di Emilio Albertario
Qual è la giusta ricetta per il rilancio del Paese? L’Eurispes, attraverso le pagine del suo magazine online, ha pensato di chiedere ai Presidenti del Consiglio della Seconda Repubblica quali, a loro giudizio, siano le vie d’uscita possibili alla crisi economica e sociale generata dalla pandemia.
Il dialogo con l’ex Presidente del Consiglio, Massimo D’Alema, arricchisce il ciclo di interviste a firma di Emilio Albertario. Il Presidente D’Alema ha sottolineato, tra l’altro, un concetto espresso nel suo nuovo libro “Grande è la confusione sotto il cielo”, edito da Donzelli, in libreria dal prossimo 21 giugno: “l’unico merito della pandemia è quello di aver stimolato in Occidente, ma non soltanto, il dibattito su come sarà il mondo dopo il Coronavirus”. Ci troviamo oggi di fronte ad un “mondo in bilico tra cooperazione e ostilità”. Secondo l’ex Premier saranno soprattutto le elezioni Usa ad indicare verso quale delle due tendenze penderà l’ago della bilancia. E ancora afferma: “Sono favorevole all’uso del MES per investire nella Sanità pubblica”.
Presidente D’Alema, l’Europa viene in soccorso ai paesi colpiti dal Covid-19, ma i cosiddetti paesi frugali – Olanda, Svezia, Danimarca – ci ostacolano. Che Europa è questa?
Penso che l’Europa abbia affrontato questa emergenza con un piglio nuovo rispetto alle scelte che abbiamo conosciuto negli ultimi anni, nel senso che, probabilmente, la pandemia è stata l’occasione per imprimere una svolta rispetto alle politiche di austerità che hanno caratterizzato le scelte europee degli ultimi anni. Naturalmente, è una battaglia aperta, perché ancora ci sono delle resistenze; tuttavia, credo che sia di grande significato la posizione che hanno assunto la Francia e la Germania – piaccia o non piaccia sono due paesi fondamentali nell’equilibrio europeo – e che, a mio giudizio, va un po’ al di là della logica degli aiuti.
Nel suo libro dice che l’unico merito della pandemia è quello di aver stimolato in Occidente, ma non soltanto, il dibattito su come sarà il mondo dopo il Coronavirus. Come sarà?
Il dibattito c’è. Ancora è difficile fare una previsione; direi che siamo in una situazione in bilico. Da una parte sono molto visibili i rischi di quello che viene definito un “processo di deglobalizzazione”, cioè di un ritorno nazionalistico, di una chiusura, di una ostilità e sospetto reciproco tra i diversi paesi; dall’altra parte, si delinea la necessità di un più alto grado di cooperazione internazionale. Direi che il mondo è in bilico: se è vero che la pandemia ha dimostrato che c’è necessità di una maggiore cooperazione internazionale, tuttavia, è difficile dire se questa sarà la via intrapresa, perché è evidente che ci sono delle fortissime resistenze e delle tendenze diverse. Credo che molto dipenderà da quello che accadrà in Occidente nei prossimi mesi, in particolare a novembre con le elezioni americane.
Oltre 170 miliardi di euro per la ripresa messi a disposizione dell’Italia dall’Europa. Come spenderli al meglio evitando le solite critiche che ci definiscono un Paese di “sciuponi”?
Non siamo neanche “sciuponi” per la verità, perché spesso non riusciamo proprio ad utilizzarli i fondi europei, quindi non possiamo neanche sciuparli da questo punto di vista. Credo che occorra veramente un salto di qualità, perché, parliamoci chiaro, per l’uso dei fondi europei è fondamentale la capacità di progettazione, cioè di “programmare” come si diceva una volta, di avere una visione delle priorità. A volte, in questo senso, il nostro Paese è in difficoltà, usa le risorse a pioggia e finisce per non essere in grado di utilizzarle, perché senza progetti i soldi non sono utilizzabili. Quindi, direi che è alla prova una capacità di governo naturalmente a tutti i livelli, perché non è chiamato in causa soltanto il livello nazionale, ma anche il governo regionale – in modo particolare quando si parla di denaro europeo – e la capacità dell’impresa privata di progettare il proprio futuro e non soltanto di chiedere soldi.
Nessun Governo negli ultimi anni è riuscito a dare un colpo mortale alla burocrazia. È la burocrazia che frena tutto o c’è qualcosa di più?
