Intervista a La Stampa
di Francesco Bei
La Francia coltiva tentazioni egemoniche riguardo all’Italia e ha un’attitudine «quasi coloniale». Il governo italiano è debolissimo e sta sbagliando tutto, dalla politica sull’immigrazione all’atteggiamento con la Russia. Sulla quale Massimo D’Alema ha idee chiare: via le sanzioni e dialogo. Ecco le linee di politica estera sulle quali Liberi e Uguali cercherà convergenze per il prossimo governo.
In Austria si forma un governo con l’ultradestra, al primo punto del programma c’è la «battaglia contro l’immigrazione illegale». È un campanello d’allarme di quello che può accadere anche in Italia?
«Sicuramente sì. Ciò che sta accadendo in una parte d’Europa è preoccupante e l’Italia non è estranea a questi rischi».
Siamo alla vigilia di una campagna elettorale che rischia di essere inutile: nessun vincitore e l’Italia esposta di nuovo a ogni rischio. Non la preoccupa questa situazione?
«Certo che mi preoccupa. Purtroppo, questo rischio deriva dalle contraddizioni del governo e dalla politica di questi anni. Tuttavia, a mio parere la legge attuale non produrrà una maggioranza di governo. Nessuno stavolta compete davvero per vincere: il governo sarà frutto di intese che verranno dopo».
E voi sarete disponibili?
«Siamo una forza riformista che, a determinate condizioni, è pronta a prendersi le sue responsabilità. Non ci sentiamo affatto fuori gioco».
Quali condizioni porrete per formare una maggioranza?
«Potrei parlare di molte cose, a partire dal lavoro e dal welfare. Ma limitiamoci alla politica estera: pretenderemo una rinnovata capacità di iniziativa internazionale dell’Italia, un rilancio dell’europeismo, federalista e comunitario, e una più forte difesa dei principali asset del Paese. Su questi punti cardine misureremo le possibili convergenze».
Intanto si assiste a un protagonismo russo su tutto l’arco geopolitico che va dal Nord Africa all’Asia passando per il Medioriente. Vede il pericolo di una supremazia russa?
«Il pericolo vero è il vuoto occidentale, la Russia riempie uno spazio».
L’Europa come dovrebbe confrontarsi con Mosca, fermezza o dialogo?
«Vedo un’Europa incagliata in una posizione di principio che rende difficile il dialogo con la Russia. Che invece secondo me è necessario. Anche perché si è visto che le sanzioni non limitano in nulla l’espansionismo russo e quindi sono una misura sostanzialmente autolesionistica».
Quindi le sanzioni a Mosca andrebbero tolte?
«Andrebbe aperto un negoziato serio con la Russia, naturalmente difendendo l’integrità territoriale dell’Ucraina. Quando hai di fronte un interlocutore necessario per la stabilità in Europa e in Medio Oriente affrontare questa interlocuzione con le sanzioni non è una soluzione».
I rapporti della Cia e persino quelli dell’intelligente della Ue ci raccontano di ingerenze dei russi nei processi democratici: dalle elezioni Usa alle presidenziali francesi. C’è una questione che riguarda anche l’Italia?
«I nostri servizi escludono queste ingerenze per l’Italia. Ma è chiaro che più si mantiene un clima di ostilità con la Russia e più questi rischi aumentano».
I russi possono avere interesse a puntare in Italia sulle forze più antieuropee?
«Ripeto, in Italia non sembra ci sia stato questo. Poi qualche politico italiano è andato lì, si è messo a disposizione. E questo sicuramente dovrà essere valutato».
Intanto è scoppiato di nuovo il conflitto fra palestinesi e israeliani e molti, a partire da Turchia e Iran, soffiano sul fuoco…
«Questa situazione nasce dall’abbraccio fra la destra americana e la destra israeliana, che ha prodotto da ultimo l’annuncio sconsiderato sul trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme. Anche una parte della società israeliana è preoccupata dal fatto che la liquidazione della prospettiva dei due popoli-due Stati determini uno scenario sudafricano che metterebbe alla fine in discussione lo stesso Stato ebraico».
In che modo?
«L’idea di chiudere i palestinesi dentro delle enclaves, una sorta di Bantustan, era stata l’idea dei boeri in Sudafrica, e poi si è visto come è andata a finire. Fallirebbe anche in Israele. Questo lo capisce una parte importante dell’opinione pubblica israeliana, anche sionista».
L’Italia può ambire a giocare un ruolo in Medio Oriente?
«L’Italia è un Paese che per la sua collocazione e per la sua storia potrebbe giocare un ruolo importante rispetto all’evoluzione della situazione mediorientale, ma abbiamo perduto moltissima influenza».
Colpa del governo?
«Be’, fino a qualche anno fa eravamo il Paese che più aveva fatto per salvare migliaia di vite umane nel Mediterraneo, adesso la priorità è diventata quella di non farli venire qua. E, pur di riuscirci, abbiamo accettato accordi che secondo Amnesty International ci hanno reso complici di terribili violazioni dei diritti umani».
La prima cosa da fare in Libia?
«È necessario, innanzi tutto, affidare i campi profughi all’Unhcr e alle organizzazioni umanitarie, che invece stiamo espellendo dal Mediterraneo. Anche la nostra immagine si è appannata, pensiamo al caso Regeni».
Cosa c’entra Regeni?
«Tutta la vicenda dell’Egitto è stata condotta in un modo abbastanza penoso. Se quello che è accaduto a Regeni fosse accaduto a un giovane inglese o francese non so se il governo egiziano avrebbe potuto comportarsi nello stesso modo».
In Libia la strategia di Minniti è sostenere il governo Sarraj e blindare il confine Sud attraverso un accordo con le tribù e un sostegno (anche militare) al Niger. Può avere successo?
«Sinceramente mi rifiuto di porre il tema delle migrazioni in questi termini. Questa è la narrazione della destra. Ma se guardiamo a quello che dicono i demografi, l’Italia sta subendo un progressivo spopolamento: negli ultimi due anni abbiamo perso tra i 40 e i 50 mila abitanti. E una grande sfida che non si può affrontare reagendo “di pancia” così come, naturalmente, non si può avallare l’utopia delle frontiere aperte. È evidente che senza una politica dell’immigrazione legale non si può contrastare l’immigrazione clandestina».
Macron ha rilanciato l’idea di una rifondazione europea. L’Italia cosa può dire al riguardo?
«Che la dimensione intergovernativa non va bene, che bisogna rafforzare il potere federale, che il Fiscal Compact non può entrare a far parte dei trattati europei ma deve essere drasticamente riformato, che il Parlamento europeo deve diventare un pilastro centrale della costruzione unitaria».
E non lo stiamo già dicendo?
«Veramente io ho visto governanti che hanno passato anni a baciare la pantofola della Merkel e adesso sono passati alla pantofola di Macron».
La Francia intanto fa shopping in Italia e prova a espandersi in ogni direzione, da Generali fino a Mediaset. Siamo tornati ai tempi di Bonaparte?
«I francesi sono francesi, c’è da parte loro una forte visione egemonica, direi quasi coloniale. Il problema è la fragilità della classe dirigente italiana mentre gran parte dei principali asset nazionali stanno finendo nelle mani di capitale straniero, soprattutto francese ma non solo. Non sono un nazionalista, se ci fosse reciprocità… ma non c’è! A noi non è consentito andare a fare shopping in casa d’altri. Ma, nella storia italiana, non è una novità che una parte della classe dirigente sia subalterna allo straniero».