di Filippo Fiorini
Più di un’ora prima dell’inizio, nella sala Salvador Allende della Festa dell’Unità di Bologna, ci si organizza per aggiungere sedie. Nel momento in cui Pier Luigi Bersani, fuoriuscito dal Pd e qui recentemente rientrato, incomincia a parlare, intervistato dal direttore de La Stampa Massimo Giannini, non solo la platea, ma anche il viale tra gli stand prospicienti, è gremito. La gente assiste anche in piedi e applaude alle battute fulminanti dell’ex segretario, come che “Meloni dice sempre sono una donna, sono una mamma, ma sulle cose importanti fa il pesce in barile”. Poi, ascolta le analisi più sofisticate, dove Bersani insiste per la creazione di un campo per riportare il Pd a lottare per i diritti.
Perché se n’è andato, Bersani? L’aspettavano tutti.
Io sono sempre stato qui. È stato qualcun altro ad andare via.
La sua espressione sul Bar Italia ha avuto molto successo. A proposito di Vannacci, si è chiesto se, dato che al Bar Italia si può dire anormale a un omosessuale, si può dire anche coglione a un generale.
Mi è venuto da dirla così. Qui c’è una cosa di cui noi sinistra dobbiamo essere consapevoli. Se io parlo di diritti da maestrino appaio come quello del politicamente corretto, che sta sui coglioni a tutti. Questo, invece, è ancora un terreno di battaglia. Non dobbiamo stancarci di combattere.
Meloni ha vinto le elezioni. A che punto siamo come Paese?
Questa estate la gente ha visto due cose: l’impazzimento dei prezzi e quello del clima. Questa destra, sui prezzi e sul clima, non sa che pesci prendere. Questo mostra il loro indebolimento. Ma non pensiamo che possano andarsene a seguito di loro fallimenti. Bisogna creare un’alternativa. Mettere le nostre idee, a cominciare dai valori.
Meloni è in difficoltà? Per esempio, che ne pensa di dossier identitari come il decreto Caivano?
Prendono un problema vero, per togliere i riflettori dal problema verissimo. C’è un conclamato problema sociale, fatto di lavoro, sanità, e poi un provvedimento criticabile per quanto contiene, e ancora di più per quello che non contiene. Impossibile da mettere in pratica.
L’Italia è in recessione. Che manovra sarà?
Questi piangono miseria, ma è la prima volta nella storia della Repubblica che un governo si trova 200 miliardi da spendere nei cinque anni. Si sono incasinati anche lì. La destra italiana è come il pedalò. Sta fuori solo se c’è il sole. Se piove, non sa più cosa fare. La sinistra una carta ce l’ha: l’equità.
Sul salario minimo, Romano Prodi ha detto se l’Italia non lo fa, è un paese che si deve vergognare. Ma l’obiezione della destra è avete governato un sacco di anni, perché non lo avete fatto prima?
Ricordo tanti anni fa, quando il tema non era l’inflazione ma la deflazione. Abbiamo avuto periodi in cui il tema era opposto. Ora, il salario minimo va inquadrato su una piattaforma per il diritto al lavoro. Siamo dentro a un cambio di passo tecnologico secolare, paragonabile a quello che ci fu a fine Ottocento. Ci vuole una legge sulla contrattazione con dentro il salario minimo. Secondo, il disboscamento della precarietà, sul modello spagnolo. Parità salariale tra uomo e donna. Formazione continua obbligatoria nei contratti di lavoro. Una grande piattaforma per i tempi nuovi.
La Cgil ha ipotizzato un referendum per l’abolizione del Jobs act, che è nato nel Pd. È giusto?
Se abolire vuol dire tornare a un meccanismo di tutela che non sia monetizzabile, io firmo. Ma le cose che ho cercato di descrivere sono talmente nuove e profonde che nemmeno la situazione precedente al Jobs act sarebbe in grado di fermarle.
Meloni ha criticato Gentiloni. È vero che i commissari Ue dovrebbero fare gli interessi del proprio Paese?
È una cosa che assomiglia a un insulto. È evidente che i commissari abbiano una maggior sensibilità per il proprio paese. Lì però fanno un altro mestiere. Sentirsi dire una cosa del genere credo che sia un ulteriore incidente, non dei più gravi, nei rapporti tra l’Italia e la commissione.
Il governo sta lavorando a una riforma costituzionale per introdurre il premierato. Alcuni costituzionalisti la definiscono eversiva. È d’accordo?
Altroché. C’è da essere preoccupati. In un colpo solo, automaticamente, ti salta il presidente della repubblica e il parlamento. Il primo, privato di prerogative fondamentali, viene depotenziato. Mentre il parlamento, dovendo combinare il premierato con una legge elettorale, perde libertà. È però difficile che una cosa del genere vada in porto.
Sono usciti retroscena sull’ex segretario Zingaretti che ha criticato Schlein. Lei chi ha votato alle primarie?
Ho votato lei. Il suo risultato ha impressionato anche me. Schlein ha compreso due cose fondamentali. Bisogna riconnettere il Pd con la sua base sociale. Secondo, il Pd deve costruire un campo. Elly non può fare da sola. Tocca a tutti.
È vero che qualcuno della nomenclatura Pd ha messo un tetto del 20 per cento alle europee sotto il quale Elly Schlein deve sloggiare?
Io non ho mai visto nessuno sloggiare per le europee. Senza sminuirle. La chiave sono le amministrative. Noi avevamo tutto e abbiamo perso quasi tutto.
È convinto che la strada da percorrere sia l’unione delle opposizioni?
Dobbiamo mettere insieme le forze o ci teniamo la Meloni. Siamo un po’ indietro coi lavori.
Durerà cinque anni Meloni?
Sento che cinque anni sono troppi. Penso più probabile che a un certo punto ci sarà qualche elemento di rottura. Ma non mi aspetto che abbandoni il campo. Meloni dice sempre sono una donna, sono una mamma, ma sulle questioni importanti poi fa il pesce in barile. Soprattutto nei rapporti con il caso Vannacci, poi i rapporti con l’alleato francese.
Mattarella è l’opposizione in Italia?
Tocca a Mattarella rimettere le cose a posto, meno male che lui c’è.