Beh, sicuramente le procedure burocratiche sono un freno. Ci sono anche altri freni, ma questo è un freno grave che rallenta, che ostacola ed in effetti ha ragione lei, nessun Governo è riuscito ad imprimere una svolta. Da questo punto di vista sono stati fatti tanti tentativi ma, effettivamente, almeno per ora, una vera svolta non c’è stata. E, questa, sarà una delle sfide, lo dice questo Governo. Io vorrei capire bene quali sono i princìpi però, che cosa si intende. Un’idea ce l’avrei, un principio che tentammo di introdurre già a partire dalle “norme Bassanini” molti anni fa, e l’idea di puntare sulla responsabilità; parliamoci chiaro, noi abbiamo delle procedure farraginose a monte, mentre non abbiamo un sistema di controlli. Credo che si dovrebbe scommettere di più sulla correttezza degli operatori, salvo fare dei controlli a campione molto severi ex post, ma evitando un sistema che diventi ostativo. Quindi, bisognerebbe alla gente dire “vai, naturalmente io ti controllerò, e se le cose non vanno bene ci sarà una sanzione esemplare; ma vai, non stare ad aspettare il via libera”. Invece, questa attesa del via libera spesso è assolutamente paralizzante.
La corruzione è un fenomeno lontano dall’essere debellato fuori e dentro le Istituzioni. È possibile che ogni iniziativa economica e imprenditoriale sia bloccata solo per il pericolo di infiltrazioni criminali?
No, penso che, a volte, certe forme totalmente burocratiche di controllo non hanno nessuna efficacia, neppure dal punto di vista della prevenzione di fenomeni criminali. Il fatto che un imprenditore straniero, che fa una commessa per lo Stato italiano, debba riempire un farraginoso modulo dove gli si chiede se ha un parente mafioso è una cosa francamente ridicola perché, in generale, i mafiosi utilizzano società per riciclare il loro denaro tenute da professionisti indiscutibili (meglio se sono anglosassoni) e non dai loro parenti. Ci sono delle forme di controllo, o di prevenzione, che sono farraginose e anche abbastanza inutili.
Dicevamo anche del passare dell’azione di ogni Governo a risolvere i problemi della giustizia: la lunghezza dei processi, la prescrizione, la riforma delle carriere, il CSM, e altro ancora. Per nessuna di queste emergenze si prospetta una soluzione?
Non lo so, ma spero che il Governo vi metta mano. C’è un problema che riguarda proprio i tempi e la certezza della giustizia. Il funzionamento della giustizia è un impedimento, è un ostacolo agli investimenti in Italia molto rilevante, molto più delle cose di cui si è discusso tanto, come, ad esempio, il costo del lavoro. La lentezza della burocrazia e, allo stesso modo, la lentezza e l’incertezza del funzionamento della giustizia sono, per gli investitori stranieri, le ragioni fondamentali della loro diffidenza ad investire nel nostro Paese.
Certo, però l’autogoverno dei giudici sembra qualcosa di anacronistico adesso, no?
No, io non credo che bisogni barattare l’efficienza con la lesione all’autonomia della Magistratura. Ho molti dubbi sul fatto che una Magistratura meno autonoma sarebbe più efficiente, o che darebbe maggiori garanzie agli investitori. Il problema è che l’autogoverno spesso è prigioniero di logiche corporative e, quindi, non funziona come un vero autogoverno, bensì funziona in una logica che spesso copre le responsabilità. Mi piacerebbe che l’autogoverno dei magistrati fosse esigente e severo in materia di qualità del servizio giustizia, invece è rarissimo che l’autogoverno dei magistrati intervenga con severità e, come abbiamo visto, la logica meritocratica è spesso inficiata dal peso di consorterie, di correnti, di interessi diversi. Non credo che si debba rifiutare l’autogoverno; bisogna piuttosto correggerlo, nel senso di renderlo effettivamente capace di garantire la qualità del servizio. In definitiva, il problema è considerare la giustizia per quello che è: un servizio ai cittadini, non un’attività autoreferenziale che deve funzionare bene per gli operatori della giustizia.
L’emergenza Coronavirus ha messo a nudo le deficienze ultime della nostra Sanità. Bisognerebbe tornare ad una Sanità ex post, cioè ante Coronavirus? La regionalizzazione non ha funzionato?
