di Carlo Bertini
«Accoppiare l’autonomia differenziata al presidenzialismo produrrà uno Stato Arlecchino tenuto assieme da un presidente di parte, per questo la sinistra e i 5 Stelle devono subito creare un fronte comune per combattere il governo». Pier Luigi Bersani, ex ministro dell’Industria e già leader del Pd, non fa sconti alla Meloni «certe uscite vanno bene per i comizi non per un premier», annuncia che voterà alle primarie dem e chiede ai candidati di spendere parole «più nette» su cosa pensano.
La sensazione è che voi però non abbiate fatto grandi barricate a questa legge di bilancio, come mai?
«Non mi pare. Posto che nessuno voleva l’esercizio provvisorio, la denuncia dell’aver fatto cassa con la povertà per finanziare le sanatorie, di aver aggravato la precarietà, di aver promosso la disuguaglianza fiscale, di aver lasciato la sanità sotto i tagli dell’inflazione è stata netta e credo percepita».
Dopo questa manovra del governo, il presidente Mattarella ha sentito il bisogno di dire che la Repubblica è nel senso civico di chi paga le tasse. Perché?
«Mattarella ha una capacità straordinaria di cogliere la situazione. Mi è sembrato che abbia voluto indicare la rotta più precisamente di altre volte. Forse percepisce un rischio di smarrimento e di perdita di orizzonte. In effetti il panorama è questo: una sinistra progressista divisa e un po’ sbandata e una destra che alza la propria bandiera, più che guardare al Paese di tutti».
Le prime mosse di questa destra obbligano voi a ritrovare un’identità di sinistra più netta?
«Non è una sorpresa che la destra mostri quello che è. Si tratta della destra italiana, né liberale, né sociale, ma gerarchica e corporativa. Legge e ordine, ma non per tutti; i poveri sono che quelli che stanno sul divano; il lavoro deve mettersi a disposizione di chi fa ricchezza, cioè l’imprenditore, meglio se piccolo; il fisco è per categorie e quindi altrettanto sarà per il welfare. E così via. La sinistra deve solo comprendere che tutto questo non lo si ferma alzando la voce. Lo si ferma soltanto costruendo un’alternativa credibile».
Apparite poco combattivi perché siete un’opposizione divisa e debole? Quando si ricucirà con i 5 Stelle, solo dopo la conta delle europee 2024?
«Aspettare le Europee per verificare pesi e misure mi sembra demenziale. Avremo un anno complicato con l’aggravarsi, purtroppo, delle disuguaglianze. E dell’impoverimento con il ritorno di sfide alla finanza pubblica. Si affaccia l’accoppiamento fra presidenzialismo e autonomia differenziata, cioè il progetto di uno stato Arlecchino tenuto assieme da un presidente senza terzietà. È tempo oggi dell’iniziativa comune e della visibile costruzione di un campo alternativo. La competizione fra Pd, 5 Stelle e centristi per un punto in più può portare solo alla rovina comune delle parti in lotta, per dirla con Marx, o alla fine dei polli di Renzo, per dirla col Manzoni».
La sinistra è anche fiaccata dagli eventi. Come ha reagito a caldo appena ha saputo dello scandalo del Qatargate?
«Ho reagito dicendo subito che si trattava di uno sputo in faccia alla sinistra in Italia, all’Italia in Europa, alle istituzioni europee e alle ong nel mondo. Ovviamente la penso ancora così».
Questo caso non segnala anche qualche errore politico che potete aver fatto voi della vostra generazione?
«Nei compiti di dirigente c’è anche quello di dare l’esempio di una vita onesta e sobria. Non c’è stata abbastanza forza nel far valere quest’idea. Detto questo, nel tempo di oggi nessuna forza di sinistra, di destra o di centro può sentirsi al riparo del problema. Al di là di fatti macroscopici, con una politica diventata così debole nessuna forza è in grado di fare da filtro a comportamenti individuali».
E quindi non esiste un antidoto?
«La questione diventa dunque come si possa far argine a comportamenti devianti. Banalizzando il reato di corruzione? Impedendo le intercettazioni? Creando ripari per la politica dalla magistratura? Liberalizzando totalmente i subappalti? O piuttosto al contrario introducendo una legislazione sulle lobby e sulle incompatibilità? Questo mi pare il punto, se non si vuol finire in anacronismi rispetto a quando c’erano partiti con due milioni di iscritti e antenne ovunque, in una realtà molto meno complessa di oggi».
Dopo aver fatto il pieno alle urne, la premier le sembra performante o dai primi passi le pare inadatta all’immane compito?
«La vedo combattiva e molto impegnata. Non mi piacciono però certe fragorose distorsioni della realtà, perdonabili in un comizio, ma non sulla bocca del presidente del Consiglio: il condono non è un condono, la flat tax non discrimina, l’Msi non ha avuto nulla a che fare con attacchi al sistema costituzionale e così via. A questo proposito, per me Vittorio Occorsio è nel Pantheon degli eroi italiani, assieme a Dalla Chiesa, a Falcone e a Borsellino».
Ora quello che fu il suo partito, prova a risollevarsi. Che ne pensa dei quattro candidati alla leadership?
«Sono stato troppo tempo segretario del Pd per voler adesso interferire. Da bordo campo io vedo questo: urge che i candidati parlino finalmente più chiaro e rispondano a qualche precisa domanda. Come intendono proseguire la fase costituente intralciata adesso da un congresso ordinario? Come pensano si debba organizzare un campo alternativo alla destra? Quale progetto fondamentale per il lavoro si deve proporre? Come concretamente dare gambe sociali alla battaglia ambientale? Quali modifiche dello statuto e della vita interna? Credo insomma che se non si accende una discussione vera e leggibile, c’è il rischio che il Pd ne esca uguale a prima».
Ma tra Bonaccini, Schlein, Cuperlo e De Micheli, chi sceglierebbe come segretario?
«Certamente io, come tanti altri, parteciperei volentieri alle primarie. Penso che andrò a votare, scegliendo il candidato che darà risposte più innovative e convincenti a queste domande che ritengo ineludibili. C’è più di un mese davanti per parlare e per ascoltare».