Intervista a Il Dubbio
di Matteo Bianchi
Rientrato dalla Cina e in procinto di partire per i Balcani, Massimo D’Alema nella sede della sua Fondazione ItalianiEuropei è in costante contatto col Brasile, dove è appena stato per incontrare Lula in prigione.
Come sta Lula? In che condizione l’ha trovato durante la sua visita?
Lula è prigioniero nel comando federale della polizia di Curitiba. Non è un vero e proprio carcere, ci sono altre persone ristrette per lo stesso tipo di reati. Lui sta bene, ovviamente soffre le restrizioni della detenzione, ma pensavo potesse vivere momenti di depressione, invece l’ho visto molto energico. Anche dalla cella rimane un uomo dal carisma straordinario, ha subito un’ingiustizia enorme per escluderlo dalla campagna elettorale che avrebbe largamente vinto. Ma è un combattente, prima di diventare presidente è stato sconfitto tre volte, non si arrende facilmente; è contro l’indulto, vuole un processo giusto, come non ha avuto sinora. Anche da detenuto conserva l’occhio attento al mondo, mi ha chiesto che ne è della sinistra italiana, è stato il momento più imbarazzante del nostro colloquio. Sta leggendo un libro di un sociologo argentino sulla fame nel mondo e abbiamo parlato per mezz’ora di come combatterla.
Anche dopo la condanna e l’arresto rimane in testa nei sondaggi, se potesse candidarsi vincerebbe al primo turno. Come si spiega questa forza?
Lula resta fondamentale per il Brasile, sembra paradossale ma un uomo oggetto di una campagna demolitrice portata avanti da un’informazione di una faziosità incredibile, è per la maggioranza dei brasiliani un leader rispettato e da seguire. Lui da quella cella mantiene una connessione fortissima con il sentimento popolare brasiliano. Mi ha detto che ci sono voci che se accettasse il braccialetto elettronico lo farebbero uscire, ma non vuole: «Io non ho fatto nulla e da qui ne uscirò a testa alta». Ci sono costantemente persone accampate davanti al comando di polizia, per non farlo sentire solo.
Il forte carisma di Lula si può trasformare in consenso per il candidato Haddad o avrà una vittoria facile l’estrema destra di Bolsonaro?
Haddad può tenere a sinistra e rassicurare il centro moderato. Sono andato a cena con Haddad, lui e mi ha raccontato di una sua visita alla favela di Rio: pensava di attirare le attenzioni che può attirare un politico in questi tempi di anti politica. Invece, con suo grande stupore, un signore ha gridato “è il candidato di Lula” e Haddad è stato circondato da una folla festante. Penso che arriverà al ballottaggio e al secondo turno si possa costruire un fronte democratico, Ciro Gomes il candidato dato per terzo nei sondaggi sosterrà Haddad, forse anche l’elettorato di centro spaventato dal pericolo della destra di Bolsonaro, che solo letture superficiali dei media danno già per facile vincitore.
Ha visto in Lula un’analisi critica degli anni di governo?
Si rende conto dei limiti dell’esperienza del governo della sinistra in Brasile. Hanno fatto politiche molto efficaci di lotta alla povertà, ma hanno trascurato completamente la necessità di una riforma politica e istituzionale. Il Brasile ha un presidenzialismo cui però si accompagna un sistema parlamentare frammentato in 27 gruppi politici che non ha nulla da invidiare al parlamentarismo più spinto. E poi un sistema giudiziario privo delle fondamentali garanzie. Lula mi ha detto che il Brasile avrebbe bisogno di un’assemblea costituente, la trovo un’idea interessante. «Dopo aver capito tutte queste cose – mi ha detto lui che è stato il miglior presidente che il Brasile abbia mai avuto – farei bene il presidente, sceglierei anche meglio le persone di cui circondarmi. Ma hanno deciso di non farmelo fare».
Cosa pensa lei dell’indagine?
Sono fermo assertore dell’autonomia della magistratura, non ho mai partecipato a campagne contro i magistrati, ma non mi appartiene il tipo di giustizialismo che affida alla magistratura la censura sulla moralità pubblica e la carica di aspettative politiche. Non bisogna mai confondere le indagini con le sentenze, che molto spesso portano a esiti differenti. Lula è stato condannato perché alcuni testimoni che erano in carcere e sono stati premiati hanno sostenuto che un’azienda gli avrebbe dato un appartamento. Appartamento di cui però lui non ha mai preso possesso e nessun atto conferma che lo avesse in disponibilità. Pensi che il giudice che lo ha giudicato è lo stesso che lo ha messo sotto accusa ed è andato ripetutamente in tv a definirlo delinquente.
Il Brasile arriva a elezioni dopo l’impeachment della Roussef, l’arresto di Lula, l’omicidio di Marielle Franco, l’aggressione a Bolsonaro: è un Paese in cui la democrazia è a rischio?
Il Brasile si trova in una situazione critica per la difesa della democrazia. Io penso che per la sinistra sarà più difficile governare che vincere. L’establishment latino americano, quello stesso che in passato ha sostenuto le dittature, è una classe dominante feroce ma rappresenta una piccolissima parte della popolazione. Gli apparati dello Stato molto spesso ne sono espressione, non provenendo certo dagli strati sociali più popolari. La reazione di questi ceti dominanti ad anni di governi di sinistra ora è fortissima; sino a quando c’è stato un forte sviluppo, andava bene a tutti, con un’economia entrata in sofferenza le politiche di redistribuzione del reddito hanno inciso maggiormente sulle classi dominanti ed è scattata una reazione. Non credo però che si possa tornare indietro rispetto alla democrazia. È in atto una controffensiva di classe, ma le democrazie hanno anticorpi e il contesto internazionale è meno incline di un tempo a sopportare eventuali torsioni autoritarie. C’è anche una forte reazione democratica della società brasiliana ed è guidata dalle donne. Sulla rete è nato il movimento femminile #Elenao (Lui no), contro Bolsonaro e la destra machista, lo scorso weekend ha riempito le piazze di tutto il Paese, la sinistra può beneficiare molto al ballottaggio di questo rigetto verso Bolsonaro.
L’Italia conta ancora nelle dinamiche dell’America Latina, siamo un interlocutore per quel continente?
L’Italia è un paese che in generale ha accorciato i suoi orizzonti, fatico a trovare un posto nel mondo dove esercitiamo una nostra influenza. Con i governi del centrosinistra siamo riusciti a farci invitare dai Paesi latinoamericani a entrare nella compagine della Corporacion Andina de Fomento, immagini la felicità di spagnoli e portoghesi, poi arrivò il governo Berlusconi e l’Italia non versò la quota di adesione di appena 50 milioni, potevamo esercitare un ruolo strategico nell’infrastrutturazione dell’area, si scelse di non esercitarne alcuno. L’Italia è un Paese ripiegato su se stesso, con un nazionalismo rozzo. Dobbiamo sperare nella società civile, la società civile italiana ha grandi collegamenti con il mondo. Noi come Fondazione ItalianiEuropei siamo società civile e stiamo lavorando a progetti in molte aree, è un ruolo per me nuovo, ma non meno interessante.