Il nostro Sistema sanitario ha funzionato meglio di quello di altri paesi. Meno male che abbiamo difeso il principio del Sistema sanitario pubblico, universalista. Quante volte è stato messo sotto attacco questo principio? Tante volte. Da questo punto di vista sono meno negativo sul giudizio su come sono andate le cose perché, effettivamente, possiamo essere orgogliosi di un Sistema sanitario che sia per tutti i cittadini. Lo abbiamo difeso fortemente, anche dai mezzi di informazione che, naturalmente, adesso lamentano le deficienze, ma per anni hanno fatto campagne distruttive presentando ogni spesa sanitaria come uno spreco, come una dispersione di risorse e adesso, invece, rimproverano alla politica i tagli. Il Governo che ho avuto l’onore di presiedere è stato l’ultimo che ha fatto un grande investimento sul Sistema sanitario pubblico. Abbiamo constatato – anche dall’esperienza di alcune Regioni – che il sistema ha retto meglio laddove è stato meno occupato dai privati e anche questo, è un dato. Il Sistema pubblico ha retto meglio del Sistema privato anche perché, c’è poco da fare, un sistema che ha finalità di lucro ha finalità di lucro, legittimamente diciamo ma, a volte, queste non si conciliano con le esigenze di tutela universalistica dei cittadini. Io spero che si torni ad investire sulla Sanità e, anche per questo, sono favorevole all’utilizzazione del famoso MES, perché si tratta di una disponibilità rilevante di risorse che devono essere destinate al Sistema sanitario. Naturalmente, si deve tenere conto del fatto che abbiamo constatato come la necessità sia, oggi, più verso un sistema in grado di presidiare il territorio e di garantire un’assistenza continua ai malati cronici, che non verso un sistema orientato in modo esclusivo o prevalente alla cura delle malattie acute. Questa esperienza dovrebbe aiutarci ad avere delle linee guida di cui tenere conto per avviare una riorganizzazione del sistema che, appunto, tenga conto delle caratteristiche nuove provenienti dalle necessità dei cittadini; che tenga conto di una società dove ci sono molte persone anziane che hanno bisogno di assistenza domiciliare. Il nostro Sistema in diverse Regioni, purtroppo, si è impoverito proprio della sua capacità di presidiare il territorio. Non è un caso che, laddove il presidio sul territorio è stato più forte (penso all’Emilia e al Veneto), il sistema ha retto meglio.
Brevemente, per chiudere, tre domande spot. Il rapporto di fiducia tra cittadini e Istituzioni di cui la democrazia ha bisogno per funzionare realmente come può essere ricomposto?
Siamo sempre impegnati a ricomporre questo rapporto di fiducia. Ho l’impressione che i cittadini forse dovrebbero avere compreso, durante questa emergenza, che il Paese ha bisogno della classe dirigente e che l’antipolitica che ha largamente dominato la sfera pubblica ha prodotto un indebolimento della dimensione statuale che è fondamentale in un paese civile. Da questo punto di vista la mia opinione è che la politica riacquista la fiducia dei cittadini se è in grado di rispondere ai bisogni sociali diffusi. Però, è anche vero che il criterio sostanzialmente casuale di formazione della classe dirigente, il disprezzo verso la politica professionale che ha dominato la cultura del Paese degli ultimi anni ha prodotto dei danni immensi. Quindi, se si vuole ricostruire un rapporto di fiducia tra classe dirigente e cittadini, io credo che il problema vada al di là della politica. C’è un grande problema che riguarda la classe dirigente del Paese, il mondo degli intellettuali, il giornalismo e il mondo dell’impresa; cioè la delegittimazione della politica che è stata perseguita scientificamente in questi anni e che ha prodotto danni per tutti.
Un’ultima domanda riguarda il Mezzogiorno, arriveranno molti soldi, si spera, ma chissà quando. Le Regioni del Mezzogiorno hanno dato, nell’emergenza, una buona prova di sé. Ora il Governo deve passare dalle parole ai fatti e destinare buona parte dei miliardi promessi dall’Europa per le infrastrutture al Sud. Sarà un’attesa ancora una volta delusa?
Spero di no. Una parte importante di questi soldi andrà al sistema delle imprese, quindi non andrà prevalentemente al Mezzogiorno. Dobbiamo salvare il sistema delle imprese e sappiamo bene dove sono collocate le imprese del Paese, in gran parte non nel Mezzogiorno, per cui non dobbiamo farci illusioni. Tuttavia, è evidente che, per esempio, per quanto riguarda i progetti infrastrutturali, che sono una parte molto importante della strategia della ripresa, ecco lì spetta al Governo favorire il Mezzogiorno.