di Francesca Schianchi
A tre settimane dalla Festa della Liberazione, l’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani, ospite a Metropolis, il web talk del gruppo Gedi, fa la sua previsione su Giorgia Meloni e i suoi colonnelli: «Non festeggeranno il 25 aprile, e questo è un problema serissimo».
Cosa intende, Bersani?
«Quando la seconda carica dello Stato rilancia falsità fasciste contro la Resistenza, quando la presidente del Consiglio parla di sgrammaticatura o mette sotto il titolo di “italiani” le vittime delle Fosse Ardeatine, è chiaro che stanno tradendo la Costituzione antifascista su cui hanno giurato».
Sta lanciando un allarme?
«C’è chi chiede: perché, cosa fanno, la marcia su Roma? Non ridicolizziamo. Il problema è che l’antifascismo della Costituzione è intimamente connesso ai valori della Costituzione: se a uno non piace l’antifascismo della Costituzione, come fa a piacergli il principio di uguaglianza dell’articolo 3? O la fiscalità progressiva? E infatti stanno facendo politiche sociali ed economiche corporative, gerarchiche, tendenzialmente autarchiche. Certo, non si torna al 1920, però c’è una linea che non è coerente con la nostra Costituzione».
Cosa dovrebbe dire o fare la premier per essere, come dice lei, coerente con la nostra Costituzione?
«Dire la parola “fascismo”, e cosa ne pensa. Prendere almeno atto che questa è una Costituzione antifascista, che lei si rende conto di aver giurato su questo e quindi non può fare copertura a qualunque revanscimo fascistoide che gira. Quando vedo che fai fisco per categorie, aggiungi voucher e subappalti a gogo, fai l’autonomia differenziata, hai in testa una certa idea che culturalmente è il trascinamento all’epoca del 4.0 di quei valori là».
Manca la presa di posizione chiara che fece Fini?
«Fini provò a dire “fascismo male assoluto”. Io azzardo a dire che oggi, culturalmente, mi sembra un restyling del Movimento sociale: ci siamo lasciati alle spalle la fase in cui questa destra cercò di rendersi coerente col quadro costituzionale. D’altronde questo corrisponde a un’Europa dove stanno succedendo novità».
Anche in Finlandia ha vinto la destra…
«Le destre che conoscevamo diventano destra-destra. Lasciamo stare parole come “populismi”: non è una destra liberale o sociale, è una destra regressiva».
Le piace l’idea del liceo del Made in Italy?
«Ho fatto il liceo classico. Ma ho girato molto per i campi, magari ne so più della premier».
A proposito di campi: il ministro Lollobrigida invita i percettori di reddito di cittadinanza ad andarci a lavorare, invece di stare sul divano…
«Parla col linguaggio da bar. Io le code le vado davanti alla Caritas, lui le vede davanti a Poltrone e sofà, cosa volete che vi dica».
Davanti alla destra che lei descrive, quale sinistra è competitiva?
«Che sia al governo o all’opposizione, la nuova destra è corporativa, gerarchica, culturalmente autarchica. Se è questo il confine, vogliamo organizzare le forze che culturalmente sono universalistiche, non accettano di essere autarchiche, che pensano al principio di uguaglianza dell’articolo 3 come un cardine? Non è che siamo a palleggiare come se ci fossero Berlusconi e l’Udc…».
Ha nostalgia di quella destra come avversaria?
«Ma guardi, non sto a giudicare se sia meglio una o l’altra. Lo dico dal lato di sinistra: tattiche di appeasement al margine, da correttori di bozze, erano possibili quando c’era l’Udc, non ora».
Serve più radicalità?
«Io parto dai temi: chi è corporativo e chi è universalistico. Chi vuole la fiscalità progressiva e chi no. Diritti del lavoro: basta questa precarietà, facciamo una legge sulla rappresentanza, salario minimo, parità salariale uomo donna».
Come lo dice alle altre opposizioni? Ad esempio Calenda, che dice sempre: se ci sono i Cinque stelle non ci sono io?
«Io continuerò a dirlo a Carlo. Dov’è una forza politica oggi che ha il fisico per stare in mezzo e dirigere il traffico? Non esiste da nessuna parte, ci sono campi plurali a destra o a sinistra, dove, certo, una forza può anche fare quella più verso il centro, ma deve essere in un campo. Se no si finisce per essere un po’ di qua e un po’ di là, e apparire ogni volta servo di due padroni. Prima o poi si capirà questa cosa, e allora si troverà il modo di fare una piattaforma che ricompatti un’area progressista».
I due padroni sono destra e sinistra insomma…
«Per adesso è più attrezzato quello di destra…».
In realtà due padrone: Schlein è la figura giusta per guidare la sinistra?
«È la figura giusta per ravvivare la militanza. Credo abbia chiaro che costruire un’alternativa è cosa diversa dal rianimare un partito: richiede una discussione politica. Un’apertura c’è stata, s’è visto alle primarie, ma c’è ancora un esercito di persone fuori, non bisogna fermarsi lì».
Lei ha definito Schlein più professionista di quanto si dica. Abbastanza per governare le correnti del Pd?
«Professionista vuol dire conoscere, sapere, non arrendersi ai meccanismi. E lei, che viene descritta come Alice nel paese delle meraviglie, in realtà è giovane ma di lungo corso, fa politica da parecchi anni. Tra l’altro, chi ha fatto l’esperienza del Parlamento europeo viene fuori espertissimo di tatticismi…».
Ha ripreso la tessera del Pd?
«La prenderò quando non mi faranno più la domanda, perché voglio entrarci in punta di piedi».