Si torna qui al ruolo dell’Europa, che, prima dello scoppio della guerra e della decisione di inviare armi all’Ucraina, aveva visto due dei suoi leader, Macron e Scholz, impegnati in una disperata missione diplomatica al Cremlino e che probabilmente, senza l’escalation russa, avrebbe chiesto a breve anche a Draghi di recarsi a Mosca. Quell’Europa che è stata perciò umiliata, ben più degli Stati Uniti, dalle bugie e dalla protervia di Putin. E che è destinata a pagare il conto pesantissimo, sul piano economico e sociale, di questa guerra. Ma è a questa Europa che la sinistra di governo deve chiedere adesso di diventare definitivamente adulta, in un mondo segnato dal ritorno della politica, della storia e del conflitto. Diventare adulti significa anzitutto assumersi le proprie responsabilità e reggere il peso della propria maggiore autonomia, anche rispetto all’alleato maggiore, con tutto ciò che comporta in termini di consolidamento dell’integrazione economica, politica e militare, almeno a partire da un nucleo franco-tedesco-italiano, come da tempo saggiamente suggerisce Romano Prodi. E poi significa sapere che la Russia continueremo ad avercela di fronte, soprattutto noi europei. E che quindi fermare il disegno di Putin adesso non può voler dire umiliare la Russa in futuro.

Le lezioni storiche al riguardo sono innumerevoli: il revanscismo nazionalista degli sconfitti è sempre il miglior alleato di dittatori e avventurieri. Deve essere perciò soprattutto l’Europa, dopo la reazione ferma e doverosa all’aggressione, a lavorare a una soluzione negoziale che offra alla Russia una via di uscita a questa catastrofica avventura. Una soluzione che realisticamente non potrà essere un ritorno allo status quo ante territoriale e che potrebbe prevedere nel medio periodo un’Ucraina nell’Unione europea ma non nella NATO. Con la fondata speranza che per i russi, un domani non troppo lontano, trovarsi di fronte lo stato di diritto europeo e non i missili americani potrebbe anche essere un incentivo più efficace a liberarsi di Putin.